Non era odio ciò che lo spingeva ad andare contro tutto e tutti: Freddie lo faceva perché il mondo gli era stretto. La musica, i vestiti, gli amori, lo stile e gli amanti, non c’erano limiti a ciò che si poteva cambiare o reinventare per Freddie, e questa assenza di limiti lo ha sempre caratterizzato sia nel bene che nel male, visto che ha voluto spingere con tutto sé stesso fino al suo ultimo giorno, il suo limite finale.
Bohemian Rhapsody è un film intenso, che fa appassionare lo spettatore per tutta la sua durata (due ore abbondanti) e che fa riscoprire a persone di tutte le età la vita e le canzoni più famose dei Queen, la storica band inglese che ha rivoluzionato il rock negli anni Settanta e Ottanta. Sicuramente la prima e più grande menzione d’onore la merita Rami Malek che centra pienamente l’interpretazione (non facile) di Freddie Mercury. Partendo dai particolari più semplici, come la protesi dentaria utilizzata per ricreare l’iperdontia (cioè la presenza di un soprannumero di denti rispetto al normale), fino ad arrivare agli aspetti più difficili, come il travagliato rapporto con il padre, Malek riesce a ricreare un personaggio vero e allo stesso tempo coerente con una personalità eccentrica come quella di Mercury.
L’attore riesce nella difficile impresa di rappresentare la transizione di Mercury da ragazzo timido e curioso a star sfavillante e quasi prepotente, prendendo in considerazione anche il cammino alla scoperta della sua sessualità. Colpisce in particolare la profondità delle emozioni scaturite dal rapporto con Mary Austin (interpretata da Lucy Boynton) che da groupie si trasforma prima in amante e poi in fidanzata. Durante tutta la durata della pellicola, si può capire come l’amore di Freddie verso Mary fosse al contempo profondo e “maledetto” dalla consapevolezza di Mercury di essere omosessuale. Ciò nonostante, si può capire come Mary rimanga una delle persone più importanti nella vita di Mercury anche, e soprattutto, grazie alla fiducia da lei accordata al cantante all’inizio della sua carriera, aiutandolo a infondere la sicurezza di sé durante i primi passi della band.
Un ultimo plauso per Malek è sicuramente dovuto per l’abnegazione necessaria alla messa in scena del famoso concerto Live Aid dell’85. L’attore di Los Angeles interpreta i venti minuti di concerto egregiamente, riproponendo passo per passo la performance di Mercury: i vestiti, le espressioni e le mosse del cantante sul palco di Wembley sono identiche a quelle originali, come si può vedere in alcuni video in rete. Il concerto è probabilmente il modo migliore per chiudere il film, dando ai fan dei Queen una sorta di karaoke sul grande schermo e alle persone meno appassionate della band un assaggio di una delle migliori performance mai registrate su un palcoscenico, lasciando lo spettatore quasi obbligato a rivedere il concerto originale non appena tornato a casa dal cinema.
Il film consente inoltre di scoprire aneddoti che hanno caratterizzato la produzione di diverse tra le canzoni più famose della band inglese. Durante il film viene mostrato come il processo creativo dei Queen non fosse unicamente focalizzato su Freddie Mercury, ma coinvolgesse anche gli altri membri del gruppo. Questa narrativa, magari non estremamente dettagliata, ma basata sui fatti realmente accaduti, è stata possibile grazie al fatto che due membri della band (il chitarrista Brian May e il batterista Roger Taylor) fossero coinvolti fin dall’inizio nel progetto della pellicola, fornendo un supporto insider che ha permesso di fornire più dettagli al film. Il coinvolgimento dei membri della band ha anche lasciato il segno nella direzione iniziale del film che si è spostato dall’essere un possibile tributo al solo Freddie Mercury all’essere invece una celebrazione di tutto il gruppo musicale, anche se con il cantante rimasto il perno principale della storia.
