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I giovani professionisti secondo Di Maio

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Claudio Agave

Prima di recarsi a Caivano per parlare della Terra dei Fuochi, il vicepresidente del Consiglio nonché Ministro del Lavoro Luigi Di Maio è stato protagonista nella mattina di lunedì 19 novembre di un interessante incontro al Palazzo di Giustizia di Napoli, nel quale per la seconda volta nella storia un Ministro della Repubblica ha partecipato a un evento. Di Maio – che prima di entrare nella struttura è stato contestato da alcuni disoccupati, di cui sembra che abbia anche ricevuto una piccola delegazione per un incontro – è intervenuto per concludere un convegno, organizzato dall’avvocato Gennaro Demetrio Paipais (Presidente dell’Unione dei giovani penalisti di Napoli), che ha riguardato i temi della giovane avvocatura e l’istituzione di una Carta dei Diritti per i giovani professionisti nell’ambito della Giustizia. Al di là del tema specifico, nel suo intervento (a cui abbiamo assistito con attenzione per tutta la sua durata) il Ministro ha voluto porre l’accento su tutte le categorie di professionisti e sulla percezione che tali categorie possono stimolare, anche in relazione ai sempre più frequenti sviluppi tecnologici a cui il Paese cerca di andare incontro. Sulle tante considerazioni (sia di stampo sociale che economico) svetta un fatto incontrovertibile: lo sviluppo tecnologico finirà per cambiare il mondo del lavoro in Italia e in Europa.

Il Ministro Di Maio spiega il suo punto di vista sui giovani professionisti e sulla tecnologia nel mondo del lavoro

Ecco, di seguito, il discorso del Ministro Luigi Di Maio nella sua interezza.

