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Bello ma non si applica: WoW: Battle for Azeroth

Published by
Alan Pasquali

Gli studenti prima di World of Warcraft: Battle for Azeroth
The Guild 3 – Crusader Kings – Vermintide 2 – Tomb Raider – Frostpunk – Ancestors Legacy – Kingdom Come: Deliverance – Monster Hunter: World


Battle for Azeroth rappresenta la settima e ultima espansione del gigantesco World of Warcraft. Rilasciato il 14 Agosto in tutto il mondo e il 13 nei reami americani, questo titolo non fatica certo a far parlare di sé. Stranamente però il suo lancio si rivela decisamente atipico, forse anche per colpa – o grazie – alle misure applicate da Activision-Blizzard, l’unione tra le due celebri case di sviluppo americane: parliamo infatti di un lancio anticipato all’ultimo mese estivo invece del più classico autunno e di una divisione geografica sostanziale dei punti di gioco. Questo ha infatti garantito, quanto meno per i primi giorni, il corretto funzionamento dei server e ha evitato il classicissimo effetto imbuto così assolutamente tipico dei lanci di qualsiasi MMORPG. Qualche giorno dopo tuttavia questo sistema ha generato un ritorno di fiamma per nulla invidiabile.

World of Warcraft: Battle for Azeroth (against lag)

World of Warcraft sfrutta da parecchio tempo un sistema definito a instance, ovvero ogni singola zona pesa sui server in maniera staccata. Possiamo quasi immaginarlo come una sorta di camera di contenimento: se ci sono problemi in un singolo punto, nessuno al di fuori della zona specifica potrebbe mai immaginare che voi siate chiusi all’interno e stiate soffrendo isolati. Generalmente questa scelta è molto intelligente e permette a buona parte dei giocatori di continuare imperterriti a fare le loro attività preferite, a scapito di qualcuno da qualche altra parte assolutamente impossibilitato a poter fare lo stesso. L’unica discriminante in questo caso è ovviamente quante persone decidano di fare la stessa cosa contemporaneamente. Perché un sistema simile si è rivelato dannoso soltanto a pochi giorni dall’uscita della nuovissima espansione? Probabilmente a causa della poca previdenza di casa Blizzard. Ci troviamo infatti di fronte a un fenomeno assolutamente opposto alle usuali abitudini di lancio, soprattutto in ambito MMO: i primi giorni di gioco sono stati ottimi, grazie principalmente al controllo della progressione dei giocatori. Battle for Azeroth prevede infatti grandi meraviglie e confronti tra fazioni, ma inizialmente divide i giocatori in maniera mai vista prima: parliamo di un diverso continente per fazione, da cui ci si sposterà molto raramente fino al raggiungimento del livello massimo. Questo ovviamente è un toccasana per i server Blizzard, che possono permettersi di suddividere la playerbase più o meno equamente in due diverse instance, a loro volta poi suddivise in altre tre diverse regioni geografiche. Tuttavia bisogna sottolineare come questo sistema non sia assolutamente risolutivo e sia anzi peggiorativo: non fa infatti altro che rimandare l’inevitabile momento in cui l’apparente controllo sulla massa schiumante di giocatori svanirà completamente trasformandosi in entropia pura. O, volendo essere più pratici, se casualmente una World Quest, termine stravagante utilizzato da Blizzard per le più obsolete quest ripetibili giornaliere, dovesse avere una ricompensa particolarmente allettante, tutti si recherebbero a farla immediatamente. Ottenendo così come unico obbiettivo finale di non farla fare a nessuno, bloccando completamente l’instance server di quella zona e ricordando a tutti perché gli MMORPG siano da anni a questa parte un genere morente.

Protagonisti tutti al femminile per i corti animati di Battle for Azeroth: Jaina, Azshara e Sylvanas.

