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I cinque dischi fondamentali di Lucio Battisti e Mogol

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Vittorio Comand

Il 9 settembre 2018 correva il ventesimo anniversario della morte di Lucio Battisti: amatissimo sia dal pubblico che dalla critica, Battisti rimane ancora oggi un punto di riferimento nel panorama musicale italiano, grazie alla sua maestria nel creare dischi dagli arrangiamenti curatissimi e trainati da una continua ricerca ed evoluzione, ricchi di contaminazioni dai generi più disparati. Ad affiancarlo come paroliere nella parte più florida della sua carriera è stato Mogol, con cui collaborerà fino al 1980, anno in cui Battisti scioglie il sodalizio artistico per dedicarsi a progetti ancora più sperimentali assieme a Pasquale Panella. Senza voler screditare gli album realizzati con Panella, che per anni sono stati oggetto di discussione sia per i fan che per i critici, per fornire una guida sulla musica di Lucio Battisti parrebbe più appropriato concentrarsi sugli anni con Mogol: ecco allora un elenco di cinque dei dischi più belli e importanti di Battisti e Mogol, scelti tenendo conto sia il parere del pubblico che quello della critica.

Copertina del disco Anima latina di Lucio Battisti.

5) Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera

Pubblicato nel 1976, Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso eccetera trae fortissima ispirazione dal funk, dal soul e dalla disco music: come si evince dal titolo è la sezione ritmica ad assumere un ruolo fondamentale in questo disco, alla pari di Battisti stesso. Certo anche gli altri strumentisti non sono da meno: in particolare, alla chitarra e al mandolino c’è Ivan Graziani, a qualche mese di distanza dal diventare un musicista di successo come solista.

Oltre alla presenza di una reinterpretazione di La compagnia, canzone scritta da Mogol e Carlo Mussida nel 1969 per Marisa Sannia, le altre otto tracce sono pulsanti e trascinanti brani con fortissime contaminazioni dalla black music: per esempio, per i primi due minuti Il veliero può tranquillamente essere scambiata per un brano di Nile Rodgers, mentre Io ti venderei è un pezzo dance giocato tutto sull’incastro fra batteria e basso. C’è anche tempo per un’inaspettata deviazione in Messico con la ballata in stile mariachi Respirando, ma la punta di diamante che da sola racchiude il sapore del disco è la traccia d’apertura, nonché singolo di punta del disco, Ancora tu: dialogo fra due ex fidanzati ancora innamorati l’uno dell’altra, il brano è costruito su un meraviglioso intreccio fra la sezione ritmica, synth e chitarra ed è impreziosito dal tipico falsetto battistiano nel ritornello. Un climax di passione che, dalla timidezza iniziale, culmina nella disperata consapevolezza che l’amore fra i due non è mai finito.

4) Il nostro caro angelo

Il nostro caro angelo è un disco che arriva a un punto di intersezione nella discografia di Lucio Battisti: è forse qua che si inizia a percepire il bisogno di ricerca e di sperimentazione del cantante, questa volta in studio con una formazione ridotta all’essenziale e con un deciso cambio di rotta verso una musica più ruvida. Questa svolta verso il rock si coglie subito in Ma è un canto brasileiro, sferzante e attualissima critica alla pubblicità ingannatrice e al dilagante consumismo della società, dove la graffiante energia delle strofe si contrappone alla delicatezza del ritornello-jingle pubblicitario.

La maggiore durezza dei suoni è accompagnata allo stesso modo dalla asprezza dei testi: per esempio la stessa title-track, dal titolo fuorviante, è un criptico ma feroce attacco alla Chiesa cattolica, o ancora la misantropica Le allettanti promesse dipinge ironicamente la vita corrotta in città in contrapposizione a quella, pura, della campagna. Il tema bucolico compare anche ne La canzone della terra, sperimentale composizione tribale dominata dalle percussioni e in cui Battisti assume il ruolo del padre-padrone possessivo. Ma ne Il nostro caro angelo trova anche spazio una delicata ballata fra le più riuscite della coppia: La collina dei ciliegi, traccia che apre il disco, è una canzone memorabile, con alcuni dei migliori versi mai scritti da Mogol (e respirando brezze che dilagano su terre senza limiti e confini, ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini). In quegli anni però molti si soffermarono maggiormente sui boschi di braccia tese citati all’interno del testo, vedendoci erroneamente un richiamo al fascismo.

