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Il trash nei talk show politici

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Pietro Lepidi

Gli italiani che si informano di politica attraverso i talk show sono oggi tra i 6 e i 7 milioni. Per loro i palinsesti televisivi dei sette maggiori canali televisivi non a pagamento offrono una quantità di programmi imbarazzante. I programmi di confronto sui temi più disparati della politica sono veramente molti, presenti tutti i giorni a tutte le ore del giorno e presentati da conduttori di diverse ideologie. I talk show cominciano la mattina presto con Coffee Break e L’aria che tira su La7 in concorrenza con Agorà di Rai3 e finiscono oltre l’una di notte con Non è l’Arena di La7, l’intramontabile Porta a Porta (mentre sto scrivendo si prepara la numero 2.850) e il TG3 Linea Notte. Nel mezzo si contano una decina di programmi di una lunghezza che varia dai 30 minuti di Otto e mezzo e in ½ alle infinite ore delle celebri maratone di Enrico Mentana, passando per nomi come: Bersaglio mobile, Di Martedì, Carta Bianca, Piazza Pulita, Matrix, Tagadà e Stasera Italia, Non è l’arena per citarne alcuni.

Insomma, i talk show di natura politica sono un pilastro portante delle emittenti italiane che ne propongono ore ed ore. Il motivo è che il talk show è il “mulo dei palinsesti”: può macinare ore di lavoro con poca biada. Infatti, la trasmissione è molto facile ed economica da impostare sia nell’ambito dell’impianto tecnico (studio, scena, luci, poltrone, spalti) sia per quanto riguarda gli ospiti, politici o cittadini comuni pagati in visibilità. Per i partiti da quando non esiste più il finanziamento pubblico la televisione è diventata fondamentale per raccogliere consensi in quanto essi possono contare su un pubblico numeroso, fino a un milione di persone, senza impattare troppo sulle casse languenti.

I talk show sono quindi un tipo di programma appetibile sia per i politici sia per le emittenti televisive, e gli spettatori come reagiscono dopo decenni di questo genere di programma?

L’ex vicedirettore della Rai Balassone ha condotto l’anno scorso un’analisi per Link in cui ha analizzato la competizione tra due giganti dei talk sulla politica: Carta Bianca di Berlinguer su Rai3 e DiMartedì di Floris su La7, entrambi in onda il martedì in seconda serata. Questi due programmi insieme raccolgono un paio di milioni medi di spettatori, tuttavia Floris e Santoro qualche anno fa ne raccoglievano più del doppio a testa. È interessante anche notare che il tempo medio di uno spettatore del programma di Floris è di 30 minuti, mentre quello di Carta Bianca si ferma a 20, quindi sommando il tempo medio che il martedì sera telespettatore trascorre su questo genere di programmi sia arriva massimo a 50 minuti; abbastanza poco rispetto alle 3 ore di trasmissione.

In generale, sono sempre di meno le persone affezionate a questo tipo di format. Non sbagliava l’ex presidente del consiglio Matteo Renzi quando nel 2015 disse che «i talk show del martedì fanno meno ascolti dell’ennesima replica di Rambo». Nonostante ciò, i problemi dei talk non sono tanto da rintracciare nella quantità di ore trasmesse quanto nel conseguente drastico calo della qualità del dibattito politico. Questo genere di trasmissione è composto in piccolissima parte da inchieste sociopolitiche, rappresentate da brevissimi servizi esplicativi o vox populi. Grande spazio invece è lasciato ai dibattiti degli ospiti che spesso non sono capi partito bensì figure di secondo piano come giovani deputati, amministratori di piccoli comuni o giornalisti. Durante la trasmissione il conduttore, consapevole che il suo programma entra in concorrenza non solo con altri programmi simili ma anche con programmi di cucina, sport e trasmissioni trash, cerca di tenere il più possibile il telespettatore incollato allo schermo. È dunque interesse vitale del palinsesto che non vengano censurati gli scontri verbali accesi tra gli ospiti e gli insulti anche a costo di perdere il filo del discorso (indimenticabile in tal senso il discorso di Sgarbi sull’Euro a Piazzapulita nel 2014).

I talk show nascono negli anni 60 per rendere più presenti, smascherabili e vicini al popolo i politici, ma nell’epoca in cui il parlamento è stato «aperto come una scatoletta di tonno», questi sono diventati un modo come altri per fare audience. Il dibattito è stato completamente azzerato in ogni sua forma. Da una parte, quando vengono intervistate figure politiche di primo piano, quali ministri o presidenti, essi non vengono messi in difficoltà per non scontentare la consistente percentuale di telespettatori che li idolatrano. Infatti, l’ultimo dibattito televisivo tra leader politici in Italia avvenne nel 2006 tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi per le imminenti elezioni a Porta a Porta; la trasmissione ottenne un enorme successo, con 16.129.000 spettatori e il 52,13% di share, tuttavia, da allora i capi hanno trovato molto più conveniente farsi intervistare da soli che sfidare l’avversario politico in un dibattito pubblico. Dall’altra, quando intervengono figure minori il salotto televisivo si trasforma in un concerto di rumori fatto da urla, interruzioni, applausi e servizi. Il rumore è l’unico modo per riempire ore di talk show sullo stesso tema. Spiega Umberto Eco «questo bisogno interno di rumore ha funzione di droga e impedisce di focalizzare ciò che sarebbe veramente fondamentale. Redi in te interiore hominem: sì, alla fine un buon ideale per l’universo della politica di domani e della televisione sarebbe ancora Sant’Agostino».

Se il talk show diventa rumore o idolatria e abbandona il suo interesse per la ricerca sociale, esso consuma il velo di pensiero critico che differenzia una trasmissione di riflessione da ciò che è creato appositamente per essere rumore: il trash della televisione italiana. I programmi televisivi di Maria De Filippi, Platinette e Irene Pivetti, dalla moda degli stivali aggressivi alle acconciature rasate con cresta, dal modo di ballare nelle migliori o peggiori discoteche al totalizzante culto del corpo semiperfetto, semiscoperto. Anche questo tipo di programmi possono essere considerati un mulo dei palinsesti: costano poco e possono andare avanti per anni. Notevolmente, nello stesso lasso di tempo in cui i talk show perdono pubblico, i programmi trash incrementano costantemente la propria popolarità, specialmente tra i giovani. Temptation Island è arrivata a toccare 4 milioni di telespettatori mercoledì 1° Agosto, di questi il 53.57% era composto da giovani tra i 15 e i 24 anni, mentre il 33% nella fascia tra i 25 e i 34 anni.

Come possono le trasmissioni sociopolitiche tornare in auge? Secondo Balassone non basta un restyling della sceneggiatura o dei conduttori, serve una riforma più profonda. L’inchiesta nel sociale dovrebbe essere l’ossatura della trasmissione non un breve inciso funzionale alla pseudo-discussione. Una televisione che punta sia a intrattenere disinteressatamente che a far pensare dovrebbe tenere i due filoni separati senza creare scompigliate vie di mezzo. Inoltre, le trasmissioni di dibattito politico dovrebbero essere dei veri dibattiti tra esponenti di rilievo delle correnti politiche che possono essere veramente messi a nudo e infine contraddetti. Ovviamente aumenterebbero i costi di produzione di tali trasmissioni e bisognerebbe pensare a come riempire i buchi temporali nei palinsesti; riguardo a ciò, è meglio la centesima replica di Balla coi Lupi o decine di stagioni di trash, oppure l’ipocrisia di una seria discussione di attualità in un talk show?

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Pietro Lepidi

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