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La riforma della legittima difesa domestica

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Michele Corato

Non si ferma la rincorsa al provvedimento dell’attuale Governo Lega-M5S. Nonostante non si siano placate le critiche inerenti al tema ancora caldo del “decreto sicurezza”, un secondo cavallo di battaglia della parte leghista del Governo ha ricevuto l’approvazione al Senato. Il riferimento, qui, è alla riforma della legittima difesa domestica provvedimento che, nell’immaginario collettivo, pone ogni cittadino nella situazione privilegiata di difendere le proprie mura da un aggressore esterno. L’argomento, introdotto per la prima volta nel 2006, era già stato oggetto di attenzione da parte del legislatore dello scorso anno ma senza concludere niente di fatto. In effetti vi sono alcuni punti critici dati sia dalla particolarità della materia, la difesa del cittadino nel proprio domicilio, sia dal raffronto di quest’ultima con il bene giuridico supremo rappresentato dalla vita. Non deve stupire un intervento in questo senso dato che, fin dalla campagna elettorale, si è sempre annunciata la volontà di un ampliamento della tutela in queste situazioni anche se, un operazione del genere, rischia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Per comprendere al meglio i settori di intervento della proposta occorre, tuttavia, delineare la particolare ipotesi di causa di non punibilità rappresentata dalla legittima difesa “domestica” nonché la proposta di modifica naufragata nel nulla nel 2017.

La legittima difesa

Con il termine generico di cause di non punibilità ci si riferisce a un macroinsieme di elementi eterogenei che sono accomunati dal solo fatto di escludere la punibilità del soggetto nonostante il fatto integri l’ipotesi delittuosa. In realtà queste devono distinguersi in cause di giustificazione, scusanti e cause di non punibilità in senso stretto. Le ultime sono attribuibili a scelte politiche, il fatto qui rimane colpevole e antigiuridico, le scusanti escludono la colpevolezza riferendosi a elementi soggettivi dell’agente e le cause di giustificazione escludono l’antigiuridicità. Queste sono frutto, generalmente, di un bilanciamento degli interessi e, come già anticipato, la difesa legittima si riconduce appunto a queste ipotesi mettendo in relazione sicurezza e proprietà con la vita umana. La norma di riferimento, nello specifico, è l’art. 52 del codice penale. Questa prevede che non è punibile il soggetto che ha commesso il fatto per la necessità di difendere un diritto proprio o altrui da un pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. Nello stesso articolo, poi, è previsto che la proporzionalità è presunta nei casi di violazione di domicilio se l’autore della difesa utilizzi un’arma regolarmente detenuta al fine di tutelare la propria o l’altrui incolumità o anche i beni qualora non vi sia stata desistenza da parte dell’aggressore.

Dalla definizione di possono agilmente ricavare gli elementi essenziali della difesa legittima: l’aggressione, la proporzione e l’attualità. Il primo di questi è abbastanza ovvio, deve esserci un’effettiva aggressione del bene giuridico tutelato affinché possa operare il bilanciamento degli interessi diretto a giustificare la reazione della vittima. In tal senso rileva anche l’errore putativo, vale a dire l’aver percepito la minaccia come tale quando, invece, non lo era (l’esempio più tipico è dato dalla rimozione del tappo rosso da una pistola giocattolo). Anche la proporzionalità gioca un ruolo essenziale, infatti la reazione della persona in pericolo non può essere maggiore rispetto all’offesa altrimenti viene meno la natura unicamente tutelativa e, dunque, non aggressiva della norma. Per quanto attiene, infine, all’attualità la minaccia deve essere ancora in corso al momento della reazione della vittima. Tale precisazione è essenziale per prevenire vendette o scatti d’ira ed è quella su cui fondano le numerose sentenza di condanna per chi spara alla schiena del ladro (probabilmente in fuga).

La particolare formalità della circostanza in esame è presto detta. Il legislatore aberra le forme di autotutela del privato tanto nel diritto civile quanto nel diritto penale e, quando le stesse sono concesse, lo sono in forma del tutto eccezionale. Per quanto riguarda la legittima difesa, infatti, questa viene riconosciuta quando lo stato non ha possibilità di intervenire per l’eccessiva repentinità della situazione o quando il singolo non abbia accesso a strumenti di difesa meno invasivi. Appare importante precisare che il venir meno dell’antigiuridicità, rendendo lecito il fatto in via eccezionale, permette l’esclusione del danno ex art. 2043 c.c. ed è quindi escluso un risarcimento dell’aggressore in sede civile.

