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USA: chi sono i vincitori da record delle elezioni di metà mandato

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Cecilia Valente

Lo scorso 6 novembre, a due anni dalle elezioni presidenziali che hanno visto il trionfo di Donald Trump, negli Stati Uniti si è votato per le elezioni di metà mandato. Gli elettori statunitensi sono quindi tornati alle urne per rinnovare i 435 seggi della Camera dei rappresentanti, un terzo dei 100 seggi del Senato e trentasei governatori di Stati federali. Collocandosi temporalmente a metà del mandato presidenziale, le midterm elections hanno sempre rivestito un ruolo importante anche in vista del rinnovo dell’inquilino della Casa Bianca, dando modo agli elettori di esprimere un giudizio sui suoi primi due anni di lavoro. Quel che è uscito da questa tornata elettorale è una sorta di pareggio tra Democratici e Repubblicani: i primi hanno conquistato la maggioranza alla Camera, mentre i secondi hanno avuto la meglio al Senato.

Donald Trump ha immediatamente commentato i risultati su Twitter parlando di un “grande successo”. In realtà, a tre settimane dal voto, con tutti i risultati ben definiti, è difficile parlare di “grande successo” per il presidente americano. I Repubblicani hanno riconfermato i loro 51 seggi al Senato, anche se due seggi – Florida e Mississipi – sono ancora da assegnare, mentre alla Camera la cosiddetta “Blue Wave” ha permesso ai Democratici di conquistare 232 seggi, 34 in più degli avversari, e ce ne sono ancora cinque da assegnare. Ed è proprio l’elezione della Camera bassa quella più rappresentativa dell’umore popolare, in quanto è l’unica su scala nazionale, senza alcuna distorsione a livello di stati federati. Gli elettori, con un’affluenza record al 49%, hanno dunque premiato il partito Democratico che, nonostante non possa parlare di pieno successo, ha gettato delle buone basi in vista delle elezioni presidenziali del 2020. I progressisti stanno pian piano riacquistando consensi anche tra quegli americani che due anni fa hanno preferito votare Donald Trump.

Questa tornata elettorale ha avuto particolare risonanza non solo per il suo esito, che porterà dei cambiamenti importanti nella politica statunitense e sconvolgerà l’equilibrio oltreoceano, ma anche per le caratteristiche di alcuni nuovi eletti. I media hanno infatti parlato di “elezioni dei record” in quanto tra i vincitori ci sono diversi esponenti di minoranze e alcune “prime volte”: le prime due rappresentanti native americane, le prime due mussulmane, il primo governatore gay. I cosiddetti “record”, come si può facilmente immaginare, appartengono per la maggior parte al partito Democratico, che sta puntando sul rinnovamento della sua dirigenza e sulle minoranze per acquisire nuovi voti.

Le donne

Già prima dei risultati, queste elezioni partivano con un dato positivo per quanto riguarda la presenza delle donne: 237 erano le candidate alla Camera dei rappresentanti, non si era mai raggiunto un numero così alto. Al termine degli scrutini, le deputate elette sono state 117, delle quali 100 Democratiche e 17 Repubblicane, per cui si è di gran lunga superato il record delle 84 deputate della scorsa legislatura. Qualcuna di loro ha fatto ulteriormente parlare di sé.

Alexandria Ocasio-Cortex, la più giovane deputata Democratica eletta.

Alexandria Ocasio-Cortex: 29 anni, Democratica, è la più giovane eletta alla Camera bassa, battendo di pochi mesi la sua collega Abby Finkenauer, deputata Democratica eletta in Iowa. Ha sconfitto alle primarie Democratiche Joe Crowley, uno dei politici più influenti del partito e si è poi aggiudicata il seggio del distretto del Bronx. Attivista di Democratic Socialist of America e sostenitrice di Bernie Sanders alle primarie del 2016, Ocasio-Cortez sostiene idee politiche apertamente socialiste, per gli standard statunitensi, come l’assistenza sanitaria universale e abolizione del dipartimento per l’Immigrazione e le frontiere. Sembra essere la giovane promessa del partito Democratico, con un carisma fuori dal comune e una capacità comunicativa che le ha permesso di raggiungere milioni di persone tramite i social network e non solo.

Sharice Davids, deputata Democratica eletta in Kansas.

Debra Haaland e Sharice Davids: entrambe Democratiche, sono le prime native americane elette alla Camera. La prima ha 58 anni ed è stata eletta nel New Mexico. Figlia di militari, discende da una famiglia di nativi che abitavano le zone dell’Arizona e del New Mexico. Aveva già fatto parte dello staff del presidente Barack Obama durante la sua campagna elettorale nel 2012 come direttrice elettorale per i nativi americani.

Sharice Davids, invece, è detentrice di un doppio record, in quanto è anche la prima deputata dichiaratamente lesbica dello stato del Kansas. La Davids, cresciuta da una madre single e laureata in economia, aveva cominciato la sua carriera come lottatrice di MMA (arti marziali miste). Ha poi abbandonato la vita agonistica per dedicarsi alla politica e ha fatto parte nel 2016 del team che si è occupato del passaggio di consegne tra Obama e Trump.

