Gervinho lasciò il campionato italiano a metà della stagione 2015/16. In due anni e mezzo aveva attraversato tutta la parabola del calciatore moderno: da oggetto misterioso a piacevole sorpresa, per poi diventare punto di riferimento dell’attacco della Roma di Rudi Garcia. Dopo questo periodo in costante ascesa iniziò, in maniera altrettanto repentina, la fase calante: una serie di prestazioni non soddisfacenti aprirono la strada alla delusione, quando venne dileggiato e trasformato in un meme (venne ribattezzato Er Tendina, a causa della sua particolare pettinatura) durante gli ultimi mesi alla Roma, quelli in cui i più lo bollarono come un giocatore finito. A conferma di tutto ciò la partenza per la Cina, dove alla corte delle Hebei Fortune si prospettava un fine carriera anticipato a 8 milioni di euro all’anno. Insomma, anche il suo sostenitore più accanito avrebbe perso tutte le speranze di rivedere il proprio idolo arare la metà campo avversaria come ai bei tempi. L’annuncio del suo ritorno in Serie A, con la maglia del neopromosso Parma, aveva sorpreso un po’ tutti: che cosa potrà mai dare agli emiliani un ormai ex giocatore come Gervinho? A quanto pare, ancora molto.
Gervinho: correndo verso la porta
“Gervinho” non è il suo vero nome, come si può intuire dalla sfumatura portoghese data dalle ultime tre lettere. È un soprannome dato da un collaboratore tecnico brasiliano della squadra dove ha fatto le giovanili, l’ASEC Mimosas di Abidjan, la più grande città della Costa d’Avorio. A 10 km da lì, ad Anyama, Gervais Yao Kouassi è nato il 27 maggio del 1987. Centravanti o, all’occorrenza, ala, la caratteristica principale che spicca subito all’occhio non appena mette piede sul rettangolo di gioco è la propria estrema velocità. Con o senza palla, è praticamente imprendibile ed è difficile trovare qualcuno che lo riesca a fermare o comunque a contrastare in maniera efficace. Se a questo fondamentale associasse una maggior precisione sotto porta e avesse avuto una carriera meno altalenante, ci si troverebbe di fronte a un giocatore di altissimo livello.
Gervinho deve ringraziare in particolare due uomini se è diventato quello che è oggi. Il primo è Jean-Marc Guillou, che aveva incontrato un allora giovanissimo Gervais nella Primavera del Mimosas. È lui che, una volta approdato al Beveren, squadra della prima divisione belga, chiamò Gervais in Europa, permettendogli il primo approdo nel calcio che conta. La realtà del Beveren era molto particolare e la gestione di Guillou è fra le più controverse: la squadra era di fatto una piccola colonia di giocatori della Costa d’Avorio. Anche Yaya Tourè, uno dei giocatori africani più influenti di tutti i tempi, era passato da lì. Al Beveren, Gervinho ha avuto il tempo di maturare con calma e conoscere i ritmi e la dimensione del calcio europeo: un altro mondo rispetto ai tempi di Abidjan. Eppure, questa manciata di ragazzi ivoriani, benché ancora non maturi, si è fatta valere in Belgio: hanno portato la piccola squadra in Europa, dopo aver perso la finale di Coppa (per la cronaca, 10 giocatori su 11 erano ivoriani). Il modello Guillou è stato criticato aspramente e, in breve, la squadra è stata smantellata. Gervinho, quindi, preparò le valigie e andò in Francia.
Al di là della linea Maginot, il rapido centravanti incontra il secondo allenatore fondamentale per la sua carriera: è il già citato Rudi Garcia, che avrebbe ritrovato a Roma qualche anno dopo. Infatti, a seguito delle ottime stagioni con il Le Mans, il tecnico francese di origine spagnola lo chiamò al Lille. La squadra del nord della Francia era destinata a fare faville: Gervinho, insieme ai vari Eden Hazard, Mathieu Debuchy, Adil Rami e Yohan Cabaye vinse la Ligue 1 nel 2010/11, facendo uno storico double sconfiggendo il Paris Saint-Germain in Coppa di Francia (1-0, goal di Obraniak). Era la prima volta nella storia del club. Garcia era riuscito, con una squadra rapidissima e tecnicissima, là dove nessun altro prima di lui aveva osato. Gli eroi di Lille avrebbero presto cambiato aria: la destinazione di molti, Gervinho compreso, sarebbe stata l’Inghilterra, da un altro tecnico francese esperto amante del calcio brillante e tecnico. Ma con Arséne Wenger le cose non andarono come sperato.