«Tutte le informazioni e le proiezioni che abbiamo come Ministero del Lavoro e dello Sviluppo Economico ci dicono che nel 2025, in Italia, per effetto delle nuove tecnologie e l’avvento dei nuovi processi produttivi, il 60% dei lavori come li conosciamo si trasformerà. Tra questi, c’è un 15% destinato a sparire. Il tema della trasformazione dei lavori sta producendo due cose, che lo Stato deve tener presente in questo momento storico ma che poteva non tener presente dieci anni fa: la formazione continua di chi lavora, oltre che il fatto di vedersi sostituiti dalle macchine. I prossimi anni saranno anni in cui a livello europeo si discuterà sempre di più di che cos’è il lavoratore, cioè quali sono i diritti minimi che riguardano chi lavora e chi viene sfruttato. Sembrava un tema ormai lasciato al passato e invece sta tornando. Rispetto al mercato e rispetto alle macchine è in corso una competizione al ribasso che prova ad abbassare il diritto e il salario di chi lavora, per tenerlo in competizione con un mercato globalizzato che non tiene più in considerazione i diritti minimi. Un tema che riguarda chi ha studiato una vita ma teme sempre che questa corsa sfrenata possa creare sempre un problema di tenuta minima dei diritti di professionista. L’esempio dei Riders è lampante: in futuro dovranno competere con i droni e, nel frattempo, si vedono abbassare sempre di più i loro diritti. Vedo oggi nei giovani professionisti lo stesso rischio, già esistente. Lo vedo anche nei miei amici, che mi raccontano vari problemi. Avremo dei professionisti se ci saranno diritti minimi garantiti, altrimenti si parla solo di nuovi schiavi e di sfruttati. C’è un tema generale che riguarda la Campania: io ho un fratello di 22 anni che vive tutte le difficoltà del territorio. Spesso si prova ad accedere a una professione per dire prima di tutto di lavorare, senza ambire al salario. Questo è un disastro per le nuove generazioni, che si stanno abituando al pensiero che si possa lavorare senza guadagnare e si possa dire comunque di star lavorando. Ma quello non è lavorare, non stai avendo un salario. Stiamo cercando anche di affrontare il tema dei rimborsi spese, perché si va sempre più verso il lavoro autonomo, che prevede un pagamento su prestazione ma anche una vita di tutti i giorni legata a quella prestazione. Questo non è un tema legato solo ai diritti di una sola categoria, bisogna fissare dei paletti: dal punto di vista dell’accesso al mondo del lavoro, della previdenza e della dignità durante il periodo di lavoro. Tutto sta facendo pensare che serva una nuova definizione di lavoratore e professionista. Al Ministero dello Sviluppo Economico abbiamo fondi che incentivano aziende a nascere o a evolversi e investire. Abbiamo quasi nulla, invece, per chi vuole diventare un professionista o portare avanti un’impresa come tale. L’impegno nel rimodulare i fondi c’è, soprattutto per le imprese piccole e i lavorati individuali, che meritano di essere incentivati. A livello di avvocatura, per esempio, si dovrebbe dare respiro sulla cassa forense per i primi anni. Il fatto che quindici anni fa era così non vuol dire che dovrebbe esserlo per la generazione attuale, sono cambiati i modelli economici e la capacità di acquisto. Tutto questo non lo stiamo dicendo in maniera autoreferenziale. Nei primi anni di vita di un professionista dobbiamo metterlo in grado di sopravvivere. Tutto questo richiede un’ovvia copertura economica ma qui stiamo parlando del futuro e della crescita demografica di un Paese, perché se i professionisti non si sentono sicuri economicamente non metteranno mai su famiglia. Poi ovviamente viene il mercato, con cui ci misuriamo tutti. Dev’essere chiaro che i professionisti devono avere un punto di partenza comune e minimo, che consente di capire se si è capaci o meno. Tutto ciò si inquadra in un momento di rivoluzione tecnologica importante, in cui l’innovazione non è solo tecnologia. Ci sono nuove tecnologie, ovvio, ma servono anche idee innovative. In questi ultimi dieci anni, una serie di intuizioni hanno rivoluzionato il mondo di tante categorie professionali, intuizioni anche di processo e legate a ciò che si fa ogni giorno. L’Italia è l’unico Paese in Europa a non possedere un fondo che possa finanziare l’idea innovativa di un giovane professionista. In Europa si parla anche dell’etica dell’intelligenza artificiale, un tema importantissimo che proprio i professionisti del diritto dovranno dirimere. Bisognerà farlo però anche tramite l’intervento dello Stato, non si può prescindere da questo. Questa fase dell’Italia, se cavalcata, può rappresentare il nostro nuovo boom economico. Per questo sono convinto che aver messo insieme il Ministero del Lavoro e dello Sviluppo Economico è stata una buona idea: qui c’è la carne viva del Paese, noi siamo il Pronto Soccorso dell’occupazione italiana e di tutti quelli che lavorano e che ci chiedono aiuto per il lavoro che perdono. Nel 2025, inoltre, si raggiungerà il più grande numero di professioni creative: se ci attrezziamo, daremo più lavoro alle persone. Chiaramente servono gli investimenti, che sono fondamentali e bisogna mirare bene perché non si tratta di risorse infinite. Ci tengo a dirlo: ho molto a cuore il tema della definizione di lavoratore. Vengo da questa terra nella quale ho vissuto fino ai 26 anni, nella quale molti giovani si stanno convincendo di essere il problema, di essere incapaci rispetto all’incapacità di trovare lavoro. O magari hanno anche un lavoro ma non riescono a guadagnare degnamente. Questa cosa, in un primo momento, ha fatto pensare che bisogna affrontare un problema, poi negli anni si è cominciato a dire che il problema eri tu. Perché la disoccupazione scendeva, ma nella nostra vita non cambiava nulla. Io non sono nessuno per dirlo, perché sono in una posizione privilegiata, ho avuto anche fortuna nella mia vita. Una cosa è certa, però: non dobbiamo permettere a nessuno di far percepire, anche solo lontanamente, che i giovani del Sud sono incapaci ed è per questo che non trovano lavoro. Il tema del Sud è storico ma ora che siamo in questo momento di salto tecnologico, se stiamo tutti insieme, possiamo provare a cambiare le cose».

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Claudio Agave

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