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L’Isis rispunta in Afghanistan: il Wilayat del Khorasan

Published by
Carlo Paganessi

L’Isis (acronimo di Islamic State of Iraq and al Shams) nasce come costola di Al Qaeda, salvo poi diventare indipendente e staccarsi dalla casa madre portando buona parte del network con sé al fine di costruirne uno nuovo. Dalla madre, l’Isis ha ereditato una struttura fatta a network il cui ganglio fondamentale risiedeva nella sede del califfato, ovvero Raqqa. Al momento, dopo la caduta della capitale, non sono state nominate nuove sedi califfali. La “provincia del Levante” è compromessa e relegata alle zone rurali, essendo le sue forze state espulse da tutti i maggiori centri abitati sia della Siria che dell’Iraq. Tra le numerose province una in particolare sta assumendo sempre maggior rilevanza nelle cronache dei principali commentatori internazionali ed è la provincia del Khorasan. Questo nome tradizionalmente identifica una vasta area tra il Medio Oriente e l’Asia Centrale che ricomprendeva la Persia Orientale, l’Afghanistan e il Pakistan. Le attività di questa filiale, creata nel gennaio 2015, si estendono fin nel subcontinente indiano laddove diversi individui hanno dichiarato la propria lealtà al califfo Abu Bakr Al Baghdadi.

L’alba di questa nuova organizzazione risale alla fine del 2014 quando alcuni rappresentanti dell’Isis arrivarono in Pakistan per confrontarsi con i membri di Tehrik-i-Taliban Pakistani (TTP), un nome sotto il quale si riunivano diverse organizzazioni di militanti fondamentalisti islamici. In quel tempo TTP aveva subito diverse defezioni che ne avevano notevolmente ridotto il raggio d’azione e il peso sia a livello locale che regionale. L’arrivo dello Stato Islamico nel Khorasan ha significato una notevole occasione di rinascita per queste organizzazioni: già prima della definizione degli accordi di affiliazione iniziarono a girare, tra Afghanistan e Pakistan, diversi volantini in Pashto, in Urdu e in Dari. Il 10 gennaio del 2015 venne diffuso un video in cui diversi membri notabili delle organizzazioni che componevano TTP dichiaravano che altri non avevano potuto raggiungerli e che giuravano fedeltà al califfo nero.

Militanti dell’IsisK rivendicano un attentato compiuto presso Kabul. Al Arabiya

L’offerta di fedeltà venne accettata con un altro video del 26 gennaio in cui figurava il portavoce dello Stato Islamico Al Adnani, che coglieva l’occasione per annunciare anche la creazione del Wilayat Khorasani (Provincia del Khorasan) nominando Hafiz Saeed Khan come governatore (Wali). Dopo aver registrato una lunga serie di reclutamenti a scapito dei talebani, l’IsisK (questo il nome della nuova organizzazione dopo l’operazione di rebranding) attaccò le province di confine in mano ai talebani rimanenti, facendo così il proprio ingresso in grande stile in Afghanistan.

Entro la fine dell’anno, l’IsisK aveva espulso i talebani dalla provincia di confine di Nangarhar e aveva sviluppato posizioni notevoli anche nelle province di Helmand e Farah. La stazione radio a loro collegata iniziò a produrre contenuti trasmessi in Dari. Nel 2016 il gruppo iniziò a soffrire le prime sconfitte sia a opera delle forze armate afgane sia grazie ai talebani stessi che nello stesso periodo scacciarono gli affiliati dell’IsisK dalle province di etnia uzbeka. L’arma vincente in questo caso fu l’unione tra Talebani e forze governative, che colpirono duramente nelle province settentrionali evitando che l’IsisK riuscisse a mettere vaste porzioni di territorio sotto il proprio esclusivo controllo. Nel sud, al contrario, la situazione è ancora piuttosto critica: vaste parti della provincia di Nangarhar sono ancora sotto il controllo dello Stato Islamico.

In modo anche abbastanza incredibile, quindi, l’ingresso dello Stato Islamico in Afghanistan sta fornendo l’opportunità ai talebani di guadagnare legittimità agli occhi del governo di Kabul e degli americani a fronte dei negoziati, aprendo così spiragli di pace in una terra che non conosce pace dall’inizio degli anni ’80, quando i Russi entrarono in forze in Afghanistan. Salvo venirne scacciati un decennio dopo.

