Il paradosso della Romania

La Romania è uno dei paesi più freddi d’Europa. Il clima continentale regala più volte durante l’anno, a partire da ottobre-novembre, lo spettacolo della neve che imbianca città storiche come Brașov e Bucarest. Malgrado questo imprinting “nordico” che caratterizza buona parte della nazione, la Romania può vantare anche una significativa diversità. Non soltanto di paesaggi (basti pensare alle meravigliose spiagge di Costanza), ma culturale, politica, sociale ed economica. Decine le minoranze etniche presenti sul territorio: ungheresi, sassoni, ucraini, russi, turchi, serbi, tatari, bulgari e altre ancora.

La convivenza dei rumeni con queste minoranze non è sempre stata così semplice. In passato ci sono state molte guerre da cui è stato difficile individuare dei vincitori e dei vinti. I milioni di profughi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale hanno lasciato un’impronta chiara sulla composizione etnica del paese. Sembrano lontani i tempi in cui Romania e Ungheria si muovevano guerra a vicenda per il controllo della Transilvania, causando rivolgimenti geopolitici rilevanti all’interno della penisola balcanica.

Oggi la situazione sembrerebbe essersi stabilizzata. Il Capo dello Stato Klaus Iohannis, nato a Sibiu in Transilvania, appartiene alla minoranza tedesca. Nel 2014 ha vinto le elezioni presidenziali, ottenendo più di sei milioni di suffragi al ballottaggio, pari al 54% dei voti totali, ribaltando i risultati del primo turno che vedevano in testa il candidato della sinistra Victor Ponta con circa quindici punti percentuali di vantaggio.

Anche gli ungheresi, la minoranza più numerosa, sono riusciti a inserirsi nel contesto politico e sociale del Paese. L’Unione Democratica Magiara di Romania (Romániai Magyar Demokrata Szövetség, RMDSZ) è il principale partito della comunità magiara in Romania. Tutelata dall’art. 62 della Costituzione della Romania che prevede la rappresentanza delle minoranze in parlamento, l’RMDSZ ha sostenuto diversi governi nel corso della storia. Dal 2014, dopo l’elezione di Iohannis, si trova all’opposizione.

E il resto della popolazione? Per quanto possa sembrare banale, a livello sociale c’è una netta separazione tra ricchi e poveri. Più ci si allontana da Bucarest, dove il reddito pro-capite a parità di potere d’acquisto è più alto di quello di altre importanti capitali europee come Madrid e Roma , più si percepisce la povertà. In città come Vaslui, nella regione storica della Moldavia, l’assenza delle istituzioni si sente drammaticamente. Secondo gli ultimi dati della Commissione Nazionale di Prognosi, i distretti di Vaslui, Teleorman e Mehedinti, i più poveri del paese, hanno registrato nell’ultimo anno tassi di disoccupazione oltre il 10% e redditi pro-capite tra i più bassi di tutta quanta l’Unione Europea

Queste disparità si riflettono a livello politico sulle preferenze degli elettori. Alle ultime elezioni parlamentari in Romania del 2016, il Partito Social Democratico ha ottenuto il 46% dei voti, staccando il Partito Nazionale Liberale, fermo al 20%. Un plebiscito per il PSD, che temeva il tracollo dopo il momento difficile incominciato l’anno prima con l’Incendio del Colectiv, che aveva costretto il governo Ponta a dimettersi. Le roccaforti del PSD, come sempre, sono la Moldavia e parte della Muntenia, in particolare nel distretto di Giurgiu, dove è stato superato il 60%.

Da quando è finita l’epoca comunista, il PSD ha avuto nelle sue fila ex dirigenti della Romania di Ceaușescu (non ultimo l’ex presidente Ion Iliescu, al centro di parecchie controversie), rappresentando implicitamente una certa continuità col passato, e dunque non perdendo i propri punti di riferimento, ovvero le aree più rurali del paese.

In questa mappa elettorale si può notare la concentrazione dei voti del PSD (in rosso) che circonda tutto l’entroterra rumeno, dominato dal centrodestra (in azzurro) e dai magiari (in verde). Nella capitale Bucarest, la percentuale del PSD (38%) è sensibilmente più bassa rispetto alla media nazionale. Foto: hotnews.ro

A seguito della netta vittoria elettorale del 2016, il leader del PSD Liviu Dragnea era pronto a farsi conferire l’incarico di formare un nuovo governo dal Presidente Iohannis. Ciò non è accaduto, perché Iohannis ha ritenuto inopportuno nominare capo del governo una persona condannata per via definitiva. Dopo un lungo tira e molla durato qualche settimana, Dragnea ha rinunciato alla carica di primo ministro, nominando Sorin Grindeanu suo delfino.

