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Dialogo con Giuseppe Civati: sinistra, lavoro e umanità

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Andrea Braschayko

Giuseppe Civati, per gli amici Pippo, è – al di là di ogni pregiudizio ideologico – il prototipo del politico tanto osannato e ricercato da (quasi) tutte le fazioni politiche italiane: giovane, laureato (con dottorato di ricerca in Filosofia e Scienze Umane), preparato, coerente e senza precedenti penali. Inattaccabile anche quando dal Giornale , dopo un servizio provocatorio delle Iene, era stato l’unico politico intervistato ad accettare di far vivere un rifugiato nella sua abitazione: «Un giovane ragazzo del Gambia che ho ospitato per diversi mesi, fin quando non ha raggiunto degli amici in Germania (dove ha trovato lavoro) e con cui tutt’ora sono in contatto».

TheWise Magazine lo ha incontrato per un’intervista riguardo il recente passato del centrosinistra, l’attualità e soprattutto le prospettive della sinistra in quest’epoca storica.

Promotore insieme a Renzi della prima edizione della Leopolda, Civati ha col tempo abbandonato la linea del «rottamatore di Firenze» per le inconciliabili visioni politiche. Foto: The Vision.
Civati sin dagli anni Zero dei Duemila si distingue tra i cosiddetti «trentenni» chiamati a guidare il ricambio generazionale nel Partito Democratico. Eletto parlamentare nel 2013, si candida alle primarie del partito nello stesso anno, dove però arriva terzo dietro a Matteo Renzi e a Gianni Cuperlo. Nel 2015 esce dal PD in seguito a un escalation di conflitti con Renzi, cominciati con il documento proposto dall’ex sindaco di Firenze per far cadere il governo Letta (a cui Civati non aveva votato la fiducia, contrario al patto del Nazareno con Berlusconi) e definitivamente esplosi dopo l’opposizione di Civati e della sua corrente alla legge elettorale, al Jobs Act e alle trivellazioni nell’Adriatico. Subito dopo Civati annuncia la nascita di Possibile, di cui è stato segretario fino al 17 marzo 2018. Ecco cosa gli abbiamo chiesto.

Civati, le diamo il benvenuto su theWise Magazine. La prima domanda che le poniamo riguarda proprio il ruolo e il futuro dell’informazione in questo momento storico. Si può parlare secondo lei – con l’avvento dei social network – di disinformazione di massa? Quali colpe hanno avuto i giornali tradizionali per favorire questo fenomeno?

«Più che di disinformazione di massa parlerei di una precisa strategia della menzogna, la cui strumentalità è evidente per quanto riguarda l’attuale maggioranza e il suo leader, Matteo Salvini. Salvini offre all’opinione pubblica una fake news al giorno, che con “Antivirus” Possibile documenta e invita tutti a contrastare. Non è che Salvini e il suo staff si sbaglino, lo fanno apposta. Diffondono informazioni imprecise, sempre orientate, amplificando piccoli episodi, confondendo rispetto a numeri e dati. Su questo si basa buona parte del suo consenso».

Un esempio lampante è la grande arma di distrazione della politica italiana: il tema immigrazione. La luna di miele di Conte con gli italiani sembra essere terminata in seguito alle dichiarazioni su Sea Watch e Sea Eye. L’opinione pubblica sembra sempre più schierata con la linea dura di Salvini. Come si può recuperare il terreno perduto ed evitare la strumentalizzazione sul tema?

«L’opinione pubblica è divisa da un episodio del genere: la cosa sorprendente è che tutta questa campagna non offre alcuna soluzione, anzi crea solo più problemi e più tensioni, come anche il decreto Salvini, votato all’unanimità da un governo di irresponsabili e convertito in Parlamento con la fiducia.
Creare problemi sempre più grandi sembra essere il compito che si è dato il Ministro dell’Interno. Speriamo che non sia troppo doloroso per il nostro paese accorgersene».

Contro la sua volontà, una domanda sul futuro della sinistra in Italia: le primarie del Pd (con i conseguenti risultati) possono riaprire un dibattito all’interno della sinistra delusa dagli anni di Renzi, o c’è bisogno di un soggetto politico completamente nuovo? E da dove deve partire?

