L’11 dicembre si sono tenute le elezioni regionali indiane, grande trampolino di lancio verso le elezioni generali del 2019 in cui verranno rinnovati il parlamento e la presidenza. Gli occhi di gran parte dell’Asia e dei commentatori internazionali erano puntati su queste consultazioni al fine di rilevare delle possibili indicazioni per le scadenze elettorali del prossimo anno, senza contare che fungono da rilevatore per analizzare le politiche del governo Modi e sul come queste sono state recepite dalla popolazione della democrazia più grande del mondo. Le elezioni hanno rinnovato le assemblee regionali di cinque stati dell’India: Chhattisgarh, Madyia Pradesh, Telangana, Mizoram e Rajasthan.
La campagna elettorale si è svolta con toni decisamente molto aspri, con Modi che è stato ripetutamente accusato dalle opposizioni di appoggiarsi eccessivamente ad argomenti cari ai nazionalisti indù nella speranza di recuperare voti allargando la propria base a destra, cosa abbastanza naturale per un partito come quello di Modi, il BJP (Bharata Janaya Party – Partito Popolare Indiano) che ha sempre fatto della retorica nazionalista il proprio cavallo di battaglia. In questa occasione, tuttavia, il partito del presidente si è concentrato su questioni anche di natura religiosa, come il rafforzamento del divieto di uccisione delle vacche (sacre per gli indù). L’essersi concentrati su tematiche di questo tipo si temeva potesse far perdere a Modi il voto dei moderati.
Il principale partito d’opposizione, il Partito del Congresso Nazionale Indiano, è guidato da Rahul Gandhi, figlio di Rajiv e Sonia Gandhi. Questo le permette di fare perno sulla tradizione politica della famiglia Nehru-Gandhi, considerata come una sorta di dinastia politica dell’India. Sonia Gandhi, di origini venete, è entrata in politica solo dopo la morte del marito: nel 2004 si è rifiutata di diventare primo ministro in quanto sapeva del probabile ostracismo della classe politica indiana e ha preferito fare spazio a Manmohan Singh, politico esperto e già ministro delle finanze con il governo di Rao. Rahul, dal canto proprio, è stato eletto al Lok Sabha per la prima volta nel 2004.
I risultati delle elezioni regionali indiane al termine della giornata indicavano un Madyia Pradesh molto combattuto ma volto a favore del Congresso, Rajasthan e Chhatisgarh nettamente in mano al partito di Gandhi, Telangana e Mizoram in mano ai partiti regionali (rispettivamente KCR e MNF). Analizzando più in profondità i dati uscenti dalla consultazione nei tre stati del Madyia Pradesh, del Rajahstan e del Chhatisgarh, si nota come il BJP abbia perso tutti e tre gli stati e consentito al Congresso di avere un margine sufficiente da poter proporre un governo duraturo nei tre stati.
L’analisi della sconfitta di Modi alle elezioni regionali indiane parte dai contenuti utilizzati in campagna elettorale. Si è mostrato troppo vicino a istanze religiose e nazionaliste proprie degli indù invece di offrire concretamente ricchezza e metodi per risolvere la carestia in corso e la necessità di cibo che ne consegue direttamente. Altro grosso problema che è rimasto senza menzione nei programmi elettorali del BJP è la disoccupazione, che sotto il governo di Modi ha raggiunto livelli mai visti prima. Responsabile della campagna è Yogi Adityanath, un ex sacerdote indù reinventatosi come spin-doctor e ministro dello stato dell’Uttar Pradesh. Adityanath si è posto come promotore del progetto di costruzione di un tempio indù presso Ayodhya, molto controverso in quanto posto su un territorio sacro per i musulmani.
Il congresso, dal canto proprio, strappa degli stati molto importanti al BJP e dove questo governava da diverso tempo (in Chhatisgarh addirittura tre mandati in fila) e, oltre ai contenuti, l’ha fatto con un progressivo radicamento sul territorio iniziato quattro anni fa dopo la dolorosa sconfitta alle elezioni per il Lok Sabha e con l’alleanza con i piccoli partiti locali e castali, per certi versi i veri vincitori di queste elezioni. Il congresso è quindi andato ad occupare un’area elettorale, quella rurale, di cui il BJP si è completamente scordato concentrandosi sulle questioni religiose e dimenticando quella promessa di sviluppo fornita da Modi nel 2014 che l’ha sicuramente aiutato nella scalata alla presidenza.
Un altro aspetto interessante che esce dalle elezioni regionali indiane è la cessione di consenso che il BJP ha sofferto a beneficio dei micropartiti castali e regionali: non solo KCR e MNF ma anche molti altri partiti che somigliano più ad associazioni di categoria che a partiti come intesi nella tradizione politica occidentale). Questi sono stati in grado di intercettare i bisogni completamente dimenticati dal BJP nelle aree urbane, realizzando ciò che il Congresso ha realizzato nelle aree rurali. Questo fenomeno è stato particolarmente rilevante nel Chhatisgarh, dove i maoisti indiani (più noti con il nome di Naxaliti) imperversano da cinquant’anni con azioni di guerriglia contro lo sfruttamento minerario della regione e dove la tensione sociale è alle stelle.
Il dato più rilevante sopravviene quando si pongono in proiezione i dati di queste elezioni regionali da qui a cinque mesi, quando a maggio si terranno le consultazioni per il Lok Sabha e per la presidenza. Nei tre stati più grandi (Madyia Pradesh, Chhattisgarh e Rajahstan) coinvolti in questa tornata delle elezioni regionali indiane offrono all’assemblea nazionale indiana, il BJP di Modi ad oggi raccoglie 62 seggi. Nel caso in cui si dovessero confermare tali tendenze, il bottino finale di seggi provenienti da questi tre stati sarebbe ridotto della metà (Madyia Pradesh da 27 a 16, Rajahstan da 25 a 13, Chhattisgarh da 10 a 1). Per quanto concerne il partito del Congresso, al contrario, i seggi provenienti da questi stati verrebbero decuplicati (Madyia Pradesh da 2 a 12, Rajahstan da 0 a 12, Chhattisgarh da 1 a 10).
Le dichiarazioni post elezioni dei principali attori in gioco fanno intendere che il BJP ha imparato la lezione e durante i prossimi mesi correggerà il tiro ricominciando a parlare di sviluppo e di creazione di lavoro. Non dovesse accadere, le possibilità che il Lok Sabha ritorni al Partito del Congresso e che Rahul Gandhi occupi la presidenza sono decisamente alte. I partiti si scontreranno quindi su temi legati alla sfera principalmente economica, lasciando da parte altri temi maggiormente legati alla sfera sociale quali la tensione interreligiosa (in parte causata dallo stesso governo Modi) e i problemi sociali dell’India.
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