Il conflitto civile in Yemen si appresta a entrare nel suo quarto anno di vita e rappresenta il culmine di un’escalation di violenza che interessa il paese almeno da un decennio, ulteriormente intensificato dall’onda lunga delle primavere arabe. La guerra vede contrapposti da un lato i ribelli Houthi, di fede sciita, con forti collegamenti con l’Iran e le forze governative fedeli al presidente Hadi, il quale ha preso il potere come risultato della transizione post-regime di Saleh. Nel corso del conflitto alcuni attori si sono aggiunti come spettatori interessati o come partecipanti effettivi al conflitto (AQAP, filiale della Penisola Araba di Al Qaeda e l’IS) mentre altri sono stati assorbiti o sgominati (come le forze fedeli a Saleh, disperse dopo la morte del loro leader avvenuta l’anno scorso dopo l’emersione dei contatti per il riparo dell’ex presidente in Arabia Saudita.
Le maggiori responsabilità della continuazione a oltranza del conflitto sono, probabilmente, da cercarsi al di fuori dello Yemen: il conflitto altro non è che uno dei molti teatri su cui Riyad e Teheran si stanno sfidando per l’egemonia sul Medio Oriente. Dopo una guerra tanto lunga in un territorio come quello yemenita, dove una costa pianeggiante si contrappone all’interno composto di catene montuose e altipiani, si affacciano spettri che sono ben diversi da quello (per fare un esempio) siriano o libico. La difficoltà nel far arrivare derrate alimentari in quantità significative dove servono è dovuta al blocco delle poche strade disponibili, generando notevoli emergenze.
Nello scorso mese, infatti, le forze appoggiate dalla coalizione saudita hanno stretto d’assedio la città di Hodeida, unico porto rilevante rimasto nelle mani degli Houthi. Le Nazioni Unite, attraverso il portavoce del PAM (Programma Alimentare Mondiale) Herve Veroosel, hanno esposto i propri calcoli che parlano di 12 milioni di individui a rischio: è la più grande carestia da 100 anni a questa parte. I combattimenti intorno alla città stanno impedendo agli effettivi del PAM di spostare verso l’interno le 51.000 tonnellate di frumento che servono per sfamare queste persone per un mese. Vi è inoltre da considerare che lo Yemen importa circa il 90% del cibo che consuma, date le caratteristiche morfologiche della regione che scoraggiano la produzione di cibo in quantità sufficienti. L’ONU e l’Unicef hanno puntato il dito contro le forze aeree della coalizione araba che da settimane stanno attaccando le strutture portuali della città.
L’orizzonte temporale fornito dal portavoce del Programma Alimentare Mondiale è di tre mesi: oltre questo periodo le persone inizieranno a soffrire di denutrizione o a non avere cibo. Questa situazione fa il paio con l’altra grande emergenza di carattere sanitario degli ultimi tempi: un’epidemia di colera che ha colpito diverse migliaia di yemeniti dovuta alla distruzione di vaste porzioni della rete idrica nazionale e al crollo degli standard igienico-sanitari per cause sempre legate al conflitto civile. L’epidemia è stata sventata anche grazie all’intervento dell’Organizzazione Mondale della Sanità che ha organizzato ospedali provvisori e ha visitato diversi abitati (alcuni anche distanti dalle città principali) per curare i malati. In Yemen sono presenti anche diverse ONG come Medici Senza Frontiere.
A inasprire il quadro ci sono anche le catastrofi naturali: nelle ultime settimane il ciclone Luban ha colpito la costa orientale del paese presso Al Ghaydah generando oltre mille sfollati che sono fuggiti verso lo Yemen, ma che secondo le stime dei media arabi potrebbero superare i 4000. Sul posto l’esercito della coalizione saudita sta portando i beni di prima necessità e sta provvedendo alla ricerca dei dispersi. Nessun conto ufficiale è stato ancora diffuso considerando che il ciclone sta ancora imperversando sulla costa.
Ad aggravare ulteriormente la situazione umanitaria c’è una violentissima crisi economica data dalle politiche monetarie espansive del governo legittimo ora riparato ad Aden. Negli ultimi mesi il Riyal, la valuta yemenita, ha perso oltre ¾ del proprio valore: lo scambio con il dollaro è passato dai 250 Riyal agli oltre 700 nel giro di un anno. Tale problema ha generato alcuni screzi nel governo di Aden, con il presidente Hadi che la scorsa settimana ha esautorato dalle responsabilità governative il premier Ben Dagher e ha conferito l’incarico di formare un nuovo governo a Maeen Abdulmalik Saeed.
Come tale rimpasto influirà sul conflitto è difficile da prevedere con esattezza, anche se è possibile anticipare che non cambierà molto né nell’assetto della coalizione né tanto meno nella volontà di Aden di fare pace con Sana’a. Riyad detiene troppi interessi nella stabilizzazione in chiave sunnita del paese data la condivisione di un confine piuttosto poroso. Teheran, dal canto proprio, cerca di promuovere l’espansione politica degli sciiti in Medio Oriente, senza considerare che uno Yemen alleato garantirebbe una maggior influenza su alcune strettoie strategiche come la strada costiera meridionale e lo stretto di Bab al Mandab.
Il conflitto (come spesso accade nelle guerre civili) ad oggi vede una mappa notevolmente frastagliata, dove buona parte del Sud è in mano alle forze governative che si contendono la regione con i separatisti, gli Houthi nel nord divisi su tre fronti (a nord sul confine saudita, presso Hodeida e a sud contro i lealisti) e alcune roccaforti nell’est dove le informazioni provenienti dalle maggiori agenzie d’intelligence indicano una forte presenza di affiliati ai gruppi terroristi di AQAP e Stato Islamico.
Nel nord gli Houthi non solo tengono ancora Sana’a, ma hanno messo più volte in difficoltà i sauditi sul proprio territorio: durante la scorsa settimana i ribelli sciiti sono riusciti a sequestrare alcune armi dopo un raid contro gli eserciti sudanese e saudita nella provincia araba di Jizan. Più a sud gli Houthi detengono stabilmente alcune posizioni in precedenza detenute dall’esercito di Riyad nell’area di Al Dood, sempre nella provincia costiera di Jizan. L’offensiva saudita lungo la strada statale che da Saada conduce ad Abha è stata rallentata da una barrage di artiglieria presso Jabal al Garrah. Sul fronte meridionale la situazione è ancora bloccata presso Taizz, con l’esercito che ha circondato la città e preme per riprenderla. Il punto maggiormente dolente è, inevitabilmente, l’assedio di Hodeida, che rischia di tagliare fuori gli Houthi e chiuderli in una sacca senza possibilità di rifornimento.
La guerra in Yemen non occupa molto spazio sui media nazionali in quanto pochi rifugiati arrivano in Europa da lì. Le mete preferite per la richiesta d’asilo sono l’Oman, l’Arabia Saudita e, in alcuni casi, l’Estremo Oriente. Le possibilità di pace a breve sembrano sempre più lontane, anche se un possibile incentivo a deporre le armi può essere rappresentato dalla caduta del porto di Hodeida, vero fulcro di questo conflitto. Col proseguo del conflitto, intanto, continua a essere ventilata l’ipotesi di una spartizione del paese secondo l’assetto precedente al 1990 (con un nord religioso e d’influenza sciita invece che socialista), ma una definizione di questo tipo non andrebbe bene né all’Iran né all’Arabia Saudita e quindi si presenta come notevolmente remota. La soluzione del conflitto passa dal convincimento di Iran e Arabia Saudita e dall’impossibile ricomposizione dei conflitto tra le due potenze.
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