Nel 2017, appena entrato in carica, il nuovo governo Grindeanu ha dovuto affrontare la più grande protesta dal 1989. Tra gennaio e marzo del 2017, più di un milione di rumeni sono scesi in piazza per manifestare contro l’ordinanza governativa che avrebbe concesso più facilmente la grazia per determinati crimini e depenalizzava il reato di abuso d’ufficio. Dei provvedimenti che avrebbero sicuramente favorito il presidente del Partito Social Democratico Liviu Dragnea, condannato a quattro anni per frode elettorale.

Incapace di gestire il malcontento del popolo e del presidente Iohannis (schieratosi coi manifestanti), il governo Grindeanu ha dovuto ritirare l’ordinanza, segnando una rottura con Dragnea. Questa mossa del premier ha irritato la corrente del partito fedele a Dragnea e, infatti, il 21 giugno è stata presentata una mozione di sfiducia nei confronti del governo, passata senza troppe difficoltà. Mihai Tudose, ex ministro dell’Economia, è stato designato come successore.

Anche il governo Tudose ha avuto breve durata, per via ancora una volta dei contrasti con Dragnea, la vera mente dietro le politiche del paese. Il 29 gennaio 2018, una volta ricevuto il voto di fiducia dal parlamento, è entrato nel pieno dei suoi poteri il governo Dăncilă, con a capo per la prima volta in assoluto una donna, Viorica Dăncilă. Più vicina a Dragnea rispetto ai suoi predecessori, Dăncilă è stata accusata di essere un burattino del leader del PSD, che impartisce le scelte di indirizzo politico all’esecutivo e questi, remissivo, le adotta senza esitazioni. Malgrado la compattezza della maggioranza, anche questo governo ha dovuto affrontare una mozione di sfiducia, presentata lo scorso 20 dicembre dalle opposizioni e non passata grazie all’astensione degli autonomisti magiari.

I rumeni, alieni a tutti questi giochi di palazzo e lotte fratricide tra gli stessi partiti, hanno indubbiamente ridiscusso la loro fiducia nel PSD. Secondo gli ultimi sondaggi IMASil PSD sarebbe crollato al 24%, seguito dal PNL in crescita al 23% e l’Unione Salva Romania, che si attesterebbe intorno al 14%

Il recente calo dei consensi del PSD è la conseguenza di quanto accaduto lo scorso agosto a Bucarest, quando il governo ha ordinato alle forze dell’ordine di reprimere con la forza le manifestazioni contro la corruzione che hanno visto partecipare circa 120.000 persone. Perfino il Presidente Iohannis ha condannato le azioni del governo, parlando di “violenza inaccettabile”. Successivamente interpellato dall’Unione Europea, il governo rumeno ha inviato una lettera alla Commissione UE per giustificare la repressione delle proteste, adducendo a un tentativo di colpo di stato”. Le forze dell’opposizione hanno richiesto un’interrogazione parlamentare al governo. La richiesta è stata negata in quanto la legittimità delle firme raccolte per presentare l’interrogazione è stata ritenuta dubbia.

Iohannis non è nuovo a questi confronti accesi con l’esecutivo. Lo scorso anno la decisione del governo di Bucarest di voler spostare l’ambasciata a Gerusalemme, riconoscendone di fatto la sovranità d’Israele, ha destato lo scalpore del Capo dello Stato, più propenso a garantire lo status quo. Addirittura la cancelliera tedesca Angela Merkel sarebbe intervenuta per chiedere al Presidente di fare pressioni sull’esecutivo, scongiurando così una crisi geopolitica.

Bisogna fare, invece, un discorso a parte per quanto riguarda il referendum sulla definizione di famiglia dello scorso ottobre, che avrebbe impedito in futuro una legislazione per i diritti degli omosessuali. Era prevista la modifica dell’articolo della costituzione che disciplina il matrimonio, considerato un’unione tra sposi e non tra uomo e donna. La maggior parte dei partiti si è pronunciata a favore della revisione della costituzione, mentre il presidente Iohannis, sempre in polemica con il PSD, ha appoggiato il fronte del no, che alla fine ha avuto la meglio grazie all’astensione che non ha permesso di raggiungere il quorum.

Si tratta quindi di un paese tumultuoso, dove le crisi politiche sono all’ordine del giorno. Ma com’è possibile che l’economia della Romania sia l’economia più in salute di tutta l’Unione Europea? I dati parlano chiaro: il PIL rumeno è aumentato di circa 150 miliardi di euro dal 2007 (anno dell’adesione della Romania all’Unione Europea) al 2018. L’economia è in costante crescita, con investimenti a pioggia provenienti da tutto il mondo.

