A che cosa serve l’Unione Europea? Per tutelare gli interessi prima politici e poi economici di stati sovrani che condividono simili visioni del mondo in termini di diritti umani e democrazia. Infatti, se è vero che l’unione fa la forza, è altrettanto vero che l’unione è possibile solo con chi condivide ideali politici simili. Una democrazia infatti andrebbe contro i propri principi aiutando con accordi economici favorevoli uno stato autoritario in cui il governo non è regolato da nessun contropotere. Tuttavia, due ex repubbliche socialiste all’interno dell’Unione stanno minando con la loro ideologia sovranista ed autoritaria (e di conseguenza euroscettica) i principi fondatori delle democrazie europee. L’Ungheria e la Polonia hanno come obbiettivo intrinseco nella visione politica dei loro governi quello di distruggere l’Unione come la conosciamo, trasformandola in una serie di accordi economici a loro vantaggiosi senza etica.
Innanzitutto, di quali valori e diritti parliamo? La prima parte dell’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea (TEU) recita: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze». Questi elementi fondanti sono poi espressi nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000 (art. 6 TEU). Difatti i diritti confermati nella carta sono protetti da tutti i sistemi giuridici dei paesi dell’Europa occidentale, poiché su questi sono costruiti il nostro vivere civile e la nostra democrazia liberale, cardini dell’Unione. Una maggiore coesione politica ed economica degli stati europei è stata fino a oggi possibile per questi principi comuni che garantiscono a ciascuno stato fiducia, collaborazione e sicurezza nei confronti degli altri membri. Gli stati membri hanno costruito il mercato unico europeo e le istituzioni europee dopo la seconda guerra mondiale solo perché questi potessero proteggere non solo gli interessi economici, ma soprattutto i diritti civili del loro cittadini conquistati in anni di lotte a partire dalla rivoluzione francese. L’Unione Europea fino a oggi non ha mai rinnegato diritti quali: il rispetto della dignità umana (art 1 della Carte dei diritti fondamentali UE), la libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art 10), di espressione (art 11), di riunione e di associazione (art 12), l’uguaglianza davanti alla legge (art 20), la diversità̀ culturale, religiosa e linguistica (art 22) e il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale (art 47). Senza questi non esiste Unione.
Ebbene Polonia e Ungheria, due paesi dell’Unione europea, da anni violano sistematicamente questi principi per difendere le loro identità nazionali. I due paesi hanno storie simili. Infatti, entrambi hanno combattuto per liberarsi dall’autoritarismo sovietico ed entrambi dopo un decennio di governi di centro-sinistra sono ricaduti nello stesso autoritarismo questa volta perpetrato dagli esponenti dell’estrema destra.
Eclatante è il caso della Polonia. Questo paese è famoso per essere stato il primo ad aver goduto di libere elezioni nel blocco sovietico. Dopo un decennio di lotte, il celeberrimo movimento Solidarność ruppe la cortina di ferro vincendo le elezioni parlamentari del 5 aprile 1989. Non solo Solidarność vinse, ma allo stesso tempo il suo leader Wałesa fu uno dei più attivi promotori dell’adesione delle ex repubbliche socialiste all’Unione Europea. La ribellione della Polonia ebbe un effetto domino sulle altre nazioni sotto il giogo dell’URSS, che divennero indipendenti agognando quelle libertà e quei diritti di cui già godeva l’altra metà dell’Europa. Nel 2004 l’Unione accorda a dieci paesi, tra cui Ungheria e Polonia, l’ingresso nell’Unione, in quello che è stato il più grande ampliamento dell’UE in un colpo solo sia in termini di superficie che di numero di abitanti. Per aderire all’Unione i paesi richiedenti dovettero dimostrare di aderire ai cosiddetti Criteri di Copenaghen e cioè aderire alla libera circolazione delle merci, al rispetto dei diritti umani, a uno stato di diritto con chiara suddivisione dei poteri e a una sana democrazia.
Nonostante le previsioni per il futuro dell’Europa nel 2004 sembrassero rosee, l’UE allora compì un grave errore, cioè quello di non pensare a contromisure efficaci nel caso in cui queste giovani democrazie si mostrassero inadempienti in futuro ad alcuni dei criteri o dei diritti sopracitati. Gli stati membri del mondo libero furono accecati in parte da un’incrollabile fede nella globalizzazione a trazione USA, e in parte dal fatto che le potenze europee con una ricca storia di democrazia proiettarono, forse inconsciamente, la forza delle loro istituzioni nel giudizio sull’affidabilità dell’equilibrio dei poteri delle giovani democrazie dell’Europa dell’est. Tuttavia, le istituzioni di questi paesi si sono rivelate presto fragili e la costituzione degli stessi non è riuscita ad arginare l’autoritarismo governativo.
