In lacrime, Andy Murray ha scaricato il peso di tutte le frustrazioni e la rabbia degli ultimi mesi, annunciando in conferenza stampa prima dell’Australian Open (torneo a cui parteciperà, o meglio, proverà a partecipare) il ritiro dal mondo del tennis, che dovrebbe avvenire nell’imminente post Wimbledon, se non prima. Questo a causa dei dolori all’anca che ormai da fin troppo tempo, irrisolti, tormentano il tennista scozzese, che nella sua carriera ha vinto ogni cosa, spaziando dagli Slam alla medaglia d’oro nelle Olimpiadi londinesi (quando, sul centrale di Wimbledon, sconfisse in finale un certo Roger Federer). Un finale triste per un campione che ha vissuto in carriera fasi altalenanti ma spesso vincenti. Un uomo, prima di un tennista, che è riuscito a trionfare dove altri hanno fallito, cambiando in corsa le regole del gioco.
Andy Murray si ritira per il troppo dolore. Ma noi, in fondo, speriamo che ci ripensi
Come nessun altro tennista britannico, Andy Murray è infatti visto – da addetti ai lavori e colleghi – come un innovatore, riuscito a rendere il tennis di Sua Maestà importante come non lo era mai stato precedentemente (e l’omaggio che potrete leggere più in basso, da parte di un altro tennista britannico come Kyle Edmund, risulta perfettamente indicativo). Murray, che per un po’ di tempo ha tenuto il passo con i più forti della disciplina, componendo insieme a Federer, Nadal e Djokovic quelli che sono stati individuati come i Fab Four del tennis moderno, forse era anche il meno dotato dei tre a livello prettamente tecnico. Certamente, però, ha dimostrato di essere un giocatore solido, intelligente, battagliero, crescendo – dopo iniziali titubanze – anche dal punto di vista psicologico. Nel momento in cui si è reso conto di poterlo fare sul serio, Murray ha iniziato a battagliare con ogni tennista del mondo. Semplicemente perché, in fondo, il sudore degli allenamenti nascondeva in ogni goccia una gioia nel destino.
Nobody has done more for British tennis than you and it looks like nobody will for many years to come. You have been an inspiration, friend and role model to me from the get go and I thank you for everything. Hope to see you out there for as long as possible @andy_murray 🎾 pic.twitter.com/xkxUXf1lOb
— Kyle Edmund (@kyle8edmund) 11 gennaio 2019
Adesso, la reazione di Murray è quella che avrebbe qualsiasi persona di fronte a un dolore costante, infido, malvagio: quella di mollare. Perché, a dispetto delle straordinarie imprese sportive (a cui mai ha voluto dare connotazione pomposa, a livello personale e mediatico), Andy Murray è un ragazzo con trentuno primavere alle spalle che sta vedendo la sua vita sgretolarsi come una roccia friabile. La speranza, però, è che l’emotività dell’uomo dolorante possa lasciare poi spazio alla voglia di lottare dello sportivo, competitivo e inossidabile per eccellenza.
Resisti, Andy Murray. Perché il dolore è passeggero, nella vita rappresenta solo una parentesi. Resisti, per i tifosi che ti amano, per i colleghi che ti rispettano e per gli amici che ti ammirano. Resisti anche per non dare peso a questo maledetto dolore, che prima o poi passerà. E anche perché, forse, la tua carriera può dare ancora molto al tennis. A prescindere, le lacrime di Andy Murray non andranno perse: lo sport si è di nuovo riunito, per celebrare un grande, seppur nella sofferenza. Consentendo all’uomo di fare quello che, nonostante le divisioni, sa fare meglio: abbracciare l’altro. Anche (e soprattutto) nel dolore.
Keep fighting, @andy_murray.
The entire tennis family is behind you 🙏 pic.twitter.com/sVAX2WgXNB
— #AusOpen (@AustralianOpen) 11 gennaio 2019