Il PIL della Romania è aumentato del 6,9% nel 2017. Per il 2018 è prevista una lieve battuta d’arresto, dopo l’intervento della Banca Nazionale della Romania che ha alzato i tassi d’interesse. Il Leu è una moneta molto debole, per questo il governo sta cercando di aderire alla moneta unica il prima possibile. Immagine: theWise Magazine.

Eppure, si ha ancora l’impressione di avere a che fare con una realtà sottosviluppata. La disoccupazione è preoccupantemente alta, a causa soprattutto dell’emigrazione di centinaia di migliaia di rumeni che hanno abbandonato la loro terra natia, privandola di preziosa forza lavoro. L’accelerazione del processo di integrazione europea voluto dal governo è da questo punto di vista utile. L’obiettivo dichiarato è quello di entrare nell’area Schengen prima della fine della legislatura del Parlamento Europeo (mancano pochi mesi e non è ancora chiaro se sarà possibile) e aderire all’Euro nell’imminente futuro, prevenendo la cosiddetta “fuga di cervelli”. Tuttavia, il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker si è detto perplesso riguardo al prossimo semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea che spetta alla Romania, lanciando l’ennesima sfida al governo di Bucarest.

Lo scontro con le istituzioni europee non è un rischio concreto, almeno per adesso. Il popolo rumeno si è dimostrato riconoscente nei confronti di Bruxelles, consapevole dei benefici giunti con l’adesione alla UE. Nella periferia di Bucarest, non proprio il ritratto del benessere, abbiamo incontrato Floriana, una casalinga di 39 anni che ha sempre vissuto a Calea Griviţei, a due passi da Gara de Nord, la più importante stazione ferroviaria della capitale. Il profumo della ciorba de pui (zuppa di pollo) ci accoglie mentre saliamo le scale del palazzone di architettura sovietica dove vive Floriana.

«Ero piccola quando c’è stata la rivoluzione» – racconta Floriana – «ma i miei genitori non dimenticheranno mai quello che è successo, il comunismo è caduto perché il popolo non era libero». Quando le chiediamo un’opinione sul presente, Floriana non lesina critiche: «I dati che vedete non sono completi. Spesso un indicatore economico non riesce a dare una visione d’insieme. Il PIL sale, ma la gente è comunque povera e senza un lavoro. Per questo motivo ci sono ancora moltissimi nostalgici della dittatura di Ceaușescu. Questo governo non ci vuole liberi».

Riguardo al futuro, invece: «L’avvenire è nelle nostre mani. Se vogliamo un cambiamento, dobbiamo affidarci a delle persone coraggiose e incorruttibili. Trovare un nemico comune non serve a nessuno. L’Unione Europea è dalla nostra parte, è colpa del governo se non abbiamo ancora una buona considerazione in Europa, ma posso dirvi che il vento cambierà molto presto!»

Romania Europa
Il Palatul Parlamentului (Palazzo del Parlamento) o Casa Poporului è uno dei parlamenti più suggestivi e imponenti d’Europa. Costruito per volontà di Ceaușescu nel 1984, il Palazzo del Parlamento ha rappresentato per molto tempo lo sfarzo dell’Ancien Régime e l’ossessione del dittatore per le grandi opere. Foto: theWise Magazine.

Le contraddizioni della Romania vengono risolte dagli innumerevoli compromessi alla base del sistema che si è creato. Un sistema di potere collaudato, non oligarchico, bensì tipicamente post-comunista, con una classe dirigente in cima a tutte le altre, che troviamo anche in Polonia e in Ungheria. L’elemento dirimente, però, è la collaborazione all’interno della società. Il PSD governa grazie all’appoggio della Chiesa ortodossa rumena, da sempre legata alla sinistra del paese (fu Ceaușescu a proibire l’aborto nel 1966), di conseguenza apparendo come l’unico vero partito della nazione portatore dei valori tradizionali del popolo rumeno.

L’unica soluzione è perciò l’autoritarismo, che riesce a conciliarsi con lo sviluppo economico, producendo un risultato paradossale: una democrazia definita “illiberale”. Per comprendere un Paese così complesso e legato ancora ad una storia non poi così tanto lontana, occorre mettere da parte quegli strumenti con cui si analizzano realtà a cui siamo abituati ed entrare in quel mondo per viverlo più da vicino. L’Europa Orientale si sta finalmente dirigendo verso il futuro, ma in che modo, coi mezzi del passato o con un atteggiamento più riformista? Lo scopriremo molto presto.

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