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Stagione NBA: tre squadre non favorite da seguire

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Davide Romeo

La stagione NBA è finalmente iniziata. Archiviata una delle offseason più bollenti delle ultimi anni, che ha visto – tra gli altri – il clamoroso trasferimento di Lebron James ai Los Angeles Lakers, è possibile concentrarsi sul basket giocato. Tralasciando i banali pronostici sulla vittoria finale – che convergerebbero inevitabilmente su una nuova vittoria finale dei Golden State Warriors – quali sono le compagini meno note da seguire, magari come seconda o terza squadra preferita, nel campionato cestistico migliore al mondo?

Denver a caccia del salto di qualità

La franchigia del Colorado, per tanti anni casa del nostro Danilo Gallinari, in primavera ha mancato per un pelo l’accesso ai playoff. Il mercato estivo è stato focalizzato sui rinnovi, cercando di non perdere i giocatori di talento già a roster. Su tutti spicca l’estensione del contratto del centro di nazionalità serba Nikola Jokic, uno dei lunghi più tecnici della lega, che potrebbe vivere la stagione NBA della sua definitiva consacrazione. Dotato di grandi abilità di passaggio, capacità di aprire il campo con il suo tiro dalla distanza e con le caratteristiche fisiche giuste per catturare molti rimbalzi, Jokic ha totalizzato 18 punti, 10 rimbalzi e addirittura 6 assist di media nel corso della scorsa annata. A soli 23 anni, il suo potenziale è ancora molto alto ed è la stella della squadra, ma per fortuna non si trova certo a predicare nel deserto: il trio di esterni composto da Jamal Murray, Gary Harris e Will Barton ha le potenzialità, stando ai numeri, di piazzare 50 punti ad allacciata di scarpe. Si tratta di giocatori giovani con ancora grandi margini di miglioramento e che hanno mostrato già costanza nello sviluppo e nel rendimento nelle scorse stagioni.

Nikola Jokic dei Denver Nuggets. Foto: David Zabulowski

Il rientro di Paul Millsap e l’ingaggio del play Isaiah Thomas, due All-Star in cerca di riscatto dopo i problemi fisici del 2017-18, non è assolutamente da sottovalutare. Millsap è un ala grande, uno dei migliori interpreti dell’accezione moderna di questo ruolo: si tratta di un giocatore completo, dotato di diverse dimensioni offensive ma soprattutto in grado di ancorare la squadra difensivamente; Isaiah Thomas, nonostante sia un playmaker alto appena 175 centimetri, nel giusto sistema offensivo è stato in grado di contendere il titolo di MVP – seppur da netto outsider – a mostri sacri come Westbrook, Harden e Curry.

I Nuggets hanno un intrigante mix di giovani promesse in grado di fare il salto di qualità e di veterani affidabili in cerca di redenzione. Se quest’anno riusciranno a trovare il giusto equilibrio difensivo, col rodato e spumeggiante attacco che si ritrovano, il titolo della Northwest Division potrebbe essere un obiettivo alla portata di questo gruppo. Sono trascorsi cinque anni dall’ultima partita di playoff disputata in Colorado, e i presupposti per spezzare questa maledizione sembrano esserci tutti.

L’interregnum dei Mavericks

Due parole: Luka Doncic. Per chi non lo conoscesse, si tratta di un giocatore che ha già nel palmarés tre vittorie in Liga, due in Copa del Rey, un Eurolega (di cui è stato l’MVP) e un Europeo vinto da protagonista: il tutto prima di compiere vent’anni. Questo classe ’99 che gioca già da veterano ha già incantato con la sua eccelsa visione di gioco, la sua freddezza nei momenti importanti e il suo tiro mortifero, e non è ancora pienamente uscito nemmeno dall’età dello sviluppo. Non è un’esagerazione affermare che varrebbe la pena seguire i Mavs solo per Doncic, che duellerà col pivot DeAndre Ayton, in forza ai Suns, per il titolo di Rookie Of The Year.
La più grande promessa del basket europeo, quasi come seguendo un filo narrativo, è approdata nella squadra capitanata da uno dei giocatori europei più forti di tutti i tempi. Dirk Nowitzki insieme a Luka Doncic, rispettivamente il tramonto e l’alba della carriera, il pioniere del lungo degli anni 2000 e la guardia del futuro: sembra a tutti gli effetti un passaggio di testimone.