Militanti dell’IsisK in parata. Site

Dopo l’uscita del paese dei Russi, il regime di stampo comunista non resse per molto tempo: nel 1992 il segretario Najbullah venne destituito dalle forze congiunte di Dostum (ex generale di etnia uzbeka ribellatosi al governo centrale) e del “Leone del Panshir” Massoud, di origine tagika. Questi due individui diedero vita a un regime di stampo parlamentare ma sempre basato sulla legge islamica. La nuova repubblica, tuttavia, era notevolmente instabile e non in grado di arginare i conflitti tra le varie bande di mujaheddin per il controllo delle arterie principali e della capitale. Dopo una serie di passaggi di potere abbastanza repentini e un tentativo di affidamento del paese all’ONU nel 1995, apparve ormai chiaro a tutti che il governo centrale non deteneva il controllo su tutto il territorio, disseminato di bande e signori della guerra aiutati dalla morfologia montuosa del paese.

Il Pakistan e l’Arabia Saudita (o, per meglio dire, determinate congregazioni religiose saudite vicine al wahhabismo), verso la fine del 1995, iniziarono a finanziare e ad armare una fazione di studenti coranici integralisti detti Talebani. L’offensiva fu rapida: entro la fine del 1996 i Talebani controllavano Kabul e il 75% del territorio. La popolazione, dal canto proprio, accoglieva i talebani come una liberazione, considerando che la maggior parte della loro leadership era di etnia pashtun proprio come loro, al contrario l’establishment del governo del 1992 (come detto in precedenza, creato da Massoud e Dostum) era prevalentemente di etnia uzbeka e tagika.

Il nuovo governo talebano controllava il 90% del territorio alla fine del 1997, mentre nel nord il colonnello Massoud e Dostum avevano creato l’Alleanza del Nord, che più tardi diventò la protagonista della guerra per procura iniziata dagli americani contro il regime talebano dopo l’11 settembre 2001. Il controllo del territorio, tuttavia, esigeva azioni cruente per poter essere messo in atto: l’ONU nel 1998 redasse un rapporto di 55 pagine sulle esecuzioni sommarie effettuate dai Talebani con l’appoggio dei soldati pakistani e di quelli arabi.

Nel corso degli anni successivi i Talebani offrirono a più riprese una posizione di potere e rilevanza a Massoud per fargli sospendere la lotta: questo non avvenne mai, dato che il Leone del Panshir morì pochi giorni prima degli attentati dell’11 settembre durante un attacco suicida. Tale evento indusse la NATO a intervenire in forze sul teatro afghano tramite il sistema della guerra per procura, ovvero azioni mirate di supporto in cui l’avanzata “scarpe sul terreno” è affidata a una forza terza maggiormente spendibile sotto il profilo dell’opinione pubblica (come il Fronte Unito dell’ormai scomparso Massoud e di Dostum).

Il colonnello Massoud, leader dell’alleanza del nord. Reuters

Gli americani e gli alleati entrarono a Kabul relativamente presto, già a dicembre del 2001. La lezione, imparata a caro prezzo, che la guerra afghana impartì alle forze della coalizione è che l’Asia Centrale non erano i Balcani e che questa guerra non si sarebbe potuta vincere con i soli bombardamenti. Al contrario, divennero centrali le operazioni di C2, ovvero di comando e controllo del territorio. Prima di fine anno il presidente Bush disse, a bordo di una portaerei nel Golfo Persico, “mission accomplished”. Nel giro di poco tempo apparve drammaticamente chiaro che così non era. Il governo di Hamid Karzai faticò notevolmente a tenere la barra dritta nel giro degli anni successivi e, in ogni caso, mai senza l’aiuto statunitense.

Per riportare finalmente pace in Afghanistan è necessaria la collaborazione degli attori esterni, in primis il Pakistan, oggi usato dai talebani come base per retroterra tattico in caso di offensiva governativa. A sua volta il Pakistan cerca di estendere la sua influenza sull’Afghanistan per usarlo a sua volta come retroterra tattico in caso di conflitto con l’India. Come spesso accade sono le tensioni internazionali a sfogare la propria forza su un determinato paese, spesso incolpevole ma al centro delle vie carovaniere come la regione del Khorasan.

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Carlo Paganessi

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