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Clint Dempsey: from zero to hero

Published by
Gianmarco Cenci

Domandare a un fan statunitense chi preferisce fra Clint Dempsey e Landon Donovan è come chiedere a un bambino se vuole più bene al papà o alla mamma. Non c’è una risposta e, anche se ci fosse, si finirebbe comunque per fare un grave torto a quello che non viene scelto. Tuttavia, se a Donovan viene attribuito il merito di essere stata la prima stella del calcio targato USA da un punto di vista mediatico, oltre che sportivo, a Clint Dempsey viene riconosciuta una maggior capacità di adattarsi a realtà calcistiche diverse da quella americana e di risultare decisivo sul campo anche in un campionato ipercompetitivo come la Premier League. Pur non avendo il carisma di Donovan, che lo ha reso la colonna americana dei Los Angeles Galaxy di David Beckham, Dempsey è riuscito nell’impresa di esportare il soccer nel Vecchio Continente, laddove il suo collega si era limitato a brevi e sporadiche apparizioni da comprimario. A 35 anni di età, l’ex attaccante dei Seattle Sounders si ritira: ecco un elogio della sua grande carriera.

Clint Dempsey: una storia americana

Quella di Clint Dempsey è una storia molto americana. È la vicenda di un ragazzo cresciuto in un contesto poverissimo: un campo caravan di Nacogdoches, un paese sperduto nel profondo Texas. Un trailer park boy che, giocando sulla strada, improvvisando partite dove capitava con i suoi amici, perlopiù di etnia ispanica, si è formato a furia di gol, scivolate, botte date e prese, partendo dal basso per arrivare fino all’élite del calcio a stelle e strisce. La sua famiglia, molto povera, fece l’impossibile per permettere a quel ragazzino talentuoso di realizzare il suo sogno – certo non comune fra i giovanissimi americani – di diventare un calciatore professionista. E più di una volta dovette pregare che la sfacciataggine un po’ guascona di Clint non chiudesse anzitempo la sua carriera da soccer player: nei fine settimana, infatti, si ritrovava a giocare contro uomini ben più grandi e grossi di lui, spesso ex calciatori dei campionati centroamericani costretti ad abbandonare il calcio per emigrare negli Stati Uniti, e a irriderli, rendendoli vittime di giochetti che aveva visto in televisione. Non è un caso che il suo mito fosse Diego Armando Maradona e che uno dei suoi più grandi rammarichi sia stato quello di non poter assistere a una sua partita durante il Mondiale americano.

Clint Dempsey da bambino. Foto: Pagina Facebook ufficiale Clint Dempsey.

Riuscì ad affermarsi nel difficile contesto di Nacogdoches, che lasciò per tentare il suo primo grande salto: giocare con i Dallas Texans, una delle squadre più forti dello Stato. Non tralasciò mai i suoi ex compagni di avventura ispanici, che raggiungeva non appena libero dagli impegni con la sua squadra. Nonostante le ristrettezze economiche della famiglia, che doveva sostenere le spese anche per la promettente carriera tennistica della sorella Jennifer, Clint Dempsey riuscì a rimanere in squadra, grazie anche a una colletta delle famiglie dei suoi compagni di squadra, colpiti dal talento del giovane. Purtroppo la sua vita sarebbe stata sconvolta da un immane tragedia: la morte improvvisa di Jennifer per un aneurisma. Fu un duro colpo per la famiglia Dempsey e Clint trovò nella fede la forza per proseguire. Ogni singola partita sarebbe dunque stata giocata per onorare la memoria della sorella scomparsa e tutti i gol segnati sarebbero stati dedicati a Lei.

Clint Dempsey ai tempi dell’Università, alla Furman. Foto: Pagina Facebook ufficiale Clint Dempsey.

Il talento di Clint Dempsey non tardò a essere notato dal sistema universitario americano e iniziarono a giungere, in sua direzione, lettere dalle università, punto di congiunzione fra il calcio giovanile e il professionismo: Notre Dame, SMU e altre. Alla fine optò per Furman, per la cui squadra, i Paladins, giocò per tre anni. Nel frattempo, frequentò i corsi di educazione fisica. Da leader della formazione universitaria, riuscì a imporsi, fino a ricevere, finalmente, la chiamata più attesa: quella del professionismo. Il povero ragazzo che calcava i campi polverosi dei trailer park texani era arrivato in Major League Soccer, indossando la maglia biancorossoblu dei New England Revolution. A Boston, inizia a mettere in luce le sue caratteristiche: diviso fra il ruolo di centrocampista offensivo e seconda punta, segnerà 25 gol in 71 presenze: una media piuttosto interessante, considerando che con i Paladins mise a segno 17 reti in 62 partite. Dempsey non aveva patito il salto di categoria.