Il primo stato dell’Unione nel quale il governo nazionale ha piegato le istituzioni a proprio favore in una svolta autoritaria fu l’Ungheria con i governi di Viktor Orbàn. Il primo gennaio del 2012 nel paese magiaro entra in vigore la nuova costituzione che László Kövér, presidente del parlamento di Budapest del 2010 ad oggi, definì «una risposta al cammino obbligato verso il liberismo». La riforma costituzionale e le sue successive modifiche sono una svolta autoritaria. In primo luogo, non solo viene eliminato ogni potere sostanziale alla corte costituzionale, ridotta a un ruolo puramente formale, ma tutte le decisioni della corte prima del 2012 vengono eliminate retroattivamente. Successivamente, la riforma limita la libertà di espressione, da una parte imponendo a nessun ente di «infangare la dignità della nazione ungherese», dall’altra vietando ai media privati di fare compagna elettorale per i candidati prima delle elezioni nazionali. L’Ungheria oggi limita anche la libertà di circolazione all’interno dell’area Schengen per gli studenti universitari: se questi hanno ricevuto una borsa di studio, dopo la laurea saranno infatti obbligati a trovare lavoro all’interno dell’Ungheria. Infine, la riforma ripristina leggi considerate come incostituzionali dalla Corte Suprema Ungherese quali: il divieto ai cittadini di dormire per strada, il permesso di perseguire penalmente i senzatetto e l’esclusione delle accezioni di famiglia non conformi al modello tradizionale di importazione cristiana. Un costituzionalista ungherese, Kolláth György, disse degli emendamenti alla costituzione quanto questi «distruggono il sistema della divisione dei poteri e rinnegano la cooperazione tra gli organi costituzionali […] è un rifiuto dei valori Europei che l’Ungheria aveva una volta così volenterosamente accettato».
In questo senso le violazioni della Polonia nei confronti dei principi dell’Unione risultano ancora più gravi. Da quanto l’ex primo ministro della Polonia Donald Tusk è diventato il Presidente del Consiglio Europeo, il paese è stato governato dal partito conservatore ed euroscettico PiS (Diritto e Giustizia). Secondo la visione di questo partito, la Polonia oggi sta vivendo un’altra delle tante invasioni della sua storia, questa volta da parte di Bruxelles e degli stati forti dell’UE. Infatti, il partito PiS ha usato il suo potere in entrambe le camere e nella presidenza della repubblica per attaccare l’indipendenza del potere giudiziario. Il partito ha nominato alla Corte Costituzionale solo giudici iscritti a PiS e ha cacciato 1/3 dei giudici della Corte Suprema; entrambi questi atti erano illegali in Polonia ma sono stato votati comunque a legge. Inoltre, l’Economist il 21 Aprile 2018 riporta come PiS ha allontanato dalla pubblica amministrazione 11.300 funzionari e 280 ufficiali dell’esercito per «pericolosi legami con il comunismo». Anche qui la libertà dei media è stata minata: Reuters l’11 dicembre 2018 racconta di come la Tv privata TVN24 sia stata condannata a 415.000$ di multa per aver mostrato in diretta le immagini delle proteste della minoranza in parlamento. Il governo dichiara di non essere altro che l’espressione del volere del popolo, o almeno della parte di esso che può manifestare, come i 60.000 ultranazionalisti e naziskin che appoggiati dal governo hanno marciato sotto lo slogan «Europa bianca di nazioni fraterne» l’11 novembre del 2017, giorno della festa nazionale polacca.
Cosa può fare l’EU per difendere gli interessi per cui è nata? Quasi nulla. Recentemente la Commissione, stufa dei continui rifiuti del governo polacco di rivedere le leggi sulla giustizia, ha attivato l’articolo 7.1 del TEU, soprannominato “opzione nucleare” per la prima volta nella storia. Questo articolo permetterebbe di privare la Polonia del suo diritto di voto e rappresentanza nelle istituzioni europee fino alla reintroduzione dello stato di diritto. Tuttavia, è una battaglia persa in partenza per l’UE poiché l’articolo sette entra in vigore solo se c’è l’unanimità del Consiglio, e uno stato è disposto a difendere a tutti i costi la Polonia: l’Ungheria. Così questi due paesi mentre da un lato beneficiano di tutti le agevolazioni economiche del mercato unico e dei fondi europei, dall’altro platealmente rifiutano i valori su cui l’Unione è stata fondata senza alcuna conseguenza. In questo modo le relativamente forti economie dell’Europa occidentale garantiscono a governi autoritari una potente stabilizzazione economica e la partecipazione a un mercato molto redditizio per paesi con un così basso costo del lavoro ed economie emergenti. Di fronte a questa minaccia al cuore delle istituzioni europee, gli altri stati membri devono fare una scelta: o un’unione fondata sui valori liberali, o una serie di accordi di convenienza economica fondati sul sovranismo. Questa è un’importante decisione strategica che i governi devono compiere per capire come muoversi nel lungo periodo. Bisogna decidere, in sintesi, se salvare l’UE o difendere la Polonia, l’Ungheria e chiunque non rispetti il senso occidentale di democrazia; non esistono compromessi.