I Mavericks non si sono mai convinti a ricostruire da zero, cercando sempre di restare competitivi nonostante il declino di Wunderdirk, e non sempre riuscendoci: il 2017/18 si è concluso con un misero record di 24 vittorie e 58 sconfitte: si tratta del peggior risultato dalla stagione NBA 1997-98, l’ultima prima dell’arrivo di Dirk tramite il Draft: l’ennesimo parallelismo tra lui e Doncic, giunto proprio grazie alla scelta alta dell’ultimo Draft (scambiata con gli Atlanta Hawks) ottenuta grazie al pessimo record dello scorso anno.
In quella che forse sarà probabilmente l’ultima stagione di Nowitzki in NBA, la musica potrebbe cambiare. In estate è arrivato DeAndre Jordan, il rim protector che i Mavs inseguono da anni: dopo essere arrivati a un soffio dall’ingaggiarlo nel 2015, il lungo ex Los Angeles Clippers sembra essere l’uomo perfetto per colmare le lacune che hanno piagato la squadra nella scorsa stagione, sia in difesa – dove è ancora tra i migliori della lega – che in attacco, grazie alle sue doti di rimbalzista offensivo e di finalizzatore sotto canestro. Si tratta di un’aggiunta fondamentale al quintetto titolare, in cui il giovane playmaker Dennis Smith Jr. ha fatto vedere molte buone cose nel suo primo anno in NBA ed Harrison Barnes è giunto ad essere il top scorer della squadra.

Da sinistra, Luka Doncic e Dirk Nowitzki. Foto: Usa Today

Anche se i Mavs riuscissero a restare sani e sviluppare la giusta chimica di squadra, la postseason sembra un obiettivo difficile da raggiungere. Tuttavia la prima (e forse ultima) stagione del duo Nowitzki-Doncic, con un adeguata compagnia di giocatori di talento, merita sicuramente attenzione.

La lenta rinascita dei Brooklyn Nets

Nell’ultima stagione NBA si sono sprecate le lodi per i Philadelphia 76ers, squadra che è riuscita a diventare competitiva tramite la cessione di giocatori di talento in cambio di molte (forse troppe) scelte al Draft. Il cosiddetto “Process” avviato dal GM Sam Hinkie ha incontrato diverse difficoltà – lo stesso Hinkie ha finito per essere licenziato – e ha messo a dura prova i tifosi di Philly, ma infine ha iniziato a dare i suoi frutti.

La storia recente dei Brooklyn Nets è piuttosto simile al Process dei Sixers, pur essendo nata da basi diametralmente opposte: nel 2013 infatti la franchigia di Brooklyn, fresca di nuova proprietà, aveva ceduto tutte le scelte al primo turno dei Draft degli anni successivi per ottenere giocatori di talento ma piuttosto in là con l’età come Kevin Garnett e Paul Pierce. L’ambizioso progetto di costruire una contender in un offseason è fallito miseramente, e i Nets si sono trovati ad essere una delle peggiori squadre della lega per diversi anni, non avendo modo di ricostruire tramite il draft e non avendo appetibilità (o spazio salariale) per attirare free agent di alto livello.

Nelle ultime due stagioni, con l’arrivo del GM Sean Marks e di coach Kenny Atkinson, i Nets hanno iniziato a risalire la china: ingaggiando giocatori snobbati dalle altre squadre, sviluppandoli in utili comprimari e inserendoli in un sistema di gioco costruito su misura, il duo ha ridato speranze per il futuro alla franchigia, che ora si prepara ad affrontare un anno cruciale nel suo processo di ricostruzione. Si tratta infatti del primo in cui avranno nuovamente una potenziale scelta alta al Draft, ma allo stesso tempo anche abbastanza talento per poter puntare all’ultimo seed dei playoff in un Est ormai privo di gerarchie dopo la partenza di Lebron. Pur mancando una stella che possa prendersi la squadra sulle spalle, a roster ci sono elementi che potrebbero fare il salto di qualità: su tutti D’Angelo Russell, playmaker oversized che deve trovare la giusta costanza di rendimento, e Rondae Hollis-Jefferson, ala versatile ed efficace in difesa che ha un impatto simile a quello che aveva Draymond Green alla sua età. Senza dimenticare la guardia Spencer Dinwiddie, una delle rivelazioni della scorsa stagione.

Da sinistra, Spencer Dinwiddie e Rondae Hollis-Jefferson. Foto: Getty Images

In ogni caso, il sistema di coach Atkinson, il cosiddetto pace and space, punta a sopperire alla mancanza di talento individuale, sforzando i giocatori a prendere tiri dalle posizioni più efficienti o scoperte del campo. Potrebbe convenire non puntare a troppe vittorie, allo scopo di ottenere una scelta alta al Draft dell’anno prossimo, ma è pur vero che il roster sembra eccessivamente profondo e in crescita per “tankare” deliberatamente.
Cosa sceglieranno i Nets in questa stagione NBA? La risposta potrebbe darla il povero Sam Hinkie: Trust the Process!

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Davide Romeo

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