Il prossimo 6 novembre gli Stati Uniti di America torneranno al voto per le cosiddette elezioni di metà mandato. A due mesi da una delle date decisive per la sua presidenza, Donald Trump si trova ad affrontare diverse situazioni più o meno scomode. L’estate appena trascorsa è stata piuttosto calda per il presidente USA: il vertice con Kim Joung-Un si è rivelato piuttosto una farsa, la situazione in Siria sta diventando sempre più grave e complessa, e l’indagine sul Russiagate sta mettendo a dura prova la Casa Bianca. A concludere la stagione calda ci ha poi pensato lo scandalo provocato dal libro di Bob Woodward sul mandato di Trump alla Casa Bianca. Gli Stati Uniti si preparano a tornare alle urne il prossimo 6 Novembre per il rinnovo della Camera, di un terzo dei membri del Senato e delle assemblee elettive dei singoli Stati.
Obama contro Trump
A dare il via alla campagna elettorale è stato, negli scorsi giorni, il precedente inquilino della Casa Bianca, Barack Obama. Durante un comizio in un’università dell’Illinois, infatti, Obama è tornato a parlare di politica attaccando duramente il suo successore e l’intero partito Repubblicano. L’accusa rivolta ai conservatori è quella di essersi piegati alle idee estremiste e radicali di Trump, diventando la casa di una «politica della divisione, del risentimento e della paranoia». Da parte sua Donald Trump, durante un comizio in North Dakota, ha commentato l’intervento dell’ex presidente liquidandolo con un semplice «l’ho guardato ma mi sono addormentato».
Obama, inoltre, ha caldamente invitato il popolo americano ad andare a votare in quanto dalla partecipazione degli elettori dipenderà il futuro della democrazia a stelle e strisce. Barack Obama, con la capacità oratoria che lo contraddistingue e che ha contribuito in maniera importante a fargli guadagnare consenso durante le sue campagne elettorali, ha dunque sciolto il suo silenzio e la riservatezza di questi due anni post-presidenza. Quello all’Università dell’Illinois è stato, a quanto pare, solo il primo di una serie di comizi che il 44esimo presidente degli Stati Uniti ha intenzione di tenere da qui a novembre per sostenere i candidati Democratici.
Cosa rivela il libro di Woodward
Intanto, l’attuale presidente degli Stati Uniti in questi giorni è alle prese con il nuovo scandalo provocato dalle prime anticipazioni del nuovo libro di Bob Woodward sulla presidenza Trump. Fear: Trump in the White House è uscito lo scorso 11 settembre, ma ha sollevato un polverone già prima della sua pubblicazione, grazie a degli estratti inediti divulgati dal Washington Post. Il nome dell’autore, inoltre, ha contributo non poco alla crescita dell’interesse intorno alla vicenda da parte della stampa e dell’opinione pubblica. Bob Woodward è infatti un reporter del Washington Post, due volte premio Pulitzer, e noto al popolo americano per aver portato avanti, nei primi anni Settanta, le indagini sul caso Watergate con il collega Carl Bernstein.
Questa volta il giornalista porta a galla alcune storie a dir poco incredibili accadute alla Casa Bianca nell’ultimo anno e mezzo, quello della presidenza Trump. L’immagine che viene fuori del 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America è quella di un uomo completamente ignaro di come funzioni un governo e di come si debba portare avanti la politica estera di una potenza mondiale come gli USA. Sembra che lo staff del presidente sia quotidianamente alle prese con un uomo impulsivo e che quindi sia spesso costretto anche a forzare le procedure consuetudinarie per evitare danni irreparabili. Infatti, Woodward racconta diversi episodi in cui i collaboratori della Casa Bianca tentano di tenere a bada Trump e di come arrivino addirittura a prevaricarlo, togliendo ad esempio dei documenti dalla sua scrivania per evitare che li legga e li firmi. Storie ed episodi incredibili che, a quanto pare, sono all’ordine del giorno a Washington e toccano molti temi importanti della politica americana: dai vertici con il leader coreano Kim Joung-Un, alle decisioni da prendere in Siria, al Russiagate. Ed è stato proprio l’articolo che anticipava una storia riguardante l’indagine sulla Russia a destare maggior sconvolgimento. Il reporter del Washington Post racconta i modi in cui il capo degli avvocati dei Trump, John Dowd, ha tentato di convincere il presidente a non testimoniare nell’inchiesta per paura che commettesse il reato di falsa testimonianza.
