Una nuova generazione di politici si muove disinvolta sulla scena italiana degli ultimi anni. Sono giovani, hanno voglia di cambiare, di essere diversi, di essere migliori. Arrivano per interrompere la linea retta della tua quotidianità, portandosi dietro l’aria buona delle cose nuove, ti chiedono perché diamine stai ancora dando il tuo voto a uomini che sanno di vecchio e di marcio, e su Facebook aspettano la tua reazione. La novità sta nel dimostrarsi onesti, al punto da auto-costringersi a rispondere anche dei comportamenti delle persone a cui sono legati. Da Renzi alla Boschi, da Di Maio a Di Battista, questi giovani politici si ritrovano alle prese con le vicende giudiziarie dei padri. Le colpe dei genitori ricadono sui figli? Teoricamente no. Ma ultimamente gli scontri politici più accesi li abbiamo visti non per le idee, ma per dimostrare di appartenere ad una famiglia di persone per bene.
In principio fu Tiziano Renzi. Il padre dell’ex segretario del PD rimase coinvolto nell’inchiesta Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana. Nel 2016 l’imprenditore Alfredo Romeo fu indagato perché sospettato di aver corrotto alcuni funzionari Consip per ottenere appalti nella sanità campana. Secondo gli inquirenti, Tiziano Renzi, grazie alla sua posizione di padre dell’allora Presidente del Consiglio, avrebbe promesso a Romeo di usare la sua influenza sui dirigenti Consip. Indagato,dunque, per concorso in traffico di influenze, nel 2018 fu assolto da tutte le accuse. Ma «niente potrà ripagare l’enorme mole di fango buttata addosso alla mia famiglia. Una campagna di odio senza precedenti», afferma il figlio su Facebook. La vicenda è stata infatti travolta tra scandali mediatici e indagini giudiziarie, è rimbalzata tra salotti social e pagine di giornali, e soprattutto il Movimento 5 Stelle ha usato toni duri e feroci: «L’inchiesta Consip sarà la tomba politica di Matteo Renzi», aveva detto Di Maio, attaccando «gli scagnozzi di Renzi che in Senato provano a bloccare le mozioni su Consip». Da parte sua, Renzi afferma in un lungo post su Facebook che «citare in ballo i genitori e le famiglie è assurdo», ma solo qualche riga dopo arriva la critica risentita: «Tutti – da Fico a Di Maio a Di Battista – ci hanno fatto la morale sull’onestà e sono implicati in vicende torbide», riferendosi alle ultime accuse che hanno visto protagoniste le aziende dei loro padri, come vedremo a breve.
Lo stesso risentimento è quello che si respira nelle parole di Maria Elena Boschi, che in un video accorato cerca gli occhi del «caro signor Di Maio», sotto i riflettori per accuse di lavoro nero, sanatorie e condoni edilizi. «Le auguro di non vivere mai quello che suo figlio e gli amici di suo figlio hanno fatto vivere a mio padre e alla mia famiglia», dice. «Mio padre è stato tirato in mezzo ad una vicenda più grande di lui per il cognome che porta e trascinato nel fango dalla campagna creata da suo figlio». Nei fatti, Pierluigi Boschi è stato il vicepresidente di Banca Etruria, una delle quattro piccole banche locali salvate nel 2015 dal decreto cosiddetto salva banche, approvato dal governo del quale faceva parte la figlia. Nel 2016 Banca Etruria dichiara lo stato di insolvenza e Boschi padre viene inserito nel registro degli indagati per bancarotta fraudolenta, ma nel 2018 il caso viene archiviato. L’opposizione ha visto con sospetto che una banca salvata dal governo avesse tra i suoi dipendenti il padre di una ministra, al punto che nel 2015 il Movimento 5 Stelle presentò contro di lei una mozione di sfiducia, poi respinta. Tre anni dopo, la Boschi parla tramite video non a quell’opposizione che l’ha accusata di favoritismo, ma direttamente a Di Maio padre, un altro attore che non dovrebbe comparire nell’arena politica: «La mia è una famiglia di persone per bene. Le auguro, signor Di Maio, di poter dire lo stesso della sua. Anche se mi rendo conto che ogni giorno che passa per voi diventa sempre più difficile».
