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Prostituzione: il futuro è la strada?

Published by
Michele Corato

Quando ci si riferisce al “mestiere più antico del mondo” non rimane molto spazio all’immaginazione, appare ovvio, infatti, l’argomento trattato. La prostituzione, si sa, è sempre stata più o meno diffusa, da qui la nota definizione; tuttavia non è etimologico l’ambito dell’odierna indagine. Ognuno sa dell’esistenza e dell’esercizio della nota professione ma, la maggior parte delle volte, non se ne parla, quasi fosse un argomento tabù o come a voler tentare di nascondere malamente l’ampiezza o la diffusione di un tale fenomeno. Può sembrare un cliché, quasi uno stereotipo da dire ma, se esiste e resiste la prostituzione significa che, di fondo, c’è mercato e ignorare tale fatto è come nascondersi dietro a un dito. Oltretutto, l’attuale normativa o, meglio, l’assenza di regolamentazione, appare ai più sconosciuta così come gli eventi che, nel corso della storia, hanno trasferito il noto fenomeno dai lupanari alle statali arrivando, in certi casi, a far credere che la prostituzione sia di per sé un’attività illecita.

Evoluzione storica e normativa

Senza risalire fino all’antichità, limitandosi specificamente al nostro paese, la regolamentazione della prostituzione ha avuto inizio verso la metà del 1800. In questo contesto sono state create le prime “case di tolleranza”, chiamate così perché, appunto, tollerate dallo Stato, che hanno trovato una disciplina ancora più specifica nel 1933. L’esercizio della prostituzione, dunque, era equiparato a qualsiasi attività commerciale: era necessaria, innanzitutto, una licenza, poi sono stati stabiliti dei tariffari e dei controlli periodici sullo stato di salute oltre, ovviamente, al pagamento delle tasse. In questo periodo, inoltre, inizia a diffondersi il nome “case chiuse” per riferirsi a questi luoghi e ciò in quanto non erano visibili dall’esterno stante l’obbligo di serrare le tapparelle. Un effetto dirompente in materia deve attribuirsi alla Legge Merlin del 1958 che, oltre a ciò ce si dirà in seguito, ha stabilito la chiusura delle case di tolleranza.
La Legge in questione deve il suo nome ad Angelina Merlin senatrice, ex partigiana, prima firmataria e promotrice della legge. L’obiettivo perseguito dall’emanazione di detta Legge era quello di porre fine allo sfruttamento della donna diffusosi nel periodo di esistenza delle case chiuse. Molte donne, appartenenti alla fascia più povera della società, venivano sfruttate per il mercifico del proprio corpo dietro compensi miseri e dietro lo stigma sociale dell’iscrizione in appositi registri. L’iter della nascita della legge, promossa per la prima volta nel 1948, è durato all’incirca un decennio e ha diviso nettamente l’opinione pubblica. Come è facile immaginare, così come del resto avviene anche oggi, una parte della popolazione era favorevole all’abolizione delle case chiuse, un’altra, invece, nettamente contraria. La legge n. 75 del 1958 venne, infine, approvata e la scelta è ricaduta su una totale deregolamentazione in materia. Vale a dire che, oltre alla chiusura delle case di prostituzione sancita dall’art. 1, della stessa Legge, non si è intervenuti a regolamentare la nota professione ma, bensì, a sanzionare alcune particolari condotte di sfruttamento della stessa. In poche parole, con la legge che è tutt’ora in vigore, la prostituzione non è di per sé illegale. Il mercifico del corpo, quando libero e consapevole, è perfettamente legale in forza del principio di autodeterminazione, trasversale all’intero ordinamento italiano e costituzionalmente tutelato. Ciò che viene punito è lo sfruttamento, l’induzione e il favoreggiamento alla prostituzione. In particolare, lo sfruttamento si verifica quando qualcuno costringa un’altra persona a prostituirsi, intascandosi i guadagni o pagando uno stipendio. Si ha induzione, invece, quando un soggetto attraverso convincimento o persuasione, appunto, induca un altro soggetto all’attività di prostituzione offrendo un compenso. L’ultima condotta è quella del favoreggiamento ossia quando, semplicemente, taluno favorisca l’attività di meretricio.

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Come già detto, la riforma introdotta dalla Legge Merlin muoveva da un contesto del tutto particolare e totalmente diverso da quello attuale, dunque, la battaglia portata avanti dalla senatrice Merlin poteva agevolmente definirsi più che nobile. Il sistema previgente, infatti, risultava svilente soprattutto per le donne: i pubblici registri e le visite obbligatorie non facevano altro che “isolare” una fascia di popolazione che, dati gli anni e la diversa morale pubblica dell’epoca, veniva sempre più stigmatizzata non consentendo, anche volendo, un’uscita dal “sistema” una volta al suo interno. L’intero procedimento legislativo ha infatti avuto origine da diverse lettere indirizzate alla stessa senatrice dove donne sfruttate o inghiottite dal sistema diffuso all’epoca invocavano il suo aiuto. La volontà perseguita, punendo tutte le condotte di sfruttamento, era quella di eliminare, in prima battuta, lo sfruttamento dello Stato e restituire dignità e libertà di scelta lontano da qualsiasi forma di costrizione esterna. Ma tale ambizioso obiettivo è stato realmente raggiunto?

