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Suspiria di Guadagnino: davvero (non) c’era bisogno di un remake?

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Francesco Spagnol

È uscito appena ieri, nelle sale italiane, Suspiria di Luca Guadagnino, discusso remake del capolavoro di Dario Argento del 1977. Presentato alla 75° Mostra Internazionale di Venezia lo scorso settembre, e disponibile negli Stati Uniti e in Inghilterra già da novembre, il nuovo film ha diviso pubblico e critica, suscitando la solita, vecchia domanda: ce n’era davvero bisogno?

Suspiria

La storia di Suspiria è ben nota al pubblico, e non solo a quello amante del genere horror, da quarant’anni a questa parte. La giovane Susy Benner arriva a Friburgo per studiare danza in una prestigiosa accademia, che si rivela poi essere la copertura di un covo di streghe; in pericolo di vita, in mezzo a una serie di assassinii, Susy riesce infine a uccidere Helena Markos, la direttrice della scuola nonché strega madre dell’intera congrega, e a fuggire. Memorabile tanto per le ossessive musiche dei Goblin quanto per le impressionanti scelte coloristiche, Suspiria è considerato a buon diritto tra i più grandi contributi di Dario Argento alla storia del cinema.

Un fotogramma del Suspiria di Dario Argento (1977) che ritrae Jessica Harper nei panni della danzatrice Susy Benner.

Viste le premesse, è comprensibile che molti abbiano reagito con sospetto, tre anni fa, all’annuncio che Luca Guadagnino ne avrebbe diretto un remake. Si potrebbe in realtà obiettare che ‘remake’, nonostante certi esperimenti recenti sembrino indicare il contrario, non significa necessariamente ‘operazione commerciale di dubbio gusto’, e che ci sono esempi illustri di remake che si sono dimostrati migliori degli originali. Nonostante questo, un certo timore era legittimo, soprattutto perché Guadagnino non si era mai cimentato prima di allora nella direzione di un horror, preferendo esprimersi in pellicole drammatiche e sentimentali, di cui l’esempio più lampante è ad oggi il celebre e premiato Call Me By Your Name (2017).

Mai come in questo caso, però, i timori si sono dimostrati infondati: il regista palermitano ha infatti confezionato un prodotto che innanzitutto non è affatto un remake, o almeno non nel senso comunemente inteso, e per di più è di altissima qualità. Con un cast d’eccezione e interamente al femminile, che comprende tanto vecchie interpreti di Guadagnino (Tilda Swinton, Dakota Johnson), quanto attrici alla prima collaborazione col regista (Chloe Moretz, Mia Goth), Suspiria si rivela essere una pellicola del tutto indipendente dall’omonimo film del ’77, capace di reggere il confronto col gigante proprio in virtù delle sua presa di distanza abissale e completa, resa possibile solo dall’amore sincero di Guadagnino e dal suo rispetto per il modello.

Remake o “cover”?

In ogni aspetto che lo consente, Luca Guadagnino vira dal modello con fiducia e padronanza dei mezzi, rifiutando di mettersi in competizione con un simile mostro sacro, e propendendo semmai per raccontare qualcosa di solo apparentemente simile, ma in realtà affatto diverso, con un tocco autoriale del tutto proprio, senza timore di profanare ma sempre con un profondo riguardo per il capolavoro di Argento. «Non è un remake, ma un omaggio al cinema di Dario e a quello che ho provato vedendo quel capolavoro la prima volta» ha dichiarato il regista in una delle recenti interviste, e viste le enormi differenze non è difficile credergli sulla parola.

Una parte del covo di streghe che si nasconde nella scuola di danza a Berlino.

Non avrebbe senso ribadire cose che già si sanno, e difatti in questo film non si perde tempo a farlo: che la scuola di danza sia la copertura di un covo di streghe, ad esempio, viene dato per assodato sin dai primissimi minuti. Similmente a come poteva accadere con la rappresentazione di una tragedia greca, basata su fatti mitologici che già tutti conoscevano, la ricerca dell’inatteso e del colpo di scena viene accantonata (almeno per buona parte del film) a favore di una riflessione più ravvicinata sui temi cari a Guadagnino. La mitologia delle Tre Madri, che Argento aveva mutuato a sua volta dal Suspiria De Profundis di Thomas de Quincey, viene ripresa e adattata senza fornire eccessive spiegazioni. Viene riservato allo spettatore il compito di informarsi, se già non lo ha fatto, sulla trilogia di Argento e sulle sue fonti, mentre il film va per la sua strada fin dal principio.