Gli interventi di riforma

L’assetto normativo appena descritto, tuttavia, non è sempre stato così. La formulazione appena esposta, infatti, è frutto di un completo ridisegno normativo operato dal legislatore nel 2006. Tale intervento è stato diretto soprattutto alla maggior tutela del domicilio privato prevedendo, come abbiamo visto, particolari punti di favore (come la presunzione di proporzionalità) per il privato che subisce un’aggressione al proprio domicilio o in luoghi ad esso equiparabili. Dopo undici anni da questi interventi, mosso anche dal comune sentire o, per meglio dire, spinto dall’opinione pubblica, il Governo aveva promosso un disegno di legge che interveniva su vari punti della disciplina al fine di aumentare le tutele in capo a chi subisce l’aggressione, in particolare, in ambito domestico. Tale modifica, tuttavia, benché approvata in prima battuta, si è poi arenata e non ha trovato alcun seguito concreto. Quest’anno, come più volte accennato, il Governo promette di innovare profondamente la disciplina e lo fa attraverso un disegno di legge che ha recentemente trovato l’approvazione del Senato.

In primo luogo si vuole intervenire modificando l’art. 52 c.p. sia nel primo comma sia nel secondo, specifico per le aggressioni nel domicilio privato o nel luogo di lavoro o commercio. La modifica, in sé, è molto semplice: aggiungere la locuzione “sempre” prima della  presunzione di proporzionalità. Così facendo si vuole sottrarre al giudice il sindacato sull’effettiva proporzione della difesa nei casi in cui ricorrano tutti i presupposti già accennati negando, quindi, la prova contraria in capo al l’aggressore. Si vuole inoltre introdurre un nuovo comma che estende la presunzione assoluta anche ai casi diretti a respingere un'”intrusione”.

In secondo, si vuole modificare l’eccesso colposo della legittima difesa prevedendo che chi ha commesso il fatto a seguito di un grave turbamento per la situazione di pericolo o l’abbia fatto al fine di tutelare l’incolumità propria o altrui non possa essere punito. Quella che si vuole introdurre, qui, è una causa di non punibilità basata sull’elemento oggettivo e, dunque, una scusante. Tale circostanza, tuttavia, è riferibile unicamente alle aggressioni commesse presso il domicilio della vittima facendo leva sulla sua vulnerabilità e sulla situazione di profitto tratta in questo senso dall’aggressore anche con riguardo al tempo del fatto ed all’età dell’aggredito. La situazione di turbamento da cui può derivare l’applicabilità della scusante si presenta allora come una situazione da verificare nel caso concreto la cui analisi, questa volta, è posta al vaglio del Giudice.

Un ulteriore punto di rilievo è dato dal lato economico o, meglio, dal risarcimento del danno e dalle spese processuali. Sotto il primo aspetto si vuole fare un richiamo espresso ai reati in esame per quanto attiene al risarcimento del danno civile prevedendo, in capo al giudice, la facoltà di parametrare un eventuale indennizzo alle modalità della condotta dell’aggressore quindi alla gravità, alla realizzazione e al suo contributo nella cassazione dell’evento lesivo. Il secondo punto, invece, ricalca quanto ipotizzato dal legislatore del 2017 ossia l’estensione del gratuito patrocinio a spese dello Stato ogni volte che il procedimento si conclude con un provvedimento favorevole alla vittima e, quindi, di riconoscimento della causa di giustificazione.

Vengono infine previste diversi aggravamenti della pena, primo fra tutti l’integrale risarcimento del danno, a opera dell’aggressore, per poter accedere al beneficio della sospensione condizionale della pena. Al contempo viene previsto un inasprimento generale delle pene nei reati di furto, rapina e furto aggravato. In conclusione l’intervento prevede l’inserimento privilegiato dei procedimenti in materia nella formazione del ruolo provvedimento, quest’ultimo, diretto a velocizzare i tempi della giustizia.

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Concludendo, la proposta appena analizzata ricalca profondamente quello che è il desiderio o, meglio, l’ideale del partito politico che l’ha proposta: la tutela assoluta e inviolabile del domicilio. Questa volontà, che pare acclamata anche a furor di popolo, è facilmente condivisibile e in linea con l’attuale valore primario che la proprietà privata ha acquistato già dai tempi di filosofi come Locke, che in essa vedeva la trasposizione dell’energia umana di del padrone, e che si trasfonde in tutte le normative in vigore in Italia. Ciò che però non torna, sia nel pensiero giuridico di gran parte del popolo che dal tenore della normativa proposta, è il rispetto dei principi costituzionali e sovranazionali. La previsione di una presunzione assoluta, non superabile, della proporzionalità della difesa all’offesa stride con la tutela del bene primario in assoluto: la vita. Anche ipotizzando che il provvedimento in questione riceva l’approvazione del Parlamento, cosa non impossibile, i Giudici, chiamati ad applicare direttamente la Costituzione e, non da meno, il diritto internazionale ed europeo rispetto alle singole leggi italiane, semplicemente non applicheranno la nuova normativa. Ciò che si creerà, dunque, sarà la semplice revisione della legge che già esiste ma senza l’applicazione delle clamorose e importanti novità. Il che potrà, alternativamente, passare inosservato fino al prossimo moto popolare diretto alla tutela del privato domicilio o, al contrario, sfociare in profonde critiche dirette, ancora una volta, nei confronti del potere giudiziario.

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Michele Corato

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