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Ce ne sono tanti, di Antonio Megalizzi

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Cecilia Valente

Il volto di Antonio Megalizzi capeggia sulla copertina del numero dell’Espresso uscito lo scorso 23 dicembre. È una delle “persone dell’anno”, insieme ad altri giovani volti che hanno fatto qualcosa per questo 2018. È una copertina che Antonio si è guadagnato suo malgrado. Probabilmente arrivare su quella pagina era uno dei suoi obiettivi professionali, ma sicuramente le modalità con cui aveva sognato di metterci il proprio nome erano ben diverse. La sera di martedì 11 dicembre a Strasburgo, Antonio Megalizzi è stato colpito alla testa da un proiettile sparato da Chérif Chekatt durante un attentato terroristico. È morto il 14 dicembre dopo tre giorni di coma.

La copertina de L’Espresso dello scorso 23 dicembre. Fonte: l’Adige.it

Ventotto anni, trentino, aspirante giornalista e studente del corso di Laurea Magistrale MEIS (Master in Studi internazionali ed europei) alla Scuola di Studi internazionali dell’Università di Trento. Antonio si trovava a Strasburgo in occasione dell’ultima seduta plenaria dell’anno del Parlamento Europeo per conto della testata radio EuroPhonica. Europeista convinto, ironia della sorte è stato ucciso proprio nella città sede del Parlamento Europeo e simbolo di quella parte d’Europa più vicina ai cittadini.

L’attacco è stato sicuramente un attacco al cuore dell’Unione Europea. Contro quell’istituzione che più di tutte simboleggia l’unione dei popoli europei e i valori democratici che li caratterizzano. Il progetto dei padri fondatori dell’Unione era quello di creare una comunità di stati come assicurazione contro l’incubo del Novecento. L’articolo 2, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione Europea recita: «L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli». Bisogna concederglielo, su quel versante finora la loro strategia ha funzionato alla perfezione. Sono state ormai smantellate le circostanze che avrebbero permesso agli Stati europei di intraprendere di nuovo una guerra sanguinosa anche solo la metà di quanto lo siano state le due guerre mondiali. Ormai ci siamo abituati, ma non va dimenticato che c’è stato un tempo, un tempo in cui l’Unione Europea non c’era, in cui avremmo dato qualsiasi cosa per avere la situazione che c’è attualmente.

In una situazione del genere, credere che l’Unione Europea sia solamente fatta da un manipolo di burocrati che ci dice cosa fare e cosa non fare con la legge di bilancio, è da persone poco intelligenti. «Gli euroscettici sono come quelli che nei film horror decidono di dividersi e staccarsi dal gruppo. Ce li avete presenti? Finiscono sempre mangiati da un mostro, con noi spettatori che urliamo “idiota, te lo sei meritato!”, davanti al televisore» con queste parole Antonio Megalizzi apostrofava chi non crede nell’idea di un’Europa unita e festeggiava i sessant’anni dei Trattato di Roma il 25 Marzo 2017. Per capire quali fossero gli ideali del giovane giornalista basterebbe infatti guardare i suoi profili social dove Antonio parlava delle sue due passioni più grandi: Europa e giornalismo.

Post su Facebook dal profilo di Antonio Megalizzi, 25 Marzo 2017.

Passioni e ideali che la famiglia ha voluto fossero presenti al funerale del ragazzo, tenutosi nella Duomo di Trento lo scorso 20 dicembre. Nella chiesa sono risuonate le canzoni dei Coldplay, la bara è stata coperta da una bandiera italiana e da una europea in una precisa rappresentazione di quel che è il genuino spirito dell’Unione europea. Un ente sovranazionale in grado di unire popoli e comunità diverse senza calpestare nessuna tradizione o bandiera. Una doppia cittadinanza, quella europea e quella italiana, che Antonio sentiva cucite addosso. Ai funerali erano presenti anche il presidente Mattarella, vicino alla famiglia dal primo momento, il presidente del Consiglio italiano Conte e il presidente del Consiglio europeo Antonio Tajani, che aveva avuto modo di conoscere Megalizzi durante un’intervista per EuroPhonica. «Antonio mi raccontava dei suoi sogni da giovane giornalista, voleva spiegare come funzionava l’Europa, per far capire che non è qualcosa di negativo ma è qualcosa di positivo. Lui l’aveva vissuta» ha ricordato Tajani.

