Lo scorso 9 novembre è stato pubblicato Black Velvet, l’ultimo album, postumo, di Charles Bradley, cantante soul scomparso il 23 settembre 2017 all’età di 68 anni. Il titolo del disco non è solo il riferimento alla tragica morte del musicista, ma è anche uno dei nomi d’arte con cui Bradley era solito esibirsi nel corso della sua lunghissima carriera come imitatore di James Brown. Per tutta la vita Bradley ha cercato in ogni modo di sfondare nel mondo della musica, avendo dalla sua tutte le carte in regola e, soprattutto, una voce eccezionale, ma trovandosi spesso a dover fare i conti con la sfortuna e con gli eventi tragici che hanno costellato la sua vita. Una storia drammatica che però vale la pena di raccontare.
I primi anni: una vita su e giù per l’America
È il 5 novembre 1948 quando Charles Bradley nasce a Gainesville, in Florida, e fin da subito la vita non sembra sorridergli: la madre se ne va a Brooklyn dopo solo otto mesi, lasciando il piccolo Charles da solo con la nonna materna, che se ne prenderà cura per otto anni. È in questo momento che la madre ricompare per recuperare il proprio figlio e per portarselo con sé a New York. Qui Charles vive in estrema povertà fino ai quattordici anni, tanto che la sua camera è in uno scantinato privo di pavimento. Con queste condizioni di vita precarie, Charles Bradley trova conforto nella musica. In particolare, c’è una data che è rimasta impressa non solo nella vita di Bradley, ma nella storia della musica popolare americana: è il 24 ottobre 1962 quando James Brown, il più grande cantante soul di tutti i tempi, si esibisce in quello che diventerà un concerto leggendario all’Apollo Theatre di New York. A quella serata, che diventerà poi il celebre disco dal vivo Live at the Apollo, è presente anche Bradley in compagnia della sorella: per lui la visione di James Brown è una vera e propria folgorazione, tanto che è in quel momento che decide di seguire le orme del suo idolo e di diventare un cantante.
Per inseguire il suo sogno, Charles Bradley prende subito una decisione drastica: scappare di casa. È così che, nonostante sia appena un adolescente, Charles Bradley passa due anni a vivere da senzatetto per le strade New York, trovandosi poi una via d’uscita attraverso il programma di recupero per i giovani americani Job Corps, grazie al quale finisce in Maine. Qui Bradley riprende in mano la sua vita, alternando al lavoro di cuoco la passione per la musica, senza però trovare particolare fortuna. Dopo dieci anni passati in Maine, Bradley inizia a girovagare per l’America, finendo anche a Seattle, in Alaska, in Canada e, infine, in California. Sono anni duri, vissuti con pochi soldi e molta tenacia. In questo periodo quasi da nomade Charles Bradley non molla e continua a coltivare la passione per la musica, abbandonando però i sogni di gloria di un tempo e accontentandosi di piccoli spettacoli come imitatore di James Brown, utilizzando gli pseudonimi di Black Velvet e Screaming Eagle of Soul.
Charles Bradley, Soul of America
Nel 1996, Charles Bradley è ormai all’alba dei cinquant’anni e decide di tornare a Brooklyn, per occuparsi dell’anziana madre, portandosi dietro il suo spettacolo da emulo di James Brown. I suoi concerti non attirano certo grandi folle, ma più di qualche appassionato rimane colpito dalla sensazionale voce di Bradley: fra questi c’è Gabriel Roth, noto anche con il nome d’arte di Bosco Mann, già bassista di Sharon Jones e collaboratore, fra gli altri, della band afrobeat degli Antibalas. Roth ha da poco fondato un’etichetta discografica, la Daptone Records, assieme al sassofonista Neal Sugarman e decide di portare Charles Bradley in studio per fargli registrare qualche brano. Qui conosce Tom Brenneck, che diventerà il suo produttore e col quale comincia a scrivere i suoi primi inediti. È così che inizia effettivamente la carriera di Charles Bradley, non più solo un imitatore, ma un cantante con un repertorio e, nuovamente, con delle ambizioni.
Fra il 2002 e il 2010, Bradley pubblica dodici singoli, molti dei quali sono contenuti nel suo album d’esordio del 2011, No Time for Dreaming. Il disco è una rivelazione: nonostante abbia 63 anni, Bradley sfodera una voce formidabile, dall’inflessione malinconica e piena di rabbia e con il dolore di chi ha dovuto soffrire per anni prima di riuscire a raggiungere il proprio traguardo. Ad accompagnarlo c’è la Menahan Street Band, che nei suoi fiati implacabili riporta in auge tutta la vitalità del soul nei suoi anni d’oro. Fra le quattordici tracce del disco compaiono anche le riletture di Heart of Gold di Neil Young e Stay Away dei Nirvana, brani molto distanti dallo stile di Bradley che vengono rinvigorite da una nuova linfa rhythm and blues. Un album meravigliosamente anacronistico.
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Nonostante questa rivincita personale di Bradley, la vita continua a metterlo alla prova: prima rischia di morire per una reazione allergica alla penicillina, poi è il fratello che viene a mancare, assassinato a due passi dalla sua abitazione. Nel 2012 esce il documentario Soul of America, in cui Charles Bradley racconta la sua vita fino alla pubblicazione della sua opera prima, e l’anno successivo viene pubblicato il suo secondo disco, Victim of Love. Il culmine lo raggiunge però tre anni dopo con il disco Changes: la title-track, registrata già nel 2013 come dedica alla madre appena scomparsa, è una cover dei Black Sabbath e fa da perno su cui viene costruito tutto il resto dell’album, una sorta di concept sul tema dell’amore nato dall’ennesima tragedia nella vita di Charles Bradley. Dopo l’uscita di Changes, Bradley si trova a vivere una incredibile nuova giovinezza, ma è nell’ottobre del 2016 che riceve, mentre si trova in tour, l’ultima terribile notizia: è affetto da un tumore allo stomaco. Purtroppo, il finale non è di quelli lieti: seppur Bradley riesca in un primo momento a respingere il cancro, il tumore si ripresenta successivamente al fegato e questa volta ogni sforzo è inutile. Il 23 settembre 2017 Charles Bradley muore, sopraffatto da una vita che non ha smesso un momento di metterlo alla prova, ma che ha affrontato a testa alta fino alla fine, riuscendo anche a prendersi, contro ogni pronostico, la sua rivincita.
L’ultimo meraviglioso capitolo di questa tragica storia è Black Velvet, disco che alterna inediti a nuove (e vecchie) versioni di brani già pubblicati, senza però scadere in una sorta di antologia postuma creata appositamente con il solo scopo di vendere. Non una trovata commerciale quindi, ma la testimonianza degli ultimi sforzi di un uomo che solo per poco è riuscito a godere di ciò che aveva sempre sognato di diventare e che fino all’ultimo non ha ceduto, continuando ostinatamente a cantare e riuscendo a riportare in auge un pezzo di storia della musica leggera americana che sembrava ormai lontano e perduto nel tempo.