I problemi di Battle for Azeroth quindi non sono temporanei come nelle altre espansioni, ma sembrano iniziare non appena si incomincia ad avere accesso al contenuto di fine gioco: parliamo infatti di contenuto limitato sì nel numero, ma pur sempre collegato a una instance che ospita tante diverse microlobby, come per esempio un’arena, un raid, un dungeon o anche solo una island expedition, nuovissima riedizione delle spedizioni di Pandaria ambientata sulle isole, quindi classificata come nuovo contenuto. La sezione di Activision-Blizzard dedicata allo sviluppo ecosostenibile è in costante rialzo grazie al riciclo continuo nei suoi titoli principali. Riciclo che non non ha sfortunatamente interessato uno dei settori in teoria più curati di WoW, ma che in Battle for Azeroth invece sembra essere stato realizzato con poca coerenza: l’ambientazione. Quando ci riferiamo alla poca coerenza però guardiamo principalmente alla scrittura, ovvero la parte più debole di Battle for Azeroth. Già da parecchio tempo infatti abbiamo assistito a un calo costante nella qualità della linea narrativa principale di World of Warcraft, che dopo quattordici anni sembra avere un po’ smarrito sé stessa. Già passando attraverso Cataclysm e Pandaria ci siamo accorti di come il gioco ormai avesse esplorato buona parte di tutto il territorio esplorabile mantenendo il terreno di gioco inalterato e di come fosse complicato collegare assieme nuovi e vecchi giocatori. Per ridare quindi una nuova spinta alla già esausta storia di World of Warcraft si è tentato di recuperare vecchie glorie con Warlords of Draenor e Legion, avviando un gigantesco retcon in grado di far impallidire persino End Times. Il risultato, ovvero Battle for Azeroth, ci fa però chiedere se questa volta non fosse il caso di lasciare stare. Ci troviamo di fronte infatti a una serie di decisioni, prese dai personaggi dell’ambientazione, che sono generalmente incoerenti tra loro e che assumono assolutamente pochissimo senso se confrontate all’arco narrativo. Queste decisioni sono tuttavia assolutamente coerenti con il piano Blizzard principalmente intento nel riportare al centro dell’attenzione il concetto di appartenenza tipico dei bei tempi andati.

A volte il termine “Alliance dog” può assumere delle prospettive molto letterali. Genn Greymane può confermare.

Battle for Azeroth è infatti principalmente incentrato sul contrasto tra le due principali fazioni di World of Warcraft, Alleanza e Orda, che nelle ultime espansioni erano invece state portate il più vicino possibile dalla presenza di contingenze assolutamente più importanti dell’odio reciproco o del campanilismo più sfrenato. Così come in altri ambienti però, il concetto di mutuo rispetto e di unione dei momenti di difficoltà sembrano non aver pagato particolarmente ed ecco che ci troviamo a fare un radicale e repentino cambio di marcia: World of Warcraft torna finalmente a essere noi contro di loro e loro contro di noi. Ideologicamente può non sembrare la scelta migliore per tutti, ma a livello di gioco che cosa significa questo per il singolo? Ironicamente un sacco di scelte particolarmente azzeccate. Parliamo infatti di un rifacimento completo del sistema di pvp e wpvp, di una modifica radicale al sistema di classificazione dei server e in generale di tantissime ottime scelte nell’ambito di qualità di gioco. Andiamo però con ordine e osserviamo meglio i cambiamenti a pvp e wpvp, che per gli amici meno informati significa semplicemente world pvp, ovvero scontrarsi con gli altri giocatori nel mondo di gioco. Fino a Legion tutti i server di World of Warcraft possedevano una classificazione ben definita, che in genere serviva a capire se si potesse essere uccisi a ripetizione da gruppi di tre o quattro rogue mentre si cercava di fare le quest tranquillamente. Con Battle for Azeroth questa decisione è molto meno definitiva, ci viene infatti permesso di decidere se si voglia essere uccisi a ripetizione per un bonus del 10% ai nostri guadagni semplicemente attivando una praticissima modalità di gioco, definita Warmode, comodamente dalla nostra capitale di fazione. Poter decidere se, come e quando essere uccisi a ripetizione è senza dubbio un incredibile passo avanti. Fortunatamente il 10% di bonus riesce a giustificare l’attivazione della modalità pvp quel tanto che basta da non renderla tassativa per non rimanere indietro, portando quindi solo coloro a cui veramente interessa uccidersi vicendevolmente in continuazione in quel delirio costante che è il pvp.

