Recentemente theWise ha pubblicato un articolo controverso in cui si è raccontato di esempi di genitori no-vax, vegani e queer, descrivendoli come baluardi di un movimento estremo e relativamente chiuso, che, contro la volontà dei figli, riversano su di loro un poco sano impegno sociale. La nota comune è che queste credenze “strane” vengano considerate come falso paternalismo, una protezione della prole che è ben diversa da quella classica.
L’obiettivo di questo articolo invece è quello di considerare le precedenti argomentazioni non come dati di fatto, ma come opinioni personali. Considerandole tali, si rende necessario informare il lettore che esistono argomenti e fatti che le smentiscono completamente e che hanno il supporto della comunità scientifica. Inoltre, le critiche che si vogliono muovere sono indirizzate alle opinioni stesse e non sulla persona che le ha espresse.
Se le premesse sono false, lo sarà anche tutto ciò che segue. Se si inizia pensando che i bambini siano dei contenitori vuoti e passivi in balia delle credenze estreme dei genitori, non si potrà che considerare questi ultimi come dei giustizieri sociali pronti a usare la propria progenie come scudo. Ma se, invece, si considerano i bambini come “selezionatori attivi” le cose cambiano radicalmente. Ridurre i bambini a esseri semplici e facilmente influenzabili è fondamentalmente errato: i bambini non sono degli inetti. A questo si deve aggiungere un’altra considerazione all’apparenza scontata: i bambini non sono tutti uguali. Questo non significa soltanto che i bambini si differenziano da individuo a individuo, ma che sono inseriti in contesti sociali diversi, in culture diverse, con genitori che hanno credenze diverse, a cui loro volta appartengono a contesti diversi, eccetera. Non solo: i bambini non sono tutti uguali perché affrontano tappe dello sviluppo che consentono loro di comprendere e gestire diversamente il mondo che li circonda.
Più precisamente, si deve considerare come avviene lo sviluppo morale: cioè come cambia con l’età la percezione di ciò che viene considerato come giusto e ciò che non lo è. Occorre considerare lo sviluppo morale a livello individuale, a livello di socializzazione, e a livello culturale. Nel livello individuale consideriamo le differenze cognitive, cioè differenze dello sviluppo delle capacità mentali, nel livello di socializzazione consideriamo tutti i rapporti con cui bambini e ragazzi apprendono dai pari e da chi è più grande di loro e, infine, nel livello culturale consideriamo le differenze di ciò che viene considerato come giusto e sbagliato tra le diverse culture. Quindi affermare che i genitori siano i diretti responsabili di ciò che il bambino o la bambina ritengono giusto è un azzardo.
Inoltre, a dimostrazione che i bambini non sono dei ricettori passivi, è importante non dimenticare ciò che si può imparare durante la crescita, soprattutto tramite osservazione. Osservando, i bambini comprendono ciò che è standard e ciò che non lo è. In questo modo giudicano il proprio comportamento come giusto o sbagliato in base a quanto è giudicato “standard”. Simona Sacchi, psicologa e professore associato presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, afferma, nel suo libro Psicologia della moralità, che «questi standard non vengono passivamente assorbiti dal bambino ma dipendono da un processo di selezione di informazioni tra i dati spesso incoerenti provenienti dal mondo sociale e da una serie di variabili legate all’individuo». In altre parole, i bambini sono dotati di agency, cioè la capacità di usare le proprie conoscenze per agire sull’ambiente, sociale e non. È, dunque, vero che il concetto di cosa è giusto è dettato da pressioni dei genitori ed educative ma, continua Simona Sacchi, «è possibile osservare divergenze intergenerazionali dovute al processo di elaborazione individuale dei bambini e dei ragazzi». Per esempio, in uno studio del 2002 su circa 300 studenti dai 3 ai 16 anni, dimostra come non sempre i genitori e i figli abbiano lo stesso livello di pregiudizio nei confronti di altri gruppi, come il genere e l’etnia. Inoltre, se il passaggio di percezione morale tra genitori e figli fosse unidirezionale e infallibilmente diretto, sarebbe nel tempo sempre uguale a sé stessa. La stessa etica vegana non potrebbe esistere. Quindi risulta essere impreciso e indelicato considerare non solo una morale come “negativa” secondo il proprio metro di giudizio, ma anche che questa possa essere un danno trasmissibile da genitore a figlio.
