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Il digiuno del Cholito Simeone

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Davide Romeo

Giovanni Simeone sembra aver smarrito la via del gol: questa, almeno, è la conclusione che possiamo trarre da questa primissima parte del campionato, in cui l’argentino è riuscito a mettere a tabellino appena due reti in dodici gare disputate. Pur essendo in illustre compagnia in questa malaugurata circostanza di blocco realizzativo – anche Edin Dzeko è fermo a due reti, Belotti a quattro con un rigore – non si può iniziare a mostrare qualche preoccupazione quando un centravanti non riesce a segnare per quasi due mesi e oltre settecento minuti di calcio giocato. Cosa succede al Cholito?

Un problema mentale?

La prima, scontata, domanda che verrebbe da porsi in una situazione del genere riguarda le doti tecniche, che tuttavia nel caso di Simeone sono difficili da mettere in discussione. Si tratta di un esterno d’attacco adattato al ruolo di punta centrale, come molti centravanti moderni: pur avendo una struttura fisica non eccezionale, è dotato di forza fisica, corsa e del dinamismo che caratterizza l’attuale generazione di attaccanti. Simeone ha soprattutto uno straordinario fiuto del goal per un giocatore della sua età, come dimostrano le 28 reti realizzate in 86 presenze tra Genoa e Fiorentina: è un finalizzatore nato, più a suo agio nel gioco senza palla che non con il pallone tra i piedi. A soli 23 anni ha già messo in mostra un grande talento, e la sua crescita tecnica non ha ancora raggiunto il suo picco massimo.

Come spesso accade in questi casi, probabilmente la principale causa (e la soluzione) del problema risiede nella testa dell’argentino. Lo stesso Simeone sembra esserne consapevole, e infatti la scorsa settimana scriveva su Instagram «Il tuo peggior nemico sarà sempre la tua mente, perché lei conosce tutte le tue debolezze». Senza dubbio la componente mentale ricopre una grande importanza nell’interpretazione del ruolo di attaccante: la mancanza di concentrazione può determinare un gran numero di errori sotto porta e di disimpegno; allo stesso modo, dopo un prolungato digiuno di reti, può subentrare anche un deficit di confidenza e fiducia nei propri mezzi, una sorta di ansia da prestazione, che non può che peggiorare la situazione.

Simeone, tuttavia, non sembra avere problemi di morale. Se durante le prime partite di astinenza sembrava quasi un fantasma in campo, spesso avulso dall’azione e pesante sulle gambe, nelle ultime gare è stato spesso al centro di azioni chiave. Contro la Roma si è procurato il rigore poi realizzato da Veretout, e aveva fatto il giusto movimento seguendo un taglio di Chiesa e mancando di poco il tap-in sull’assist del compagno. Anche contro il Frosinone è andato ad un passo dalla rete, trovandosi nella posizione corretta per ribadire in rete un “auto-palo” del difensore avversario Capuano, ma su un pallone troppo veloce per poterlo ribadire in rete. I pugni alla panchina dopo la sostituzione contro i ciociari danno l’immagine di un giocatore più frustrato e desideroso di far bene che demoralizzato e sfiduciato, e questo non può che essere una positività.

Giovanni Simeone e Stefano Pioli. Foto: Photoviews.

Fortunatamente l’ambiente viola, al netto di qualche alterco (naturale) con i compagni in campo, sembra essere ancora dalla sua: Pioli gli ha ribadito ancora una volta fiducia, dichiarando che durante l’incontro con la Roma ha rivisto il Simeone «che vuole vedere» ed elogiandone il recente miglioramento nelle prestazioni. Anche l’argentino ha speso buone parole per il tecnico, asserendo che il tecnico lo stia aiutando a migliorare il proprio gioco in particolare sui movimenti offensivi.

Un problema tattico?

La Fiorentina, in generale, non sta certamente vivendo un momento felice per quanto riguarda la fase offensiva: al momento i Viola hanno il nono miglior attacco della Serie A con 18 reti, ma si tratta di una cifra viziata dalla straripante vittoria ottenuta contro un il derelitto Chievo alla seconda giornata. Senza quella partita straordinaria (nel senso letterale di fuori dall’ordinario) la Fiorentina ha mostrato una capacità di attaccare sugli stessi livelli di squadre come Empoli e Cagliari, e che risulta decisamente insufficiente per una squadra che dovrebbe lottare per l’Europa.