Le fonti di Woodward sembrano inoltre essere molto autorevoli e affidabili. Il libro è infatti una raccolta di testimonianze di prima mano di collaboratori ed ex collaboratori del presidente, primo tra tutti John Kelly. Si tratta quindi di testimoni oculari che hanno assistito ai fatti raccontati o ne sono addirittura protagonisti. Tant’è che lo scorso 5 Settembre il New York Times ha pubblicato un articolo anonimo, scritto da un funzionario della Casa Bianca, in cui si confermano le tesi portate avanti da Woodward. L’autore è, a quanto pare, «un importante esponente dell’amministrazione Trump la cui identità ci è nota e il cui ruolo sarebbe minacciato se fosse svelata» spiega infatti la redazione del New York Times nell’introduzione all’editoriale. Nell’articolo ci sono importanti accuse nei confronti dell’operato di Donald Trump, descritto come un incompetente e un uomo senza morale. C’è un elogio, inoltre, ai collaboratori del presidente statunitense, «oscuri eroi» che tentano di placare le manovre spesso avventate e radicali di Trump. L’autore, che si dice parte di questa «resistenza interna», chiarisce di non essere un membro dell’opposizione, anzi di volere il bene di quest’amministrazione, ma non sempre questo “bene” è in linea con le azioni perseguite dal presidente.
Ovviamente Trump ha respinto tutte le accuse, sia quelle uscite fuori dalle anticipazioni del libro di Woodward, sia quelle dell’articolo pubblicato sul New York Times. Il tycoon ha innanzitutto etichettato Fear come «un altro brutto libro», parlando addirittura di truffa. Per quanto riguarda l’editoriale anonimo, invece, il presidente ha prima accusato l’autore anonimo di essere «senza spina dorsale» per non aver fatto pubblicare il proprio nome; poi si è lanciato in un attacco contro «il morente New York Times», uno dei giornali bersaglio della campagna di Trump contro i media americani. Intanto, la Casa Bianca è alla ricerca della «talpa» e lo stesso presidente ha invitato il New York Times a rivelare il nome dell’editorialista e a consegnarlo al governo per ragioni di sicurezza nazionale.
La situazione a due mesi dalle elezioni
Dunque Donald Trump non sembra essere in un buon momento: l’ombra dell’impeachment per il Russiagate e le storie riportate da Woodward e poi confermate dall’anonimo sul New York Times stanno minando la sua popolarità. I dati positivi sull’economia, in crescita da quando Trump è entrato alla Casa Bianca, non sono riusciti a risollevare il consenso del magnate americano. Secondo uno degli ultimi sondaggi condotto dal Washington Post e Abc News, solo il 36% degli americani apprezza l’operato di Trump alla Casa Bianca, mentre il 60% lo boccia completamente. Addirittura, sembrerebbe che il 49% degli intervistati vorrebbe che il Congresso iniziasse la procedura per Impeachment. Certo è che finché le camere sono in mano ai repubblicani, quest’ipotesi sembra quasi impossibile, le elezioni di Mid-term saranno quindi decisive per il futuro della presidenza Trump e per tutta la storia politica statunitense.
La partita delle elezioni di metà mandato, nonostante sarà letta come un giudizio sui primi due anni del mandato di Trump, è però ben diversa dalle elezioni presidenziali. I democratici puntano ovviamente a recuperare almeno uno dei due rami del Congresso, ma la sfida non sarà facile e, soprattutto, si giocherà persone su persona su ogni singolo candidato. Intanto, dalle primarie del Partito Democratico, sono usciti vincitori molti esponenti della cosiddetta “corrente socialista”. Un esempio su tutti è sicuramente la ventottenne ispano-americana Alexandria Ocasio-Cortez che ha vinto nel collegio di New York contro uno dei leader democratici più affermati, Joe Crowley. Forti sostenitori di Bernie Sanders, avversario di Hilary Clinton alle primarie di due anni fa, questi candidati potrebbero essere un’arma a doppio taglio per i democratici: se da un lato potrebbero far riavvicinare l’ala progressista al partito, dall’altro potrebbero allontanare gli elettori di centro e più conservatori. D’altro canto, anche i repubblicani stanno seguendo l’esempio di radicalizzazione, presentando candidati poco centristi e moderati ma più vicini alle idee del presidente Trump.
La storia insegna che il partito del presidente è solito perdere punti alle elezioni di metà mandato, ma oltreoceano hanno imparato a non affidarsi troppo alle consuetudini e ai sondaggi, soprattutto quando in campo c’è Donald Trump. Già nel 2016 l’America si è rivelata essere ben diversa da quella fotografata dai media: New York è poco rappresentativa di quel dedalo di Stati e persone che provano un forte risentimento nei confronti della politica tradizione. L’America vera, quella interna, che due anni fa ha votato il tycoon contro Hilary Clinton, simbolo dell’establishment democratico, vede ancora in lui la persona in grado di risollevare le sorti del paese ed è pronto a riconfermarlo alle prossime elezioni di metà mandato.