Se per classico intendiamo un testo, un’opera che, nella definizione di Calvino, «non ha mai finito di dire quel che ha da dire», allora L’arte della guerra di Sun Tzu un classico lo è certamente. Poche opere nella storia dell’umanità hanno avuto un impatto così duraturo, sia per gli addetti ai lavori che per i profani, nel campo degli studi strategici. Insieme a Tucidide e Clausewitz Sun Tzu è infatti uno degli imprescindibili nelle accademie militari statunitensi.
L’autore de L’arte della guerra, o Bingfa, è Sun Tzu, (la trascrizione corretta secondo il sistema pinyn sarebbe Sun Zi, usiamo Sun Tzu in quanto più familiare ai lettori italiani), cioè Maestro Sun. Con questo titolo sarebbe stato conosciuto un comandante di nome Sun Wu, nato nello Stato di Qi e attivo nello Stato di Wu. L’opera nacque come collezione di precetti pratici e manuale per gli ambienti militari e diplomatici di corte. Non ci è pervenuto l’autografo, ma il testo, pur considerando i vari rimaneggiamenti, per coerenza stilistica e concettuale, sembra risalire al periodo degli Stati Combattenti, tra il 403 e il 221 a.C. La Cina dell’epoca era frammentata in una serie di Chan-Kuo, Stati Combattenti (dal punto di vista delle innovazioni in campo militare è in questo periodo che viene introdotta la coscrizione obbligatoria e l’uso della cavalleria). In questo contesto, i sovrani dello Stato di Wu consolidarono il proprio potere e realizzarono le loro politiche espansionistiche cominciando a fare affidamento su figure professionali nel campo militare, come appunto il Maestro Sun, che ebbe modo di dimostrare il proprio valore e guadagnare i più alti gradi della classe militare.
Come abbiamo già detto, L’arte della guerra è un compendio di norme e suggerimenti tattici e strategici per il sovrano o il generale che desideri istruirsi sul modo migliore di condurre la guerra. Il libro è diviso in tredici capitoli, andiamo a riassumerne brevemente le idee chiave.
Il pensiero di Sun Tzu ha attraversato i secoli e l’importanza dei suoi assunti è stata dimostrata dai numerosi combattenti che, pur non conoscendo necessariamente i principi de’ L’arte della guerra, ne hanno autonomamente riscoperto l’innegabile fondatezza.
Il primo caso riguarda la tattica adottata da Mao Zedong durante la celebre lunga marcia”, una marcia forzata di dodicimila chilometri alla testa della 1a armata comunista dalla regione dello Jiangxi fino a quella dello Shaanxi, dove dopo un anno di combattimenti arrivò con soli ventimila uomini dei centotrentamila iniziali. Nel suo libello Sulla guerriglia Mao illustra cosa sia la guerriglia ricorrendo alla più antica tradizione del pensiero militare cinese:
«la strategia della guerriglia […] deve essere adattata alla situazione del nemico, al terreno, alle linee di comunicazione, alla forza relativa degli eserciti in campo, al tempo meteorologico, alla condizione del popolo. Nella guerriglia, bisogna scegliere la tattica di far finta di venire dall’oriente, e attaccare da occidente; evitare il solido, e attaccare il vuoto; […] infliggere un colpo con la rapidità del lampo, cercare una soluzione fulminea».
Difficile immaginare un compendio più esaustivo degli insegnamenti del maestro Sun. Le nozioni di adattabilità al nemico, al clima, al terreno, di rapidità, del vuoto e del pieno sono tutte presenti in queste poche righe.
Passiamo ora al secondo caso: l’11 settembre 2001, come tutti ricordiamo, due aerei si schiantarono contro le Torri del World Trade Center. Il terrorismo, che fino ad allora si era manifestato solo in lontani teatri di guerra, colpì l’America nel cuore del suo territorio. In reazione Bush scatenò la cosiddetta “guerra al terrorismo”, invadendo l’Iraq, cioè facendo esattamente quello che si aspettava Bin Laden, come si può desumere da questo comunicato diffuso da Osama Bin Laden alla fine del 2004, in cui spiegava i suoi piani dopo l’attentato:
«tutto ciò che dobbiamo fare adesso è inviare un paio di mujahidin nel punto più a oriente possibile e dir loro di agitare uno straccio con su scritto al-Qaeda: i generali USA correranno immediatamente fin là, causando all’America perdite umane, economiche e politiche senza guadagnare nulla che sia degno di nota… In questo modo stiamo portando avanti la nostra strategia di dissanguare l’America fino a mandarla in bancarotta».
