Il dato politico che emerge dall’analisi della scena europea degli ultimi anni è l’avanzamento (in alcuni casi lento, in altri in modo più prepotente) dei partiti mossi da un ideale sovranista, volti a riprendere le competenze trasmesse all’Unione Europea e a indebolire il processo di integrazione europea con la motivazione di voler impostare un’Europa meno basata sulla volontà dei tecnocrati e più basata sulla volontà dei popoli. Con la locuzione “Europa dei popoli” si intende il porre in essere nelle istituzioni europee organismi maggiormente rappresentativi della volontà popolare (rimpiazzando così la Commissione Europea, principale oggetto delle critiche sovraniste). Il sottotesto del discorso politico che viene implementato è quello di matrice nazionalista, in aperto contrasto con qualsiasi idea di Europa (dei tecnocrati, dei popoli o di qualcun altro) e volto alla chiusura dei vari paesi su loro stessi.
L’impostazione di chiusura dei vari paesi rispetto alla realtà che li circonda va a sbattere con una certa violenza contro una realtà composta dal diritto internazionale, dalla storia, dall’economia, dalle relazioni internazionali e dai rapporti di forza in campo internazionale. La progressiva chiusura dei rapporti, dei confini europei interni e la dissoluzione dell’idea di Europa così come viene concepita al giorno d’oggi sotto forma di Unione Europea avrebbe effetti devastanti in primis per quanto riguarda l’economia e a catena verrebbero toccati tutti gli altri aspetti della conduzione di uno stato. Seguendo un’altra tendenza degli ultimi anni, quindi, ecco che tali movimenti si appoggiano notevolmente a notizie false o riportate in modo tendenzioso per piegare la realtà alla propria narrativa. Qui si entra in un discorso più ampio che è quello della post-verità e di come, nel mondo iperconnesso, il cittadino medio processi, valuti e gestisca l’informazione.
La crisi economica e la percezione della situazione che si è avuta all’uscita della stessa, la crisi migratoria innescata da fenomeni quali le primavere arabe e i vari conflitti civili in Africa e Asia, unite all’incapacità delle forze europeiste di comunicare efficacemente le proprie istanze, hanno consentito una progressiva ascesa dei sovranisti che sono arrivati anche ad avere posizioni di notevole potere: Fidesz (partito nazionalista) è la prima forza in Ungheria e dal 2010 esprime il presidente (Viktor Orbàn), il Rassemblement National è il secondo partito di Francia e nelle elezioni dello scorso anno ha dato modo al leader Marine Le Pen di presentarsi al ballottaggio. Alternative fur Deutscheland è diventato la terza forza in Germania. Tra questi partiti quello che ha registrato il maggior successo in tempi recenti è senza dubbio la Lega.
La Lega è passata dal 4% delle politiche del 2013 al 17% del 2018 diventando, dopo due mesi di trattative, la seconda forza di governo cruciale per la tenuta dello stesso. L’altra forza di governo è il Movimento 5 Stelle, che in merito al sovranismo si pone su posizioni meno nette ma si può certamente definire come populista, considerando il corteggiamento di determinate idee riguardanti la copertura vaccinale, l’approccio alla maggior parte delle questioni economiche, l’appartenenza al progetto di integrazione europea e, più in generale, il sistema di oclocrazia eterodiretta che lo guida al giorno d’oggi.
L’ottima parte di questi partiti riceve sovvenzioni e aiuti in diverse forme provenienti dalla Russia, il cui scopo non è altro che quello di sciogliere l’Unione Europea, in primis per una questione legata alle sanzioni comminate dopo l’occupazione della Crimea e l’appoggio ai separatisti del Donbass, in secondo luogo per evitare la creazione di un attore di indubbio valore economico e politico a ridosso delle frontiere occidentali. L’Europa unita costituisce infatti un rivale negoziale maggiore della somma delle sue parti: sembra averlo capito anche Trump che negli ultimi tempi sta evitando tutte le occasioni di confronto con l’Unione Europea per concentrarsi su incontri singoli, primo dei quali quello con il premier italiano Giuseppe Conte.
Proprio un fuoriuscito dall’entourage di Trump nonché capo della comunicazione per il suo comitato elettorale, Steve Bannon, ha deciso di mettere in piedi una sorta di ombrello politico sotto il quale riunire i partiti dell’estrema destra europea. Tale soggetto avrà sede a Bruxelles e fornirà assistenza alle forze antieuropeiste in vista delle elezioni europee della prossima primavera. Bannon ha dichiarato di voler portare questo tipo di partiti a occupare almeno un terzo dei seggi in modo da ostacolare l’attività parlamentare e bloccare le istituzioni europee.
Per preparare il terreno Bannon ha avuto una lunga serie di colloqui con i principali leader delle destre antieuropeiste: Orban, Le Pen, Farage e persino Salvini (con Bannon che asserisce di avere spinto all’alleanza con i M5S dopo un incontro durato diverse ore) hanno scambiato le proprie idee con l’ex consulente di Trump, il quale prevede di creare una struttura che accolga almeno 10 dipendenti a tempo pieno tra cui un ricercatore, un esperto di sondaggi, un capo della comunicazione e via dicendo, per poi aumentare il numero dei dipendenti a 25 dopo le europee in caso di successo.
Nella pletora di partiti antieuropeisti, tuttavia, si sono levate diverse voci contrarie. Quella più forte è probabilmente quella di Alexander Gauland, uno dei leader di AfD – Alternative fur Deutschland, partito di estrema destra tedesco. Gauland eccepisce in merito al fatto che gli interessi dei partiti di quell’area politica divergono moltissimo e questo è dovuto agli specifici interessi di un paese o dell’altro. Si prenda ad esempio l’immigrazione: se per i partiti dei paesi del centro dell’Europa gli arrivi sono destinati a rimanere nel paese d’arrivo, per quelli delle periferie conviene il respingimento completo (contrario al diritto internazionale) o la redistribuzione degli stessi sull’intero territorio europeo.
Il progetto, quindi, mostra già le prime falle. Oltre alle divergenze d’opinioni dei vari partiti del panorama sovranista, c’è anche il timore e la diffidenza che degli europei possono avere nei confronti di qualcuno che fino a qualche mese fa si occupava solo ed esclusivamente di politica statunitense. Le due situazioni presentano modalità di gestione del potere politico e di concezione dello stesso radicalmente diverse. In aggiunta a questo, vi è il timore nell’ambiente che Bannon stia solo cercando di riguadagnare il peso e la rilevanza che aveva sino alla propria cacciata dalla Casa Bianca e che stia cercando di farlo ponendosi come fulcro dell’intero movimento sovranista europeo, un fulcro che in seguito diventerebbe piuttosto difficile da abbandonare.
“The Movement” sembra avere notevoli problemi già in partenza, con i suoi principali fruitori che respingono il progetto in massa. Anche la sola proposta, tuttavia, contribuisce a creare l’idea di un’internazionale sovranista volta a rovesciare l’Unione Europea e a portare gli stati che la compongono alla chiusura su sé stessi e (in definitiva) all’irrilevanza economica e politica. D’altro canto, la rivoluzione sovranista può essere un punto di partenza per le forze europeiste per capire come meglio trasmettere i propri valori e l’opportunità offerta dal processo di integrazione europea all’elettorato, rovesciando così la situazione e tornando a guadagnare consensi.