L’impiego di Jordan Veretout, unico vero playmaker della squadra dopo le partenze di Saponara e Badelj, in una posizione più arretrata ha fornito uno schermo di maggiore qualità davanti alla difesa e in fase di prima impostazione del gioco. Questa scelta di Pioli ha tuttavia lasciato un enorme gap in fase offensiva, dove si sente tremendamente l’assenza di un elemento creativo in grado di innescare occasioni per i compagni e dare ordine all’azione. Le chiavi dell’attacco sono affidate a Federico Chiesa, unico wonderkid d’Europa già chiamato a caricarsi completamente la squadra sulle spalle, che deve accorciare per vie centrali e saltare uno o due uomini giocando inevitabilmente lontano dalla porta avversaria.

Giovanni Simeone e Federico Chiesa hanno faticato a trovare l’intesa in questa stagione. Foto: Violanews.

Una sorte simile tocca anche a Simeone, che è chiamato ad abbassarsi per ricevere palla e fare sponda, creando spazi per gli inserimenti. Probabilmente si tratta del lavoro sui movimenti offensivi che Pioli sta chiedendo al giocatore per renderlo un attaccante ancora più completo, e che risulterà utile a lungo termine: tuttavia tale compito si addice ancora poco all’argentino, che non ha grandi abilità nel controllo e nello smistamento del pallone, ed è costretto a ricevere in una zona del campo lontana dall’area, risultando difficilmente un pericolo per gli avversari.

La dice molto lunga che un uomo d’area come Simeone, in grado di esprimersi al meglio nell’atto di finalizzare le azioni della squadra, stia registrando appena 1.6 conclusioni per partita: una cifra dimezzata rispetto allo scorso anno e che altrove è normalmente registrata da trequartisti e incursori, come ad esempio Baselli, Krunic e Giaccherini.
Un altro malus è rappresentato dal ridottissimo ricorso al gioco aereo: pur avendo ottimi saltatori, classificandosi addirittura terza per goal realizzati su colpo di testa in questa stagione, la Fiorentina è la 17° squadra del campionato per traversoni realizzati. E la precisione dei cross lascia parecchio a desiderare.

Ciò è ascrivibile ad una precisa scelta tattica, con Milenkovic che per natura tende a rimanere in copertura, Biraghi “obbligato” alla prudenza dalle incursioni di Gerson dal suo lato e gli esterni alti più portati ad attaccare le vie centrali che non il fondo.
Tutto ciò inevitabilmente ha un effetto negativo sulle occasioni del Cholito, che ha realizzato più di 1/3 dei suoi goal della scorsa stagione su colpo di testa.

Qual è la soluzione?

Non c’è un rimedio univoco e infallibile all’astinenza da rete di Simeone, perché come è intuibile questa è il risultato di diversi fattori: se all’inizio sembrava più dettata da una preparazione fisica inadeguata, ora è chiaro che è subentrato un problema umorale derivato dalla frustrazione del giocatore, oltre a delle incompatibilità di fondo con la tattica offensiva che la squadra sta adottando in questa stagione. Sembra necessario che la Fiorentina si muova sul mercato, che sia per assicurarsi un ricambio per Simeone – l’unico altro centravanti è l’acerbo Vlahovic, con Cyril Thereau ormai fuori dalle gerarchie – o per aggiungere un giocatore che possa dare sostegno in fase d’impostazione nella trequarti avversaria, ottenendo il doppio obiettivo di scaricare di responsabilità Chiesa e consentire a Simeone di riprendere il suo abituale ruolo di finalizzatore. In questo senso i nomi più caldi sono, rispettivamente, quelli di Manolo Gabbiadini e Nicola Sansone. L’alternativa potrebbe essere un cambio di modulo, in modo da consentire a Veretout di tornare ad operare con più frequenza nella trequarti avversaria. L’inserimento di Noorgard e Dabo, finora relegati in panchina, potrebbe rivelarsi interessante in questo senso.
A prescindere da tutto, specie quando si tratta di giovani attaccanti, un periodo di magra sotto porta è piuttosto comune: bisogna armarsi di pazienza e fiducia, soprattutto quando hanno già dimostrato di avere talento e margine di crescita. Come, appunto, ha già fatto il Cholito.

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Davide Romeo

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