Funerali di Antonio Megalizzi, 20 dicembre 2018. Fonte: LaStampa.it

Ovviamente nelle ultime settimane sui social sono rimbalzate in ogni dove post di elogio al ventottenne rimasto ucciso e ai suoi ideali. La morte di Antonio è stata in grado di far tornare in mente al popolo del web quanto importanti siano i valori, e non solo i dati economici, nascosti dietro alle dodici stelle della bandiera europea. È la sfortuna di molti, quella di essere ricordati solo quando si viene uccisi. È stata la sfortuna di Valeria Solesin, uccisa nel 2015 durante l’attentato al Bataclan, e quella di Giulio Regeni che, se non fosse stato ucciso in Egitto, sarebbe probabilmente rimasto uno tra i tanti cervelli in fuga di questo paese.

Antonio Megalizzi, come Solesin e Regeni e con loro tanti altri, faceva parte di quella categoria di giovani italiani ed europei che, restando nell’ombra, tentano di cambiare la nostra società per il meglio. Era entrato a far parte di EuroPhonica, la web radio europea inserita nel gruppo di radio universitarie RadUni, e stava lavorando insieme ai suoi colleghi a una nuova radio europea. Un progetto che avrebbe permesso a giovani e studenti di raccontarsi e conoscere l’Europa in ogni suo aspetto. La risposta migliore al crimine terroristico e all’attuale clima politico del continente europeo sarebbe quella di portare avanti i progetti sognati e realizzati da questi giovani europei.

Antonio Megalizzi. Fonte: repubblica.it

Perché Antonio Megalizzi non è solo, ma è parte di una generazione di giovani nativi europei. Una generazione che nell’Unione Europea c’è nata, non se l’è vista calare dall’alto. La generazione dell’Erasmus, che la lira la ricorda a malapena. Che è abituata a vivere in un continente senza frontiere dove spostarsi da un paese all’altro è diventato facile come passare un weekend in una città a 100 km da casa propria. Una generazione che, nonostante non abbia vissuto le tragedie del secolo scorso, riconosce nell’Unione Europea l’unico futuro possibile in un mondo sempre più globalizzato. Una generazione di cittadini europei che, nonostante tutti i problemi e i deficit, riconoscono gli aspetti positivi dell’Unione e vorrebbero migliorarla dall’interno, rafforzandola e rendendola un’organizzazione a misura di cittadino, democratica, più giusta e aperta. A distinguerli non è tanto l’età anagrafica quanto la loro visione della vita e della società.

L’anno che sta iniziando, il 2019, sarà l’anno delle elezioni europee. Tutti i sondaggi fanno pensare che il cambiamento nella composizione dell’assemblea parlamentare dell’Unione sarà significativo, visti i recenti successi dei partiti nazionalisti e sovranisti. In effetti, l’atmosfera politica italiana ed europea degli ultimi mesi porterebbe a pensare che i ragazzi come Antonio non siano poi così tanti. Che quelli che credono ancora nell’idea di un’Europa unita siano solamente un circoletto di intellettuali, snob e di sinistra. Invece poi si scopre che sono in tanti ad avere la bandiera blu con le dodici stelle appesa in camera. Per scoprirlo però c’è stato bisogno che uno di loro morisse. E l’onda solidale dei social ha portato alla ribalta quegli ideali per cui Antonio lottava e lavorava quotidianamente. Gli stessi ideali che la classe politica di questo paese e dell’intero continente sta calpestando.

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Cecilia Valente

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