L’esperienza all’Arsenal non fu tra le più felici: Gervinho non sembrò mai adattarsi alla perfezione al calcio inglese. L’espulsione alla prima presenza e le conseguenti tre giornate di squalifica – aveva preso a schiaffi nientemeno che Joey Barton – avrebbero dovuto far presagire la difficoltà delle sue due stagioni con la maglia dei Gunners. Ma un suo estimatore era appena andato a sedersi sulla caldissima panchina di Roma e Gervinho decise di seguirlo. Ecco che il sodalizio con Garcia tornava in auge. Il destino dei due rimase unito nel corso dei due anni e mezzo nella Capitale. Entrambi arrivarono fra lo scetticismo generale (la Roma aveva appena perso la finale di Coppa Italia del 26 maggio contro la Lazio) e stupirono la disillusa tifoseria romanista, che aveva inaspettatamente ritrovato fiducia grazie alle prestazioni della squadra del tecnico francese: il miracolo di Lille poteva ripetersi. La Roma dovette arrendersi solo alla Juventus dei 102 punti, ma si tolse la soddisfazione di eliminare dalla Coppa Italia i bianconeri, proprio grazie alla rete di Gervinho, ormai idolo dei tifosi della Magica, che lo ribattezzarono “la Freccia Nera”.
La prima stagione si chiuse con zero titoli, ma il secondo anno si prospettava come carico di aspettative per il campionato. La Juve aveva cambiato allenatore e la Roma aveva sulle spalle la responsabilità di fermare i bianconeri dal quarto titolo di fila. Tuttavia, la parabola iniziava a scendere, sia per Garcia, che per Gervinho: l’ivoriano continuava a essere irraggiungibile e, in coppia con Salah, costituiva un duo temibilissimo, ma i gol sbagliati iniziavano a essere tanti. Iniziarono ad arrivare i primi fischi che continuarono ad aumentare a causa dei risultati non esaltanti dei giallorossi. La parabola era arrivata alla sua fase discendente.
Gervinho era ormai ridotto a un meme: sui social spopolava la foto che lo ritraeva durante un’azione di gioco, senza bandana, che mostra un’attaccatura dei capelli un po’ troppo alta. Er Tendina lasciò quindi la Roma a metà della terza stagione, poco dopo l’esonero del suo mentore Garcia, sostituito da Luciano Spalletti. La società accettò i 27 milioni dalla Cina e Gervinho, ormai considerato finito, partì per Qinhuangdao, per vestire la maglia dell’Hebei Fortune dell’ex Napoli Ezequiel Lavezzi. Qui, Gervinho mostra sprazzi di buon calcio: non è un giocatore finito, mette a segno 4 reti in 29 presenze, ma chi prenderebbe seriamente un attaccante che va a giocare in Cina? Il Parma Calcio, evidentemente, sì. E fa bene: perché Er Tendina è tornato a essere la Freccia Nera. La prima a farne le spese è proprio la Juventus, sua avversaria ai tempi della Roma: al 33’, Gervinho metteva a segno il momentaneo 1-1. Il primo dei suoi (al momento) cinque gol con la maglia del Parma.
Gervinho: il ritorno della Freccia Nera
In Africa, ogni mattina, quando sorge il sole, una gazzella si sveglia. Sa che dovrà correre più forte del leone, ma, al contempo, sa che non potrà mai correre più veloce di Gervinho, la Freccia Nera di Anyama. Oggi, l’ivoriano fa sognare i tifosi del Parma che, come lui, cercano riscatto dopo i durissimi anni lontano dalla Serie A. Ha ritrovato lo smalto e la tranquillità che sembrava aver smarrito. Gli emiliani ringraziano e ogni domenica sognano di gridare che, con la numero 27, ha segnato Gervais Yao Kouassi, detto “Gervinho”.