Una delle particolarità che può essere notata nel film è il fatto che la stravaganza, l’eccentricità e la sessualità di Mercury siano state comunque ridotte “in formato famiglia” lasciando interdetti molti fan che si aspettavano un racconto più veritiero e meno ovattato. Un indizio sul motivo che ha portato a questa decisione può essere trovato nelle dichiarazioni di Sacha Baron Cohen (inizialmente scritturato per recitare il personaggio di Freddie Mercury). In questa intervista Cohen spiega di aver lasciato la parte per differenze artistiche con i membri della band coinvolti, sostenendo che May e Taylor spingessero per una versione più soft di Freddie, che tralasciasse gli eccessi della vita da star e potesse conservare la sua immagine in maniera più pulita.
In particolare la pellicola ha ricevuto molte critiche per l’aver marcato eccessivamente la vita eterosessuale di Freddie Mercury nonostante il suo ruolo di icona gay nella cultura popolare e nonostante il film sia ambientato quasi completamente negli anni inclusi nella vita post coming out di Freddie Mercury. Ad aggiungersi a queste mancanze, c’è anche l’esasperazione del rapporto tossico con Paul Prenter che, nonostante nella vita reale abbia venduto dei segreti di Mercury a The Sun, ha sempre dichiarato di non aver mai mancato di avvisare il cantante del concerto Live Aid, come invece avviene in maniera molto evidente nella pellicola.
Un ultimo, grande, punto di discussione generato da Bohemian Rhapsody riguarda le inesattezze della storia a livello temporale. Svariati video e articoli citano infatti incoerenze nella successione e nella descrizione degli eventi narrati. In particolare, la formazione della band è risultata molto più lunga e difficoltosa di quanto rappresentato nel film e molti concerti avvennero nella realtà in date diverse. Inoltre, l’enfasi sul periodo solista di Mercury non tiene in considerazione il fatto che anche altri membri dei Queen hanno rilasciato album da solisti e che il cantante non ha mai ufficialmente lasciato il gruppo contrariamente a quanto visto sul grande schermo. Queste – e altre – differenze sono probabilmente dovute al fatto di voler semplificare la trama e renderla più fruibile anche a spettatori non esperti della band. Al contempo però, le imprecisioni espongono il film all’occhio attento della critica che avrebbe voluto, come nel caso della vita personale di Mercury, una narrazione più coerente con la realtà.
D’altro canto, vista la mancanza di precisione storica, si sarebbe potuto usare l’inerzia emotiva creata all’interno del film per marcare un altro tema che è solo accennato nel film, ma che è stato parte della vita di Mercury durante i suoi ultimi anni, ovvero la sua lotta contro l’HIV. Mentre da un lato il cantante ha tenuto nascosto il più possibile la sua malattia, la sua vita privata e alcune delle sue ultime canzoni hanno sicuramente risentito dell’impatto dell’AIDS sul suo corpo e sul suo stato d’animo. In particolare, la canzone The Show Must Go On, ritenuta un classico della band e scritta negli ultimi anni di anni vita di Mercury (già consapevole del suo stato di salute), avrebbe potuto essere raccontata aggiungendo una nota struggente, ma al contempo importante alla trama.
In conclusione, Bohemian Rhapsody è un film che intrattiene e convince, ma allo stesso tempo mostra che i produttori non abbiano voluto prendersi rischi puntando più al gran pubblico che ai fan della band. Ciò nonostante, la grande interpretazione di Rami Malek riesce a portare in alto il livello complessivo del film. L’attore riesce a far emozionare il pubblico durante tutta la durata e centrando la complessità di un personaggio sicuramente difficile da interpretare come Mercury, sia nei suoi momenti più eccentrici che nell’intimità dei rapporti con partners e famiglia. Il lavoro degli sceneggiatori nel ricreare i molti costumi del gruppo e l’atmosfera degli anni Settanta e Ottanta aiuta a dare credibilità a questo romanzato viaggio nel tempo che accompagna gli spettatori durante i primi quindici anni di uno dei gruppi rock più famosi e che si conclude in maniera spettacolare con uno dei migliori concerti di sempre.
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