L’attuale situazione e gli ipotetici scenari

Per rispondere alla precedente domanda è sufficiente guardarsi intorno. Il fenomeno della prostituzione dilaga, così come dilagava e così come farà anche in futuro. La differenza è che ora ciò avviene sulle strade, mentre prima avveniva nelle case chiuse, e lo sfruttamento è gestito dalla criminalità anziché dallo Stato. Il problema fondamentale, infatti,  riguarda il vero e proprio mercato illegale che si è venuto a creare per alimentare la prostituzione. Una tratta di esseri umani, anche minorenni, che ha spinto il legislatore ad intervenire più volte negli ultimi anni cercando di arginare il fenomeno. Su questa linea si pongono tutte le leggi, derivanti dalla tutela sovranazionale del soggetto vulnerabile, dirette alla protezione della vittima del reato che in questi casi non ha altra scelta se non quella di cedere all’abuso. Una situazione, questa, che non può che confermare tutte le lacune emerse, dopo 60 anni dall’introduzione della Legge Merlin, di un sistema che forse necessiterebbe di una revisione.

Sono diverse le proposte che si sono susseguite in questi 60 anni ma, in particolare, negli ultimi anni, ognuna delle quali non ha mai raggiunto l’approvazione. L’argomento, come già osservato, è in grado infatti di scindere l’opinione pubblica e quindi non è raro che proposte, siano esse pubbliche o politiche, in tal senso lascino il tempo che trovano oppure nascano unicamente allo scopo di attirare voti facili dal politico di turno.
Nemmeno in ambito europeo si ravvisa una posizione univoca. Ci sono paesi, come appunto l’Italia, dove la prostituzione non è regolamentata, sanzionando unicamente le condotte dello sfruttamento ovvero i clienti. In altri paesi, soprattutto quelli dell’est europa e più recentemente del nord europa, la prostituzione è illegale e ne viene sanzionato anche il semplice esercizio. A tali orientamenti si contrappongono quelli dove invece è regolamentata fra i quali emerge l’arcinota Olanda, il cui contesto storico e sociale non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, ma anche la Germania, l’Austria o la Grecia. In questi casi, così come in altri Stati non citati, viene consentita la prostituzione indoor sanzionando, di converso, l’esercizio in strada. Il reddito così percepito viene assoggettato alle imposte o, che dir si voglia, tassato. In questi casi rimangono comunque sanzionate le condotte dirette a influire sulla volontà e sulla libera determinazione delle persone ossia quelle di sfruttamento e induzione.
Ritornando, ora, al nostro Paese e, in particolare alle modifiche proposte, alcune mirano a rafforzare la Legge Merlin al fine di rendere ancora più aspre e precise le sanzioni sullo sfruttamento. Tali teorie muovono dal punto che nei paesi dove la prostituzione è regolamentata il traffico illegale della stessa non sarebbe diminuito. Diametralmente opposte, invece, le proposte dirette a regolamentare anche in Italia il mercato della prostituzione. In tale ambito si auspica a sottrarre proventi alle associazioni a delinquere destinandoli, ovviamente, alle casse dello Stato facendo così emergere un mercato amplissimo che, al momento, risulta escluso. Certo è che l’attuale situazione, oltre a favorire dette attività, non consente la tutela piena che potrebbe offrire una regolamentazione in termini, soprattutto, di sicurezza personale. Non sono rari i casi, tristemente noti, di violenze o addirittura omicidi nei confronti di persone che, vivendo e lavorando nell’invisibilità, finiscono in tal modo la propria vita.

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Occorre, infine, precisare come l’intero discorso fin qui svolto sia riferibile unicamente a quei soggetti, maggiorenni, che scientemente decidono di vendere il proprio corpo. Non sono rari, infatti, blog, servizi di informazione, o testate giornalistiche che offrono una realtà particolare: interviste e dichiarazioni di chi svolge questa professione, lo fa consapevolmente o addirittura con soddisfazione. Questo è, appunto, il mercato “pulito” che potrebbe essere oggetto di regolamentazione. Una realtà diversa, invece, sotto gli occhi di tutti è quella dello sfruttamento. Persone provenienti in particolare da paesi poveri, magari attirate con la falsa promessa di un lavoro remunerativo, schiavizzate per l’altrui piacere. Tali fenomeni devono continuare a essere soppressi e perseguiti nel modo più rigido possibile. La necessità, dunque, è la stessa portata avanti dal 1948, quella di reprimere ogni forma di sfruttamento e, al contempo, disciplinare chi è estraneo a questa rete e pone in essere una scelta libera e consapevole. Un tale obiettivo, purtroppo, risulta difficilmente perseguibile allo stato dei fatti. Sicuramente, ora, sono diversi i presupposti: negli anni ’50 la necessità delle case chiuse era vista come uno sfogo per l’uomo e come una tutela della pubblica morale, oggi, invece, si vorrebbe sottrarre un mercato alla malavita e percepirne gli introiti nonché offrire una maggior tutela. Ciò che non è cambiato è l’inefficacia dello Stato di intervenire nella repressione del mercato nero. Tale mercato, infatti, era già diffuso nell’epoca delle case di tolleranza, non è stato unicamente conseguenza della loro abolizione. La legge Merlin, quindi, costituisce senz’altro il miglior strumento di tutela al momento ma ciò non toglie che il mercato necessiti, almeno in parte, una regolamentazione e, di converso, devono essere potenziati gli strumenti atti a reprimere lo sfruttamento in modo da consentire una tutela effettiva. Al di là delle semplici dichiarazioni, uscite pubbliche e promesse vuote sarebbe necessario un intervento diretto ma questo, al momento, sembra passare in secondo piano preferendo chiudere un occhio chiuso su di un fenomeno che appare, alla vista di tutti, affollando le strade.

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Michele Corato

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