«Lo schema di questi anni ha distrutto il centrosinistra, facendo del male a tutti, al centro moderato e alla sinistra più radicale. Lo pensavo e lo dicevo anche prima delle elezioni. Il pessimo Rosatellum ha fatto il resto, premiando tutti gli altri, sulla base di un sistema elettorale truffaldino che solo una maggioranza di idioti poteva votare. Ora il compito è di ricostruire e di offrire una prospettiva che sia molto lontana da ciò che abbiamo visto negli ultimi cinque anni. Ci vorrà tempo, non esistono scorciatoie».

In riferimento a questo quali sono secondo lei i riferimenti da seguire  per le prossime elezioni europee.
«Mi pare che sia ancora molto presto per dirlo e purtroppo è già molto tardi. C’è molta confusione e poca chiarezza. Mi pare che l’elaborazione del lutto del 4 marzo per molti non sia nemmeno iniziata, con grave danno per lo schieramento progressista».
Giuseppe Civati alla Camera dei Deputati.

La cosiddetta fine delle ideologie negli anni Novanta, il «there is no alternative», ha secondo lei portato a un suicidio della sinistra, costretta ad inseguire la destra su molti temi (come negli ultimi anni in Italia) e quindi perdente in partenza?

 

«Credo che ci siano ragioni universali, che riguardino questa fase del capitalismo, la sua organizzazione e soprattutto la concentrazione del potere, da una parte, e dall’altra questioni molto locali, che riguardano il nostro paese: la conduzione della leadership a sinistra ma soprattutto la fine della politica, che in Italia è stata celebrata in mille modi».

Il filosofo francese Michéa ha parlato di spaccatura della dicotomia destra-sinistra, nel momento in cui quest’ultima ha cominciato a interessarsi maggiormente ai diritti civili rispetto a quelli sociali. È secondo lei quello che è avvenuto? Si possono percorrere entrambe le strade?

«Si devono percorrere entrambe le strade, non credo a una contrapposizione tra diritti civili e diritti sociali. La storia insegna che dove sono traditi gli uni precipitano anche gli altri. Il punto è tenere insieme uguaglianza e libertà, perché non siano solo parole vuote. E l’una dipende dall’altra, indissolubilmente.
Proprio come i diritti civili, democratici e umani (visti i tempi che corrono) devono stare insieme a quelli sociali, che li rendono possibili».

Il saggista inglese Mark Fisher in Realismo capitalista parla della chiusura mentale del mondo occidentale nel trovare una via d’uscita, o comunque trovare un pensiero diverso (oggi) dal neo-liberismo. Come può fare la sinistra moderna a togliersi l’etichetta di “sistema” e di “establishment”? E in ogni caso, è secondo lei fondamentale farlo?

«Beh, siamo in una trappola tutti quanti. Non si riesce a immaginare una società diversa e chi lo fa è preso per matto o velleitario. Ma anche dentro lo schema richiamato ci sarebbero molte cose da fare. Gliene dico due: il valore del lavoro (la giusta paga, per capirci) e la progressività fiscale. Per iniziare a rompere quello schema del falso realismo, che ci consegna una realtà ingiusta e per alcuni terribile, può essere un buon inizio».

Il reddito di cittadinanza proposto dai Cinque Stelle è un tema a cui la sinistra deve guardare, per iniziare una seria redistribuzione della ricchezza? Oppure è l’ennesimo progetto d’ispirazione lavorista in stile anglosassone?

«Il reddito minimo lo discuto e sostengo da prima che arrivasse Grillo, diciamo così. Il punto che non è una panacea, una formuletta magica, sta insieme alle altre due cose che le dicevo un momento fa».

Cosa direbbe a chi si sente di sinistra oggi?

«Di muoversi, di organizzarsi, di prendere l’iniziativa. Per troppo tempo anche a sinistra si è delegato a leader salvifici che poi ci hanno puntualmente condannato. E invece il lavoro da fare è collettivo, culturale, politico. È una questione umana».

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Andrea Braschayko

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