Il primo ambito in cui il nuovo Suspiria si differenzia, nonché il più evidente, è quello della fotografia. Se nell’originale, a cura di Luciano Tovoli, i colori accesi (e soprattutto primari) costituivano una parte preponderante dello spettacolo, al punto di assumere importanza a discapito della trama e di rendere il film un affresco più che una storia, ora la scelta ricade su colori più tenui e dimessi, mentre è la trama a farsi più complessa e corposa.

Dakota Johnson, che in Suspiria interpreta la giovane e talentuosa Susie Bannion.

Le musiche

Anche l’accompagnamento musicale viene rivoluzionato: diversamente da quanto avveniva nel film di Argento, che si serviva delle martellanti musiche dei Goblin, Guadagnino affida la musica a Thom Yorke, voce solista dei Radiohead, il quale confeziona un prodotto assai curato e non meno grandioso dell’originale. Alla spietata colonna sonora dei Goblin, che con la sua unione di incanto e repulsione si legava perfettamente all’idea di orrore favolistico voluta da Dario Argento, si sostituisce una musica molto più dolce e malinconica, in sintonia con quella “trama secondaria” del film, che in realtà secondaria non è affatto.

Colpisce soprattutto il fatto che diverse canzoni, e persino alcune di quelle scelte per accompagnare momenti chiave del film, ossia scene dalle forti tinte horror, siano dotate di un testo, il che potrebbe far temere una riduzione dell’effetto puramente orrorifico del film. Nulla di più sbagliato: le parole, tanto quanto le melodie, si sposano perfettamente con le immagini, e risulta infine evidente che lo scopo non è tanto quello di fare paura, quanto quello di spingere alla riflessione. Una volta terminata la visione, infatti, anche i testi all’apparenza oscuri di Thom Yorke assumono un significato che non mancherà di imprimersi nella mente degli ascoltatori, anche se in una maniera più delicata e meno invasiva di quella dei Goblin.

Se questi ultimi hanno prodotto un vero e proprio pezzo di storia, che purtroppo o per fortuna sarà difficilmente imitabile, il cantante dei Radiohead non è da meno. Certo, è difficile credere che il nuovo album possa raggiungere lo status iconico proprio del tema principale del 1977, ma quello che Thom Yorke ha creato non si limita, appunto, a un tema cieco, assillante e proprio per questo memorabile. L’intero album è meritevole di nota, ed è anche costruito con maggiore razionalità, in linea con lo spirito del film cui deve accompagnarsi.

Thom Yorke, frontman dei Radiohead e creatore della colonna sonora di Suspiria.

La storia

Quanto alla storia vera e propria, nemmeno questo aspetto è lasciato invariato: il difetto che più spesso è stato rinfacciato ai film di Argento (ma che, visti i risultati, quasi tutti gli perdonano senza troppa difficoltà) consiste nella scarsa considerazione riservata alla trama, e in effetti è difficile negare che l’intera vicenda narrata in Suspiria, una volta superato l’impressionante impatto emotivo, sia a dir poco claudicante. Guadagnino stravolge di nuovo il modello, firmando un film nettamente più corposo dell’originale (152 minuti contro i soli 94 originari), e dalla trama ben più fitta e ragionata. La sceneggiatura cui si ispira si riallaccia per certi versi a quella originale di Argento e Nicolodi, ma se ne distacca fin da subito tramite l’aggiunta di sottotrame e trame parallele, e tramite la scelta di un’ambientazione spaziotemporale ben precisa, ossia la Berlino divisa nell’Autunno tedesco del ’77.

Il Suspiria di Dario Argento è un film senza tempo, o meglio ancora fuori dal tempo, come ogni favola che si rispetti. Guadagnino sceglie invece di collocare i fatti nell’autunno del 1977 (anno di uscita del primo film), un tempo pregno di violenza e scandito dagli attentati della RAF, che si insinuano fin dentro al cuore della narrazione. Così le streghe, mentre fumano in cucina e procedono a eleggere la loro nuova leader, commentano il telegiornale, immerse più che mai nella realtà. Il film mostra allo stesso tempo, come in uno specchio, la ferita che divide Berlino e quella che divide il covo di streghe, con la ricerca di un nuovo leader che si fa pressante in entrambi i contesti. E non c’è solo il presente, quello dell’atmosfera plumbea e greve delle bombe e dei rapimenti, ma anche il passato, non troppo lontano, dell’Olocausto, con i sensi di colpa ancora vivi di una nazione confusa e divisa.