Considerando che organizzare l’attentato alle Torri Gemelle è costato circa cinquecentomila dollari e che nel 2008 la cifra spesa dagli Stati Uniti nella war on terror ammontava a settecento miliardi di dollari, si può dire che il proposito di Bin Laden sia perfettamente riuscito. Al contrario di Mao, che sicuramente lo conosceva, non sappiamo se Bin Laden abbia letto L’arte della guerra, ma sicuramente ne ha applicato perfettamente il primo precetto, quello dell’inganno.
L’ultimo caso è un caso di non applicazione dei dettami di Sun Tzu. Nel 1958, quasi incredibilmente dato il loro numero esiguo (appena venti), i barbudos di Castro riuscirono a sgominare le forze governative di Fulgencio Batista, liberando Cuba. Che Guevara arricchì la teoria della guerra rivoluzionaria di una propria personale elaborazione basata sulla dottrina del foco, vale a dire l’appiccamento ad opera di alcuni insorti di un piccolo focolaio rivoltoso che, spargendo falistre sovversive (nelle zone rurali), avrebbe poi fatto divampare l’incendio rivoluzionario. Possiamo leggere nel suo manuale Guerra de guerrillas:
«all’inizio, c’è soltanto un gruppo più o meno armato, più o meno omogeneo, che si dedica esclusivamente a nascondersi nei luoghi più impervi e inaccessibili, prendendo contatto solo occasionalmente con i contadini. Un colpo fortunato, e la sua fama cresce; qualche contadino […] e qualche giovane idealista si associa al nucleo, che acquisisce maggior audacia […] stringendo maggiori legami con la gente. […] continua l’afflusso di reclute, il foco si è ingrossato […]. Qualche tempo dopo si approntano accampamenti provvisori […]. Alla fine si sceglie un luogo inaccessibile, inizia una vita stabile, e vengono create le prime piccole manifatture: un laboratorio per la produzione di scarpe, un altro per sigari e sigarette, un’officina per le armi, un panificio, degli ospedali, se possibile un’emittente radio, una tipografia, ecc. Ora la banda partigiana ha un’organizzazione e una nuova struttura. […] viene lanciata un’offensiva nemica, ma è sconfitta; aumenta il numero di fucili disponibili, e aumenta di conseguenza il numero della gente che combatte con la banda. Arriverà il momento in cui il raggio d’azione del foco non potrà più allargarsi in proporzione all’aumento dei suoi componenti: allora sarà necessario creare un distaccamento di forza appropriata».
Questo fu lo schema che Che Guevara cercò senza successo di replicare in Bolivia. In un’area remota e geograficamente avversa, impossibilitato a tenere contatti con la popolazione andina (che parlava prevalentemente quechua) di cui non capiva la lingua e che gli era indifferente se non ostile, il Che e i suoi compagni non riuscirono a far divampare il foco, che rimase inesorabilmente isolato. L’arrivo del secondo battaglione rangers dell’esercito boliviano, addestrato dalle forze speciali statunitensi alle tattiche di controguerriglia, ne decretò la totale estinzione. Che Guevara venne giustiziato il 9 ottobre 1967 sul pavimento della una scuola del villaggio di La Higuera. I principi di malleabilità della forza armata, di adeguamento alle caratteristiche del territorio (e di conseguenza anche a quelle della popolazione), di studio meticoloso nell’approntare i preparativi di un’azione militare tanto cari a Sun Tzu furono in questo caso completamente disattesi. Ciò dimostra non tanto che bisogna seguire pedissequamente il manuale del maestro Sun, ma che questo contiene alcuni elementi universalmente validi e indispensabili a ogni condottiero che voglia risultare vittorioso.
A ben vedere, forse l’aspetto più importante degli insegnamenti de’ L’arte della Guerra è che se certamente essi sono prescrizioni su come condurre al meglio una guerra, la sostanza, il nocciolo filosofico dell’opera (la conoscenza di sé stessi, l’armonia degli opposti) non ha bisogno di una guerra per dimostrarsi vero, o almeno utile, perché parla all’uomo d’armi, ma prima di tutto all’uomo nudo, e di concerto anche al civile. Applichiamolo dunque nella vita quotidiana. Sicuramente non diventeremo generali, ma magari vivremo meglio.
Gastone Breccia, L’arte della guerriglia, il Mulino, Bologna, 2013
Giampiero Giacomello, Gianmarco Badialetti, Manuale degli studi strategici, Vita e pensiero, Milano, 2009
Mauro Conti (a cura di), Sun Tzu, L’arte della guerra, Rusconi Libri, Sant’arcangelo di Romagna, 2008
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