Rashida Tlaib, deputata Democratica eletta in Michigan. Foto: Cnbc.com

Rashida Tlaib e Ilhan Omar: anch’esse Democratiche, sono le prime due donne mussulmane elette alla Camera. Raschida Tlaib è stata eletta nel distretto del Michigan. Figlia di immigrati palestinesi, si propone di sfidare l’attuale presidente americano anche sulla questione dello Stato di Palestina. È molto affine alle idee e alla politica di Bernie Sanders: parla di assistenza sanitaria universale, di tutela dell’ambiente, di una gestione più equa del fenomeno migratorio, e di finanziamenti alla scuola pubblica, tutte idee molto vicine a quelle dell’ex sfidante di Hillary Clinton. Ihan Omar è invece la prima somalo-americana a diventare deputata e sarà la prima donna ad entrare al Congresso con l’hijab, il tradizionale copricapo delle donne mussulmane. Entrata in America come rifugiata, è stata eletta in Minnesota e si ripromette di diventare “il peggior incubo di Donald Trump”.

Tra le Repubblicane, invece, Marsha Blackburn sarà la prima senatrice donna dello stato del Tennessee, mentre Kirsti Noem si appresta a diventare la prima governatrice donna del Sud Dakota.

Infine, per quanto riguarda gli uomini, Jared Polis, 43 anni, sarà il primo governatore dichiaratamente gay negli Stati Uniti. Già titolare di un altro record, essendo stato il primo politico apertamente omosessuale al Congresso, Polis sarà il nuovo governatore del Colorado.

Beto O’Rouke, candidato Democratico al Senato in Texas. Fonte: politico,com

Inoltre, fuori dai record e tra i non-eletti, bisogna senza dubbio tenere sotto osservazione Beto O’Rouke, candidato al Senato per il Texas e presunto astro nascente del partito Democratico. O’Rouke ha fatto in Texas quello che molti ritenevano impossibile fare nello stato espressione dell’America Repubblicana: ha messo a serio rischio la riconferma di Ted Cruz e alla fine ha perso con un margine molto stretto, 48,7% conto il 52,2% di Cruz. O’Rouke ha 46 anni ed era proprietario di una piccola azienda di software. Nato nella città di confine di El Paso, ha sempre avuto una linea politica sull’immigrazione in contrasto con quella di Donald Trump: non è ovviamente favorevole alla costruzione del famigerato muro tra Messico e Stati Uniti e sostiene la smilitarizzazione del confine e una migliore gestione dei canali migratori. Inoltre, il suo programma prevedeva la regolamentazione delle armi da fuoco e l’estensione dell’assistenza sanitaria. Proposte del genere non erano facili da far accettare in uno stato come il Texas e con uno sfidante come Ted Cruz, uno dei senatori Repubblicani più noti negli Stati Uniti, avversario di Trump nelle primarie Repubblicane del 2012, che ha conquistato il 65% dei voti dei texani bianchi. Beto O’Rouke, nonostante tutto, è riuscito a conquistare milioni di voti e anche milioni di dollari per la sua campagna elettorale, grazie alla sua oratoria e al suo carisma, doti che hanno reso facile il paragone con Barack Obama. In effetti, molti sono i punti in comune della sua campagna con quella di Obama nel 2008: O’Rouke si è affidato moltissimo al lavoro dei volontari e all’uso dei social network. Inoltre, la sua figura giovanile e il suo stile comunicativo diretto e immediato ha accentuato il contrasto con Ted Cruz, membro dell’establishment Repubblicano e definito da molti “l’uomo più antipatico d’America”.

Verso novembre 2020

Dunque, questo pareggio alle elezioni di metà mandato ha ancor di più aperto la strada alla campagna elettorale per le prossime presidenziali che inizierà ufficialmente a gennaio 2020 con le primarie per entrambi i partiti. Particolarmente importanti saranno quelle dei Democratici che sono alla ricerca di un nuovo leader dopo la sconfitta della Clinton nel 2016, mentre Trump non lascerà spazio a nessun altro tra i Repubblicani e continuerà a fare quel che gli riesce meglio: propaganda politica. I Democratici, dunque, non hanno attualmente molte carte da giocarsi, ma quelle dell’anno prossimo potrebbero essere le primarie più combattute degli ultimi anni. Mentre i leader noti a livello nazionale sono pochi e spesso impresentabili, a partire da Hillary Clinton che ha comunque confermato la sua candidatura per le presidenziali, gli altri contendenti devono ancora costruirsi una visibilità a livello nazionale.

La scena politica americana sembra comunque caratterizzata da una forte polarizzazione. Da una parte Trump e i suoi seguaci rimangono su posizioni di estrema destra, di chiusura, dall’altra nel partito Democratico sembrano emergere delle figure sempre più a sinistra, sia per quanto riguarda gli aspetti politici e sociali, sia per quanto riguarda quelli economici. La scia lasciata da Bernie Sanders durante le primarie del 2016 non sembra essersi fermata e ha lasciato tracce molto importanti, attirando molti giovani Democratici, bianchi e ben istruiti per lo più. Il partito Democratico, dunque, consapevole del fatto che non otterrà la vittoria alle presidenziali candidando solamente membri del cosiddetto “establishment”, sta effettuando un rinnovamento della sua classe dirigente dal basso, tentando di includere nel proprio elettorato quelle minoranze che non si sentono rappresentate da Donald Trump, né tanto meno dai soliti volti noti Democratici. Sul risalto e l’importanza da dare alle minoranze, i Democratici stanno costruendo l’intera loro campagna elettorale e la loro linea politica, in forte contrasto con quella di chiusura dei Repubblicani.

Dunque, la cosiddetta “blue wave” Democratica sembra dunque aver avuto inizio da queste elezioni di metà mandato e si dirige vero novembre 2020: i Democratici devono però essere attenti e non bruciare quel margine di vantaggio che hanno acquisito in questi anni.

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