Quella appena trascorsa è stata una settimana incredibilmente negativa per le squadre italiane impegnate in Europa. Tra Champions ed Europa League, infatti, i sei club impegnati nelle competizioni continentali (in ordine di classifica dello scorso anno: Juventus, Napoli, Roma, Inter, Lazio e Milan) hanno collezionato complessivamente un solo punto, frutto del pareggio dell’Inter contro il PSV. Tutte le altre squadre hanno perso – più o meno meritatamente – le rispettive partite, portando non solo a termine una tre giorni disastrosa in termini di Ranking UEFA ma subendo anche un’eliminazione definitiva e due “retrocessioni” (Napoli e Inter finiranno a giocare l’Europa League, mentre il Milan è stato estromesso da tutte le coppe europee per il resto della stagione). Sembra dunque chiaro che la favoletta delle squadre italiane pronte a un ritorno dominante in Europa non abbia ancora trovato un suo lieto fine. Eppure, da troppi anni ormai il bilancio delle squadre nostrane nelle competizioni in questione rasenta il disastroso. Tornare a vincere sarebbe fondamentale perché, come avrebbe detto qualcuno in altri ambiti, “ce lo chiede l’Europa”. Ma tra il dire e il fare, come il proverbio insegna, c’è di mezzo un mare, in questo caso composto da speranze disattese e da una morìa generale di ambizioni.
Perché le squadre italiane non riescono più a vincere in Europa
Come sempre, i freddi numeri delineano un quadro efficace dei problemi vissuti dal movimento calcistico nostrano in Europa. La Champions League non trova la via del Bel Paese dall’ormai lontano 2010, ovvero da quando l’Inter di Mourinho riuscì a portare a termine il famigerato Triplete, vincendo la competizione in finale contro il Bayern Monaco dopo aver già portato a casa Scudetto e Coppa Italia (primo e unico club italiano a riuscirci, finora). Per l’Europa League la situazione è ancora più drammatica, poiché nessun club italiano è mai riuscito ad accaparrarsi la coppa dall’avvento della nuova denominazione. Se si parla invece di Coppa UEFA, l’ultima squadra italiana a prevalere in questo senso fu il Parma, addirittura nella stagione 1998-1999, in finale contro il Marsiglia.
Sono evidentemente trascorsi tantissimi anni da queste vittorie e la situazione non sembra essere particolarmente migliorata. Andando infatti più nel dettaglio (ed escludendo le squadre che nemmeno sono riuscite a superare i preliminari dei tornei in questi anni) in Champions League dalla vittoria dell’Inter le squadre italiane hanno finora collezionato la miseria di due finali (entrambe della Juventus ed entrambe perse), con sei eliminazioni alla fase a gironi, nove agli ottavi, quattro ai quarti di finale e una in semifinale. Per l’Europa League il discorso è ancora più devastante: basti pensare che il miglior risultato ottenuto in questi anni è stato rappresentato da una doppia semifinale (perdente) di Napoli e Fiorentina nella stagione 2014-2015, con azzurri e viola eliminati rispettivamente da Dnipro e Siviglia. Il dato è reso ancor più inquietante dal fatto che quella vinta dal Parma è stata l’ultima finale europea di una squadra italiana nella competizione.
I motivi delle brutte figure
Le motivazioni della mancata incisività delle squadre italiane in Europa sono in realtà facilmente ricercabili (seppur senza una base scientifica ma prettamente istintiva). In primis, sembra proprio che la stampa calcistica nostrana non riesca a liberarsi da quel senso di superiorità che, al giorno d’oggi, costituisce soltanto una pericolosa retorica. Le squadre straniere, viste sempre più deboli rispetto alle nostre in termini generici, si sono invece rinforzate sia tecnicamente che tatticamente (anche quelle dei Paesi con meno tradizione pallonara) mentre invece le nostre continuano a sottovalutarle, esponendosi a brutte figure francamente evitabili.
A questo problema si lega anche la ricerca costante del riscatto, attraverso le prestazioni europee, di un campionato come la Serie A divenuto per anni un vero e proprio cimitero di elefanti (e che solo adesso, forse, sta ritrovando nuovo vigore, seppur parziale). Sfortunatamente, il riscatto passa attraverso la qualità e il ritratto del calcio italiano adesso è tristemente monotematico. La Juventus, infatti, rappresenta l’unica vera possibile antagonista per le big europee, grazie alla sua intensa programmazione, al rinnovato appeal e anche alla capacità monetaria superiore alle altre compagini nazionali. Quelli di Napoli, Inter e Roma sono progetti che, pur nella loro positività e ambizione, non possono ancora competere ad altissimi livelli, mentre squadre come Lazio e Milan in questo momento non sembrano attrezzate per andare avanti in campo europeo.
Alla mancanza evidente di qualità è giusto anche unire, sottolineando in rosso, quella che da anni pare una palese assenza di personalità ad alti livelli, sia da parte dei tecnici che da parte dei calciatori. A dispetto della già citata Juventus (che comunque deve confrontarsi con squadre sulla carta più forti) le altre compagini italiane sembrano non possedere la spinta necessaria per il salto di qualità. Il Napoli, ad esempio, vanta un grande allenatore e un gioco sublime ma anche uomini chiave che spesso sono venuti meno nei momenti decisivi, quando serviva soprattutto la testa e non il talento. L’Inter possiede delle singolarità di primissimo livello in Europa – come Icardi, Handanovic e Perisic – ma un compartimento di squadra decisamente inferiore ad esse, mentre la Roma si offre spesso al paragone con una mina vagante, capace di grande exploit (come la semifinale della scorsa edizione) ma anche di annate negative o mai troppo incisive. La gara del Milan in casa dell’Olympiakos poi è una sorta di manifesto in tal senso: ai rossoneri bastava non perdere con due gol di scarto per andare avanti ma la paura incalzante dopo l’iniziale svantaggio e una mancanza di carattere manifestata anche in campionato hanno messo la firma su un destino beffardo.
Non si può prevenire, solo curare
La strada verso un trionfo europeo sembra dunque di nuovo tortuosa, anche se mai come quest’anno proprio la Juventus pare prontissima a diventare una seria concorrente per la vittoria finale in Champions League. In termini generali, però, le nostre squadre sembrano decisamente poco preparate a gestire le gare all’estero, specie quando si scontrano contro club che posseggono maggiori qualità fisiche o ritmi frenetici a cui far fronte (come quelli di Bundesliga e Premier League).
La prevenzione ormai non è più possibile perché, inevitabilmente, il calcio italiano in Europa è in crisi. Per non arrivare al default o a “sanzioni” di vario genere, servono riforme concrete per sostenere l’europeismo dei nostri club, troppo spesso poco invogliati a fare bene soprattutto quando si parla di Europa League (una competizione che però, obiettivamente, possiede poco mordente economico: basti pensare che alla vincitrice del trofeo spetta un esborso monetario equivalente al superamento di un ottavo di finale di Champions, 18 milioni circa). La strada giusta potrebbe essere quella di creare una mentalità europea per valorizzare e tutelare meglio – sia economicamente che tecnicamente – le squadre italiane che giocano le coppe. Un compito che, però, può spettare soltanto alla Federazione. Bisogna far presto, però: ce lo chiede l’Europa, non possiamo più aspettare.