Dopo la sconfitta contro il neopromosso Brighton, il secco tre a zero a Old Trafford ricevuto dal Tottenham poteva in sé minare la stabilità della panchina di José Mourinho, ma la più plateale ammissione di nervosismo è arrivata nel post partita, in sala stampa. Sin dall’inizio glaciale e sulla difensiva, all’ennesima domanda sgradita lo Special One si è congedato affermando di aver vinto il campionato più volte di tutti gli altri manager della Premier League e ripetendo ai giornalisti di portargli rispetto. La situazione del Manchester United appare sempre più grave.
I problemi in campo
Nella conferenza stampa post-Tottenham, Mourinho ha spiegato che la sua squadra è colpevole solo di non essersi trovata in vantaggio a fine primo tempo, avendo tatticamente dominato i quarantacinque minuti iniziali. Per quanto superficiale ed eccessivamente indulgente, quest’analisi non è del tutto errata. Più propositivi e attenti, nella prima frazione la colpa principale dei Red Devils è stata l’incapacità di capitalizzare su almeno tre occasioni cristalline. Sarebbe poco oggettivo, tuttavia, parlare unicamente di sfortuna, specialmente alla luce di un secondo tempo di totale regressione. I problemi difensivi del Manchester United – già lamentati da Mourinho stesso in fase di mercato – sono sempre più evidenti: dopo l’infortunio di Jones (già autore di un fallo da rigore non sanzionato e colpevole sul primo gol), la performance di Lindelof è da mani nei capelli. Un retropassaggio pericolosissimo e un intervento aereo fallimentare creano seri dubbi sulla sua affidabilità.
Anche la fase offensiva è decisamente insufficiente. L’incapacità trasformativa sia di Lukaku che di Lingard è preoccupante, specialmente al netto del numero di occasioni (alcune davvero impossibili da sbagliare) create dalla squadra. Agli errori dei giocatori si aggiungono anche alcune scelte quantomeno discutibili del manager. È ad esempio difficile spiegarsi perché Sanchez non abbia visto il campo prima del 55′, entrando a sostituire un Herrera a lungo impiegato come difensore, o ancora per quale motivo il terzo cambio – con lo United in quel momento già sotto 2-0 – abbia portato in campo Fellaini, con Rashford rimasto in panchina per tutta la gara. Più tardi, in conferenza stampa, Mourinho si dirà certo del supporto dei propri tifosi («l’unica cosa che conta»), portando gli applausi a fine gara come prova. Applausi che, sì, ci sono stati, ma da parte dei pochi tifosi rimasti a vedere la partita fino al fischio finale.
I problemi fuori dal campo
Una tra le tattiche più note di Mourinho, che del “fuori campo” ha sempre fatto una trincea, è l’indirizzare le critiche della stampa nei tempi difficili su se stesso, schermando così i propri giocatori dalle tensioni. Ciò cementava un rapporto già solido tra squadra e allenatore, creando un clima di fiducia totale e reciproca. Allo United, invece, la fiducia è proprio ciò che manca. Atteggiamenti sia espliciti che impliciti ne hanno dimostrato la mancanza in entrambe le parti. Quando gli viene domandato quale sia la sua migliore linea difensiva, risponde che non lo sa. Se gli viene chiesto in che stato di forma versi la squadra e che opinione abbia dei suoi giocatori, si rifiuta di rispondere. Sulla difesa, decisamente il peggior reparto, Mourinho dichiara che «ci sono cose che non si possono risolvere». In un simile clima, è difficile pensare che le cose possano migliorare.
Anche alcune dichiarazioni da parte dei giocatori hanno fatto pensare ad un equilibrio sempre più fragile. In particolare, dopo la sconfitta contro il Brighton, Pogba aveva dichiarato di non poter dire ciò che pensa dell’allenatore per paura di essere multato. Parole che certamente non lasciano immaginare nulla di buono. Sembrano molto lontani i giorni in cui solo grazie alla propria personalità e capacità di costruire un ambiente coeso, Mou era in grado di ottenere dai propri giocatori tutto quello che erano in grado di dare e anche qualcosa di più. Anche il mancato arrivo del centrale difensivo richiesto in estate può scaricare ben poche colpe sulla società. Dall’arrivo di Mourinho nel maggio 2016, il Manchester United ha speso 432 milioni di euro per costruire una squadra secondo i suoi desideri, ricevendo in cambio risultati non troppo esaltanti.
L’addio di Mourinho è un finale inevitabile?
No, non necessariamente. Il tempo stringe, questo è indubbio, ma la situazione non è ancora irreversibile. Per salvare la relazione tra Special One e United servirebbe però un grado di umiltà difficile da individuare in Mourinho. Pogba, ad esempio, è un giocatore troppo fondamentale per questa squadra per potersi permettere di avere una cattiva relazione con lui. Dopo un’estate di voci di mercato che lo volevano al Barcellona e una serie di pubbliche frecciate, servirà restituire al francese le giuste motivazioni dopo un mondiale, per quanto di successo, decisamente provante. Ugualmente, sarà necessario tornare a valorizzare giocatori come Martial, Rashford e Mata. Una squadra con tanto talento offensivo non può permettersi di risultare tra le meno produttive in campionato.
Per risolvere la disastrosa situazione difensiva, bisognerà consolidare una partnership che non coinvolga centrocampisti riadattati come Herrera, ma dia spazio, fiducia e responsabilità a difensori di ruolo. I “terzi anni” di Mourinho sono famigeratamente noti, ma era evidente sin dall’estate che questo sarebbe stato tra i più duri della sua carriera. Tutte le squadre con giocatori impegnati a lungo nel mondiale hanno bisogno di più tempo per recuperare. Ma una squadra come lo United, che ha chiuso la scorsa stagione con miseri risultati, ne ha specialmente bisogno. Sarà necessario ricostruire la squadra non acquistando nuovi giocatori, ma costruendo con quelli a disposizione una solida “spina dorsale”. Finché la squadra non tornerà a saper camminare sulle proprie gambe, la scelta migliore potrebbe essere un approccio diverso alle conferenze stampa. Sparare a zero sui calciatori e vantarsi dei successi passati, storicamente non è la soluzione migliore in tempi di crisi.