3) Il mio canto libero

Una schiera di mani rivolte verso l’alto su sfondo bianco: questa è la semplice ma iconica copertina de Il mio canto libero, settimo album studio della discografia di Lucio Battisti. Nonostante sia composto da appena otto tracce, Il mio canto libero contiene molti fra i più noti brani del repertorio di Battisti, diventando un punto fermo nella sua carriera e cristallizzando una delle fasi in cui è più amato dal pubblico: già a partire dall’inizio con La luce dell’est, in cui il ricordo di una breve ma intensa storia di passione con una donna straniera nel passato si dirada di fronte al volto dell’amata nel presente, fino alla celeberrima title-track, diventata un classico della musica leggera italiana, passando per la struggente Vento nel vento e per Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi…, uno dei momenti di massima ispirazione lirica per Mogol.

Gli altri brani presenti nel disco però non sono da meno: si passa dall’irriverenza libertina di Luci-ah alla scarna e sofferta L’aquila, fino all’ironico rovesciamento di ruoli in Gente per bene e gente per male, dove il protagonista viene respinto all’ingresso di una festa e, vagando per la città, incontra una prostituta (che finirà col chiamare gentile signora) che gli si offre senza chiedere soldi in cambio.

2) Anima latina

Figlio di un tour promozionale fra Argentina e Brasile avvenuto nel 1974, Anima latina rappresenta uno dei punti più alti della discografia di Battisti: in netto contrasto con la forma pop più canonica dei dischi precedenti, Anima latina segna una notevole evoluzione stilistica, un concept album caratterizzato da arrangiamenti estremamente curati e ricercati e da sviluppi sperimentali ben definiti. I testi sono molto ridotti per lasciare maggiore spazio alla musica e si soffermano in particolare sulla dicotomia fra uomo e donna, sospesa fra il dramma della separazione e l’erotismo più sfrenato e immersa in un ambiente urbano desolato.

I complessi paesaggi sonori realizzati dagli eccezionali musicisti chiamati in studio per l’occasione, personaggi del calibro di Ares Tavolazzi, Tony Esposito e Bob Callero, sono il risultato della ricerca di un punto di incontro fra la ritmiche vitali ed energiche della musica sudamericana e le complesso stratificazioni tipiche del filone progressive, all’epoca particolarmente in voga. Lo scopo di Battisti, nel realizzare un progetto così ambizioso, è quello di fare in modo che l’ascoltatore assuma un ruolo attivo in funzione dell’opera: giocando con i volumi della voce e degli strumenti, Battisti costringe l’ascoltatore a un ruolo attivo, imponendogli di porre attenzione sulla musica per cogliere appieno le parole che canta, invece di subire il disco passivamente.

Dopo un’iniziale stroncatura, nel corso degli anni Anima Latina si è guadagnato il titolo di capolavoro, influenzando ancora oggi nuove generazioni di musicisti (appena l’anno scorso, il duo Coma_Cose ha esordito con il singolo Anima lattina, chiaro omaggio al disco di Battisti).

1) Emozioni

Emozioni, più che un disco vero e proprio, è un’antologia di quanto realizzato fino a quel momento dalla coppia Battisti e Mogol. Dodici tracce che esplorano le sofferenze dell’amore e sono ancora oggi annoverate fra i grandi classici del pantheon della musica leggera italiana: c’è la disperazione di fronte a un amore irraggiungibile nel blues elettrico di Il tempo di morire, tema che ricompare anche in Anna, impossibile oggetto del desiderio; in Fiori rosa, fiori di pesco invece c’è il tentativo disperato di riconquista verso una donna già nelle braccia di un altro uomo; e ancora (solo per citarne alcune) ci sono 7 e 40, Io vivrò senza te, Dieci ragazze, Mi ritorni in mente, fino alla stessa Emozioni: non c’è una canzone che passi in secondo piano rispetto alle altre, tanto sono diventate diffuse nella cultura popolare italiana.

Emozioni è il disco che meglio può descrivere la perfetta sinergia fra le composizioni e l’interpretazione di Lucio Battisti e i testi di Mogol: solo dicendo questi due nomi, impossibile non pensare a uno dei brani contenuti all’interno di questo disco, sintesi della prima parte della carriera del cantante reatino e con alcuni dei versi più memorabili di tutta la musica italiana. Per dirla in breve, Emozioni fa parte della colonna sonora della nostra vita, un disco iconico fin dalla sua copertina, quel profilo di Battisti in controluce incastonato nel nostro immaginario collettivo.

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Vittorio Comand

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