Perché quella di Di Maio non sarebbe una famiglia per bene? La trasmissione televisiva Le Iene avrebbe scoperto che Antonio Di Maio, imprenditore che gestisce una ditta di costruzioni e padre dell’attuale vicepremier e ministro del lavoro Luigi, avrebbe fra i suoi lavoratori degli operai in nero, e ci sarebbero degli abusi edilizi nella casa di famiglia a Pomigliano D’arco. Le critiche da parte dell’opposizione, come abbiamo visto, non si sono fatte attendere. E nemmeno le scuse di Di Maio padre, che comunica via Facebook di aver commesso degli errori, ma di lasciar stare la famiglia: «Mio figlio Luigi non ha la minima colpa e non era a conoscenza di nulla. Come ogni padre ho provato a non far mancare nulla alla mia famiglia. So che tanti papà mi capiscono». Il ministro del lavoro prende totalmente le distanze dalla vicenda, rivelando di non avere nemmeno un bel rapporto con il padre, che ha lavorato nella ditta per soli quattro mesi e che l’attività imprenditoriale della Ardima Srl, questo il nome della ditta di famiglia, verrà posta in liquidazione. Attualmente, Antonio Di Maio è indagato dalla procura di Nola per deposito incontrollato di rifiuti.
L’ultimo caso è quello di Vittorio Di Battista, padre di Alessandro. È Il Giornale a puntare il dito contro un altro esponente del Movimento, a pochi giorni dalla presa di posizione di Di Battista figlio a favore del vicepremier. La Di.Bi. Tec di Vittorio si occupa di produzione e distribuzione di accessori tecnologici per il bagno, è in crisi e ha debiti con fisco, banche, fornitori e dipendenti. In un lungo post su Facebook in cui se la prende con un po’ tutti i suoi avversari politici, Di Battista figlio non smentisce, anzi ammette che l’azienda ha avuto difficoltà a pagare i suoi tre dipendenti, tra cui sua sorella, ma nonostante questo «tira avanti, così come tante altre, sperando che i colpevoli, che oltretutto oggi provano, in modo scomposto, a fare i carnefici, vengano cacciati, una volta per tutte, dalle istituzioni». La reazione di Renzi alla vicenda, anch’essa via Facebook, è la classica da opposizione: «Vorrei ricordare che mio padre è stato l’apertura dei Tg per giorni. La Rai grillina ha totalmente ignorato la notizia».
Scorrono in fretta i volti al centro delle cronache, ma lo scenario è lo stesso. Quattro giovani leader impegnati a difendere il padre, un uomo pulito, con una famiglia per bene. La responsabilità civile e penale è individuale, e un politico non deve rispondere degli atti illeciti delle persone a cui è legato, a meno che non abbia contribuito a determinarli o a nasconderli. Ma il confronto politico della nuova generazione non ammette macchie nell’album di famiglia. Questi sono partiti che si sono trasformati o sono nati con il preciso obiettivo di essere qualcosa di diverso rispetto a quelli che li hanno preceduti, quelli che in qualche modo, nel percorso, hanno deluso le aspettative dei cittadini. Alla prima irregolarità, dunque, si diventa come i “vecchi”, e crolla l’intera campagna sulla quale è stato costruito il consenso. Ecco perché l‘onestà diventa un oggetto contundente e lo si manovra spesso per catturare i cittadini con frasi a effetto e hashtag da caccia alle streghe. Gli avversari politici si attaccano ripetutamente su scelte private e comportamenti di personaggi che ruotano loro attorno, con l’unico risultato di infangarsi l’un l’altro. Mentre padri e figli entrano ed escono da un continuo gioco di indagini giudiziarie, scandali mediatici e lunghi post su Facebook per salvare l’integrità del nome di famiglia, il confronto si fa sempre meno costruttivo e pare lecito chiedersi: di che cosa stiamo parlando?
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