Una volta capito che l’ideologia non è una malattia genetica e che non rimane stabile nel tempo, possiamo passare ai tre gruppi sociali che, nell’articolo, vengono presi come esempio di impegno sociale estremo: i no-vax, i vegani e i queers. Occorre però porre l’attenzione su una questione importante: questi tre gruppi non possono essere accomunati in quanto hanno delle differenze intrinseche molto marcate. Ciò che sembra essere il minimo comune denominatore non è tanto l’impegno sociale quanto il fondamentalismo, inteso come credenza estrema in cui non viene tollerato e accettato chi la pensa diversamente. Ciò che si rischia, a questo punto, è che il lettore rimanga confuso tra ciò che è fondamentalismo e tutto ciò che, per esempio, è legato alla comunità LGBT. Nell’articolo, il genere e l’orientamento sessuale diventano una cosa sola connotata da un non troppo nascosto giudizio negativo. Per diradare la nebbia, può essere utile considerare il genere e l’orientamento sessuale come due binari paralleli. Nel “binario genere” abbiamo due estremi: maschio e femmina. Nel “binario orientamento sessuale” abbiamo, invece, eterosessuale e omosessuale. Si faccia però attenzione a non confondere il genere con il sesso. In estrema sintesi, il sesso biologico è ciò che viene definito geneticamente alla nascita; il genere, invece, è un costrutto che si è costruito culturalmente, sulla base di ciò che dovrebbe essere definito come rappresentativo di mascolinità, ciò che rende un maschio tale, da un lato e femminilità, ciò che rende femmina, dall’altro. Occorre a questo punto affrontare una questione che molti faticano ancora a comprendere e ad accettare: è possibile che qualcuno non si identifichi con il sesso biologico. Esistono infatti persone definite “cisgender”, cioè che hanno una corrispondenza tra identità di genere e sesso biologico, e “transgender”, in cui la corrispondenza è inversa. M.J Barker, ricercatore del Department of Psychology in Social Science della Open University, baluardo della ricerca GRSD (Gender, Sexual, and Relationship Diversity), afferma:
«Some people have a gender which is neither male nor female and may identify as both male and female at one time, as different genders at different times, as no gender at all, or dispute the very idea of only two genders. The umbrella terms for such genders are ‘genderqueer’ or ‘non-binary’ genders»
Quindi, oltre che a oscillare, può succedere anche che ci siano persone che non si identificano con il binario stesso.
Vero è, quindi, che no-vax, vegani e queer hanno in comune una nota di fondamentalismo, ma, per correttezza, bisogna considerare che far parte di questi gruppi non è indice matematico di un attivismo irresponsabile e chiassoso. Altra cosa in comune è che sono tre gruppi minoritari, ma sarebbe sbagliato considerarli simili solo per questo. I no-vax sono un gruppo di persone che combatte una battaglia che si fonda sul falso preconcetto che i vaccini provochino l’autismo e altre conseguenze negative. I vegani, invece, fondano la propria credenza su uno stile di alimentazione, e di vita, alternativo, che ha base sul comportamento morale nei confronti degli animali. I queer non sono un gruppo isolato, ma fanno parte della grande gamma della comunità LGBT, che come base ha il rispetto della diversità in qualsiasi ambito: dal colore della pelle all’orientamento sessuale. Se il contenuto dei gruppi è fondamentalmente diverso, diventa difficile considerarli solo per il presunto attivismo caotico.
I no-vax meritano un giudizio a parte. Risulta poco corretto considerare i membri di questa categoria come dotati di un’essenza che li rende particolarmente suscettibili a sentire orgoglio per battaglie fondate su preconcetti falsi. Bisogna anche considerare altre variabili che possono intercorrere nella percezione di un gruppo antagonista che ha interessi economici. Occorre tenere a mente anche di come le informazioni di massa (soprattutto i social) vengono selezionate e quali target sono indirizzate. Perché se consideriamo i no-vax dei pessimi esempi per i figli, cosa dovremmo dire di chi ha votato Salvini e Trump, personalità sgargianti che hanno basato il loro successo elettorale sul dare responsabilità di complotti a gruppi farlocchi?
Ciò che si vuole contestare qui non è la presenza dell’opinione tout court. Senza le considerazioni dell’autore, un articolo rischia di apparire come il risultato di un illuminato con la scienza infusa, che metaforicamente vomita il proprio sapere su un gruppo di lettori inetti e ignoranti. L’opinione deve avere, però, delle fondamenta solide e dovrebbe tendere a non farsi guidare (troppo) dal giudizio. Utilizzare un esempio di comportamento estremo come rappresentativo di un gruppo sociale è, purtroppo, pregiudizio allo stato puro. Usare come esempio di “devianza” una coppia di genitori queer vestiti in maniera totalmente difforme dal modello casual equivale a paragonare come pericolosi tutti i musulmani usando come esempio i militanti dell’Isis. L’estremo non potrà mai essere rappresentativo della media.
Se si scrive in balia di giudizi affrettati e basati sul sentito dire, semplicistiche e selezionate solo per essere in linea con le proprie ipotesi, si rischia di alimentare quella parte di giornalismo e “informazione fuffa” che costituisce una vera e propria metastasi alla ricerca della verità e all’Informazione, le due colonne portanti del Giornalismo e della Divulgazione. Queste ultime devono ritornare a costruire un bagaglio che consenta al lettore di riconoscere ciò che è fondato da basi scientifiche e ciò che è, invece, il frutto di pura speculazione.
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