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Il calcio italiano è malato? Ne abbiamo parlato con Marino Bartoletti

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Claudio Agave

Costanti polemiche, infinite insoddisfazioni, terrificanti dubbi verso il futuro e immense divisioni. Il momento che il calcio italiano dimostra di vivere in questo periodo non è di certo una novità, per il movimento nostrano. Rappresenta però, ancora una volta, un rimpianto rispetto a quanto si sarebbe potuto fare in passato e che, invece, si è deciso di non mettere in pratica. Sia sugli spalti che in campo spesso lo spettacolo non è l’unica cosa a far discutere e, dopo i fatti di Inter-Napoli, tutte le problematiche precedentemente taciute sono tornate a galla in maniera prepotente. In una situazione di tale caos, impossibile non chiedere un parere a un collega esperto, navigato, che le ha viste tutte in questi anni. Marino Bartoletti è per distacco, ancora oggi, la figura pacata ed elegante del giornalismo per eccellenza: con lui, per la consueta rubrica di interviste di theWise, abbiamo parlato dello stato di salute del calcio italiano e di come fare per cercare di risolvere almeno alcuni dei problemi che lo attanagliano.

Marino Bartoletti e un calcio italiano ormai malato (ma non senza speranza)

Dunque: come sta il calcio italiano, in questo momento?

«Non sta bene, sinceramente. Perché al di là delle sofferenze cicliche, che bene o male ha sempre avuto gli anticorpi per superare e di cui ho parlato sin dagli inizi della mia carriera, adesso abbiamo partite che vengono vendute e disputate all’estero, in Paesi che forse non andrebbero frequentati (sintomo di ingordigia), reiterazioni di violenze che speravamo di aver rimosso (anche perché c’è un morto di mezzo e non bisogna fermarsi all’emotività) e quello che accade negli stadi con episodi di razzismo (anche se qualcuno ancora insiste a dire che si tratti di goliardia o di antipatie). Insomma, davanti a certi spettacoli inorridisce il mondo e non solo l’Italia, io credo che qualche riflessione andrebbe fatta. Tutte queste cose messe assieme – a cui unisco anche i social, che molto spesso sono uno spruzzo di benzina – dimostrano che non stiamo benissimo. Poi ovvio, vogliamo talmente bene al nostro calcio che continuiamo ad accettarlo così com’è. Però è un momento in cui ci si sente più amareggiati e forse più impotenti».

Alcuni esponenti dell’attuale Governo – in particolare il Ministro Salvini – si sono esposti sulla situazione del nostro calcio. Condivide certi pareri o ha una visione differente sulle problematiche da risolvere?

«Ho sentito parlare in carriera almeno una trentina di Ministri dell’Interno sulla violenza negli stadi. Il problema non sono tanto i buoni propositi, che in qualche modo vanno colti in ciò che ha detto Salvini, quanto nel fatto che non li vediamo mai applicati. Spesso noto anche contraddizioni, perché da una parte si dice (e si è detto) che le tifoserie organizzate vanno delimitate o in certi casi soffocati, dall’altra Salvini parla di treni di tifosi organizzati, che poi sarebbe l’unica maniera per riproporre i branchi e dare loro una specie di crisma e credibilità. Prendo atto di ciò che ha detto il Ministro e penso che l’abbia detto in buona fede, anche se forse su un’ondata emotiva che non dovrebbe mai essere una buona consigliera. Però attendo l’eventuale realizzazione. Vediamo cosa succederà».

Anche la Supercoppa Italiana sta suscitando numerose polemiche.

«Credo che la partita – come il Giro d’Italia – dovrebbe avere a che fare con l’Italia e non con Paesi esotici. Poi siamo uomini di mondo e ci rendiamo conto che ci sono interessi economici prepotenti, davanti a cui ci adeguiamo. Però, secondo me, arriva anche il momento – sul piano estetico e morale – in cui bisognerebbe dire di no, in cui bisognerebbe spiegare che la nostra immagine è superiore persino ai petroldollari che arrivano in abbondanza. Chiaramente non è il calcio che deve risolvere i problemi del mondo e dell’Italia: ha ragione chi afferma che non bisogna pretendere verginità da chi aderisce a queste attività commerciali quando chi traffica in armi o in petrolio si tappa il naso e fa i suoi interessi. Il calcio però è un evento sociale trainante, che dovrebbe fornire buoni esempi e non cattivi esempi. Perciò, prima di aderire a proposte come questa, sarebbe il caso di guardare un pochino anche alle nostre coscienze. Anche perché è vero che se dal calcio arrivano buoni esempi, la gente li comprende più facilmente».

A proposito di esempi, il sottosegretario Giorgetti ha parlato di tesserati e Presidenti che spesso gettano benzina sul fuoco: c’è una responsabilità evidente?

«Purtroppo sì, tante volte siamo addirittura alle strategie scientifiche di attacco e questo in una società calcistica evoluta è inaccettabile. Prima ci si lamentava con atteggiamenti anche folkloristici: c’erano tanti personaggi pittoreschi e le loro parole venivano prese un po’ per ciò che erano. Adesso, quando un grande Presidente (che è un grande manager) o chi per lui – perché ci sono anche amministratori delegati o grandi giocatori che rappresentano un club – insinuano il virus sistematico del sospetto, questo chiaramente viene a deperimento del loro stesso movimento, che dovrebbe essere la cosa che gli sta più a cuore. Dire la parola sbagliata a una platea emotivamente fragile vuol dire doversi assumere delle responsabilità, su cui tutti dovremmo riflettere».

Lei ha parlato di un calcio malato. Quali possono essere le cure, per tornare ad avere un calcio sano e pulito?

«Le cure sono affidate alle famiglie ma su questo sono molto pessimista. Sono piuttosto attivo sui social, ho scritto anche alcuni libri sulle mie riflessioni su Facebook. Mi lascia sgomento osservare padri di famiglia, che postano orgogliosamente foto con i loro bambini che indossano le maglie della squadra del cuore e che poi passano, dopo questa scena da Mulino Bianco, a insulti insopportabili su Facebook. Mi chiedo quindi che educazione diano questi padri a questi bambini. Da lì bisognerebbe cominciare, per poi proseguire con la scuola e con l’approccio allo sport, che in Italia ormai è malato e sbagliato, anche se per fortuna esistono tanti esempi virtuosi sia negli altri sport che nel calcio stesso, in cui abbiamo svariati maestri di vita. Però purtroppo le cose più eclatanti sono quelle che vediamo allo stadio, ovvero quando osserviamo persone decisamente poco allineate con la civiltà, arrabbiate, portate all’odio. Molto spesso queste persone portano i bambini per mano. Il catechismo prevede il reato di scandalo: si dice che chi dà scandalo facendo leva sulla debolezza dei propri interlocutori dovrebbe prendere una macina e buttarsi al mare (come diceva nostro Signore). Io non pretendo la macina ma uno specchio al quale guardarsi. A dispetto di tutti i ruoli, credo che una riunione degli stati generali – per quanto ideale – si dovrebbe fare, non si può soltanto aspettare che muoia un calciatore famoso o un tifoso o un delinquente. Perché sono prezzi che non si possono assolutamente pagare».

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Claudio Agave

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