Da un po’ di tempo a questa parte Magni Bronzebeard si è cristallizzato sulle sue posizioni. Sarai lui a donarci il nuovo oggetto per cui farmare come dei disperati.

Parlando invece dell’altra faccia della medaglia, ovvero del pve, o per i più affezionati del dragonslaying, ci troviamo di fronte invece a un netto peggioramento. Il pve nel mondo non è altro che la stessa identica ripetizione di missioni giornaliere che già conosciamo da Warlords of Draenor e che non abbiamo tanto amato in Legion. A livello di personalizzazione delle classi ci troviamo di fronte invece a una disparità molto marcata, soprattutto dal punto di vista degli obbiettivi finali da dover raggiungere. Gli sviluppatori di World of Warcraft hanno infatti cercato di avvicinarsi il più possibile a dei concetti di classe ben specifici, ciò che definiscono class fantasy, ma che a molti tuttavia appaiono spesso confusi o applicati in maniere che vanno in diretto contrasto con un utilizzo chiaro o con il ruolo che dovrebbero ricoprire. Anche dal punto di vista delle meccaniche di espansione Battle for Azeroth riceve in eredità il sistema del potere artefatto, che ha caratterizzato Legion, leggermente modificato. Parte integrale di questa modifica è l’interazione del livello del proprio artefatto con i bonus legati ad alcuni pezzi di equipaggiamento, che a oggi andranno a sostituire completamente i vecchi set bonus che caratterizzavano i raid. Set bonus che riducono anche il peso per gli artisti del team Blizzard, che se prima doveva andare a creare un diverso tema per ogni classe al momento con Battle for Azeroth si può accontentare di suddividere le proprie risorse tra i soli quattro tipi diversi di armatura disponibili al momento in gioco, andando però di fatto a distruggere quella diversità tipica e intrinseca che starebbero cercando di implementare con le modifiche meccaniche alle abilità. Non si capisce quindi se realmente gli sviluppatori si attengano al concetto di class fantasy in maniera così stretta sempre, o lo facciano solo quando risulti più comodo per giustificare le proprie azioni. Azioni su cui persino il game designer Ion Hazzikostas ogni tanto pare non avere risposte chiare e coerenti, cosa che per esempio possiamo rilevare sul criterio di equipaggiamento degli oggetti, in teoria semplificato per prediligere il livello oggetti, in pratica sempre in discussione.

A quanto pare andare in giro bruciando alberi giganti potrebbe non essere la scelta più intelligente dell’espansione.

Azerite? No grazie

Appaiono quindi evidenti le decine e decine di motivi per cui sia facile osservare il passato di World of Warcraft con nostalgia: sviluppatori che sembrano brancolare nel buio, l’abbandono di una trama molto ben stabilita per tentare di riportarla in carreggiata, in generale il lento declino del genere degli MMORPG, il costante riciclo di qualsiasi genere di contenuto anche solo a livello concettuale, spesso reinserito in maniera incompleta o leggermente tagliata. Bisogna però ricordarsi del proprio passato senza rimpiangerlo, e riconoscere che rispetto al 2004 World of Warcraft abbia fatto incredibili passi, avanti o indietro che siano, da gigante, e che vi sia certamente un motivo se a oggi sia uno dei pochi MMORPG ancora in grado di portare avanti un fatturato senza dubbio impressionante, ma anche solo leggermente degno. Perché quindi Battle for Azeroth sia degno di nota bisognerebbe che si applicasse un pochino di più sui suoi punti di forza ma che riuscisse anche a risolvere questa sorta di crisi d’identità lunga dieci anni, e che capisse se World of Warcraft in generale ormai si senta più RPG o più MMO.

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