Clint Dempsey durante un allenamento con i New England Revolution. Foto: Pagina Facebook ufficiale Clint Dempsey.

Le sue prestazioni per la squadra di Boston attirarono le attenzioni di Bruce Arena, commissario tecnico della Nazionale a stelle e strisce. Venne convocato nel 2004, debuttando contro la Giamaica in una partita per la qualificazione al Mondiale del 2006. Alla sesta presenza con la propria Nazionale, Dempsey segnò il primo di 57 reti, che lo rendono, ad oggi, il capocannoniere della selezione americana – primato condiviso con Landon Donovan. E le sue prestazioni furono così convincenti che venne convocato per la spedizione di Germania 2006, nella quale fu l’unico a mettere a segno una rete, nel 2-1 contro il Ghana. L’altra rete americana fu il famoso autogol di Cristian Zaccardo. Dempsey chiuderà la propria esperienza in Nazionale nel 2017: oltre al record dei gol segnati, sarà il secondo giocatore a segnare in due Mondiali, dopo un altro gigante del calcio a stelle e strisce come Brian McBride.

Clint Dempsey e famiglia ai tempi del Tottenham. Foto: Pagina Facebook ufficiale Clint Dempsey.

Le prestazioni al Mondiale di Germania fecero piovere le prime offerte verso Boston. Dempsey, con la stessa fame che gli aveva fatto scalare le gerarchie della piramide calcistica USA, non vedeva l’ora di confrontarsi con i più duri e competitivi campi europei. La prima offerta arrivò dal Charlton Athletic, ma venne ritenuta troppo bassa e rifiutata. Clint non fu affatto felice, ma con il tempo avrebbe ringraziato: qualche mese dopo sarebbe arrivata la chiamata del Fulham, dove aprì il capitolo più felice della sua carriera. Debuttò nel gennaio del 2007, in un’annata non facile per i Cottagers, che si salveranno nelle ultime giornate. Ma era l’inizio di un’avventura destinata a durare cinque anni, nei quali si tolse diverse soddisfazioni: con i suoi cinquanta gol fu il miglior marcatore nella storia del Fulham in Premier League. Sempre con la squadra di Londra, riuscì a raggiungere la finale di Europa League nel 2010, poi persa contro l’Atletico Madrid. Inoltre, partecipò con un gol alla storica rimonta contro la Juventus, in quel ritorno degli ottavi di finale vinto per 4-1 e giocato al Craven Cottage. Le migliori storie d’amore sono destinate a concludersi e, nel 2013-14, Dempsey disputò l’ultima stagione in Europa: sempre in Premier League, sempre a Londra, ma con la maglia del Tottenham, dove realizzò ventinove presenze condite da sette gol. Gli ultimi, prima di tornare negli Stati Uniti: non più Boston, questa volta si cambia costa. Nel 2013, Clint Dempsey firmò per i Seattle Sounders.

Clint Dempsey in maglia Sounders. Foto: Pagina Facebook ufficiale Clint Dempsey.

Il ritorno in patria di Dempsey è quello di un professionista affermato, che torna a casa per restituire al movimento calcistico americano parte delle fortune che lo avevano reso volto e talento riconoscibile in tutto il mondo. Nella franchigia della West Coast, Clint si renderà protagonista, autore di 47 reti in 115 presenze (intervallate da un prestito di qualche mese sempre al Fulham, durante la pausa calcistica americana). Le fortune calcistiche del ragazzo di Nacogdoches iniziano però a terminare, quando una serie di problemi cardiaci lo mettono fuori gioco fra il 2016 e il 2017. Fa in tempo a segnare l’ultima rete con i Sounders, che lo rendono il miglior marcatore per i Sounders insieme a Fredy Montero. Ormai ai margini della squadra, il 29 agosto del 2018, Clint Dempsey annuncia il suo addio al calcio.

Clint Dempsey: da Nacogdoches al mondo

La carriera di Clint Dempsey si è conclusa: in 15 stagioni di attività ha vinto una Open Cup, una Supporters’ Shield, un Campionato MLS con la maglia verde dei Seattle Sounders e tre Gold Cup con gli Stati Uniti. Ciò che il ragazzo, ormai uomo, di Nacogdoches lascia al soccer va in realtà al di là dei trofei vinti. È entrato in un campionato, quello americano, in piena crescita e riorganizzazione, ne è diventato il prodotto più luminoso e ha convinto anche i più restii europei che no, gli americani non sono digiuni di pallone. In poche parole, ha avuto il merito di rendere credibile il calcio statunitense anche al di fuori dei confini del proprio continente. Fra centrocampo e attacco, dalla Bible Belt all’Europa: tutti i giorni per dimostrare che quel piccolo ragazzino di Nacogdoches ce l’aveva fatta. In onore della sorella Jennifer.

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Gianmarco Cenci

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