Mia Goth nei panni di Sara, una delle compagne di accademia di Susie.

Le streghe

Quanto ai personaggi, nel film di Guadagnino le figure femminili sono forti e predominanti, persino combattive, quando si tratta di ottenere il predominio sulle altre streghe del covo, oppure di conquistarsi un posto come prima danzatrice: ben lontane, dunque, dalle diafane e ingenue bambine messe in scena da Argento. Mancano del tutto, invece, i personaggi maschili di Argento, come l’inquietante nipote di Madame Blanc, il maggiordomo deforme o il pianista cieco. Persino il dottor Mandel (interpretato da Udo Kier nell’originale) scompare, sostituito per certi aspetti da quello che diventa però un personaggio fondamentale: il dottor Jozef Klemperer, interpretato da Lutz Ebersdorf, alla sua prima prova attoriale ma già in grado di offrire una superba performance.

In un cast già di alto livello, spicca su tutte Tilda Swinton, vecchia amica e musa di Guadagnino, alla quarta collaborazione col regista. L’attrice londinese offre una nuova interpretazione magistrale nei panni di Madame Blanc, la coreografa dell’accademia, che si scontra con Helena Markos per la leadership della congrega. Anche Dakota Johnson si dimostra all’altezza, e le due attrici regalano ulteriore profondità al film grazie al loro rapporto unico e indefinibile.

Nonostante le molteplici differenze, che saranno evidenti anche al livello della trama ma di cui qui non si tratterà per evitare qualsiasi tipo di rivelazione, sono presenti una serie di omaggi al modello, ben riconoscibili a chiunque abbia familiarità con Suspiria. Per citare solo alcuni dei più evidenti, si pensi alla pioggia che batte nella sequenza iniziale, alle riprese del corridoio in penombra mentre Susie e Sara parlano nella loro camera, al conteggio dei passi nel buio dell’accademia, o alla menzione dell’iris. Tutte queste citazioni, però, non sono mai di disturbo, né appaiono come pedisseque riprese atte a giustificare il titolo del film: rimangono semmai composti omaggi a un autore amato, graditi a chi li coglie e innocui per chi non lo fa.

Tilda Swinton nei panni di Madame Blanc, coreografa della scuola e rivale di Helena Markos nella leadership della congrega.

Il genere

Guadagnino odia essere incasellato in un genere, e dopo la visione di Suspiria è corretto affermare che, anche in questo caso, il regista è riuscito abilmente a scampare il pericolo. Suspiria non è un horror, ma non nel senso che al film manchi qualcosa: piuttosto, non si limita all’horror, ma è molto di più. Si tratta di un film che racconta una storia, al di là dei paletti che in molti cercano di stabilire, e che la racconta bene, usando certo gli stilemi del cinema horror, ma mai in maniera gratuita. Con ogni probabilità, se non fosse limitato dall’etichetta di “horror”, che per qualche motivo allontana inevitabilmente una fetta del potenziale pubblico, Suspiria di Luca Guadagnino potrebbe ambire ad un successo ancora superiore a quello che già sta ricevendo all’estero (dove è uscito due mesi fa) e che auspicabilmente raccoglierà anche in Italia nelle prossime settimane.

La speranza è che, anche a prescindere dai risultati al botteghino, Luca Guadagnino non smetta di fare film ispirati e potenti come questo, senza lasciarsi limitare né dalle etichette, né da nocivi timori di calpestare mostri sacri. Per tornare alla domanda, viziosa e provocatoria, che si è pensato di rovesciare nel titolo: non era necessario, forse, questo nuovo Suspiria, ma lo stesso vale per qualsiasi opera d’arte. Allo stesso modo, non sarà necessario che Guadagnino continui con i remake (sono piuttosto quotati, per ovvie ragioni, Inferno e La terza madre di Dario Argento), ma se dovesse farlo non ce ne lamenteremmo, visto che con Suspiria ha regalato al pubblico non solo uno dei migliori horror, ma forse uno dei migliori film dell’anno.

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