In questa settimana, di calcio giocato si è parlato ben poco, complice la pausa invernale del campionato di Serie A. È rimasto un solo verdetto da emettere, la Supercoppa Italiana. A giocarsi questo trofeo saranno le due finaliste di Coppa Italia: la Juventus di Massimiliano Allegri e il Milan di Gennaro Gattuso. Una partita che potrebbe significare moltissimo a livello sportivo per entrambe le squadre. La Juventus potrebbe vincere per l’ottava volta questa competizione, regalando il primo trofeo italiano a Cristiano Ronaldo, mentre il Milan potrebbe raddrizzare una stagione che stenta ancora a decollare. Questi aspetti però passano in secondo piano. Fa discutere – eufemisticamente – parecchio un comunicato ufficiale della Serie A che annuncia la vendita dei biglietti per assistere alla finale di Supercoppa Italiana. Tra le varie opzioni disponibili spunta la scelta di un settore “singles”, che indica una parte di posti riservata a soli uomini. Sarà infatti lo stadio King Abdullah Sports City di Jeddah a ospitare quella che sarà la partita tra i bianconeri e i rossoneri, in un impianto nuovissimo che è già stato utilizzato per numerosi eventi sportivi dal calcio alla boxe, ma anche per il wrestling. Scelta quantomeno ipocrita da parte della Lega di Serie A, che neanche due mesi fa spingeva la campagna contro la violenza sulle donne e che oggi va a esportare il prodotto calcio in un paese dove queste sono fortemente discriminate.
Se a questo andiamo ad aggiungere la risposta di Riyad ai fatti dell’omicidio Khashoggi, si capisce il quadro di una situazione che porta a una vera e propria bufera mediatica. C’è da dire che la scelta di giocare Juventus-Milan in quella determinata sede è antecedente rispetto all’assassinio del giornalista e dissidente arabo. L’attenzione dell’opinione pubblica però volge principalmente sul settore “singles” riservato a soli uomini. Una polemica che ha coinvolto i vertici del nostro calcio che hanno tentato di trasformare quella che è una restrizione a tutti gli effetti in un evento a suo modo storico. Arriva infatti un comunicato da parte della Lega di Serie A, in cui il presidente Gaetano Micciché è intervenuto, precisando alcuni punti del suo discorso, col fine di sedare i toni. Il nodo centrale di questa risposta sta nel guardare al fatto che la Supercoppa Italiana sarà il primo evento a cui le donne potranno partecipare liberamente senza essere accompagnate da uomini. La verità è che la polemica nei giorni seguenti non si è sedata, tutt’altro. Fa discutere ancor di più un articolo pubblicato da Giornale qualche giorno dopo, in cui il giornalista Luca Beatrice intima alle donne di «lasciare il calcio agli uomini». Tralasciando il «non voler fare sessismo» – clamorosamente fallito – è così strano pensare che nel 2019, una donna possa interessarsi al calcio? E poi, c’è anche da dire che la sezione femminile del pallone è nel momento storico della sua diffusione massima, con una nazionale azzurra che torna ai Mondiali dopo l’ultima volta nel 1999, segnale di un movimento calcistico in crescita e che non accenna a fermarsi.
Tra le tante domande da porsi, una di queste è: perché la partita si gioca in Arabia Saudita? Per trovare una risposta a ciò bisogna tornare indietro di qualche anno. Più precisamente al 25 aprile del 2016, data in cui il Consiglio dei Ministri del Regno dell’Arabia Saudita approva quello che è il programma Vision 2030. Questa iniziativa è un piano di sviluppo socio-economico che punta a mettere il regno saudita in una posizione strategica, facendolo diventare il punto d’unione tra tre continenti. Iniziative molteplici che portano riforme col fine di diversificare l’economia, creare nuove opportunità di lavoro e innalzare la qualità della vita nel paese. Tra i tanti punti che vengono illustrati in quello che è Vision 2030 c’è la volontà di aumentare il flusso turistico nel paese, al fine di rendere l’Arabia Saudita una vera e propria meta per eventi sportivi. Da qui si arriva all’offerta di circa sette milioni di euro – da dividere tra le due squadre – per portare l’eterna sfida tra Milan e Juventus in quel di Jeddah per la Supercoppa Italiana 2018. La volontà di valorizzare il paese da parte dell’Arabia Saudita, insieme a quella di esportare il prodotto calcio da parte della lega di Serie A, è il punto d’incontro tra le due parti che organizzano. Trovano così luogo eventi come la sopracitata sfida tra Milan e Juventus, ma anche altre competizioni come il Superclasico de las Americas, o – uscendo dalla sfera legata al calcio – eventi di wrestling targati WWE. Proprio la federazione di McMahon ha organizzato ben due eventi pay-per-view durante l’anno appena trascorso: il primo è chiamato Greatest Royal Rumble e il secondo – che ha fatto parlare molto di più, per questioni che andremo ad approfondire – Crown Jewel. Una situazione analoga a quella della Supercoppa Italiana.
La WWE va per la seconda volta in un anno a portare il proprio entertainment nel regno saudita, organizzando l’evento a Riyad per il 2 novembre. Quando la notizia dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi diventa di dominio pubblico, mentre la compagnia di McMahon conferma la volontà di organizzare Crown Jewel, altre compagnie e aziende targate USA hanno boicottato quello che è conosciuto come Davos in the desert, ovvero una conferenza annuale che unisce gli investitori che hanno rivolto i propri interessi lì nel suolo saudita, ad esempio la Ford e o Mastercard, per dirne alcuni. Le scelte da parte di queste aziende di non prendere parte alla conferenza ha messo ancora più al centro delle critiche la WWE, portando addirittura dei senatori degli Stati Uniti, sia Democratici che Repubblicani, a suggerire la cancellazione dell’evento. Una differenza tra la controversia della Supercoppa Italiana e quella che riguarda Crown Jewel è stata anche una perdita economica da parte della WWE, a differenza della Lega di Serie A che va a guadagnarci circa 7 milioni di euro. Man mano che le critiche si abbattevano sulla federazione di McMahon, di pari passo andava ad abbassarsi il costo di una singola azione della WWE, andando inevitabilmente a far perdere la quotazione in borsa del titolo in questione: nel giro di una settimana vi è stato un calo attorno al 20%. L’unico segnale di dissenso concreto è arrivato invece dagli atleti, più precisamente da John Cena e Daniel Bryan, che sono stati gli unici a non voler partecipare a Crown Jewel, rifiutandosi categoricamente di prenderne parte.
Non rimane che constatare che, per quanto utopico sia questo proposito, finché non ci sarà una distinzione netta tra sport e business la situazione non cambierà. Continueremo a indignarci, aspettando che siano i protagonisti, i nostri beniamini, a prendere una posizione netta e decisa. Finché non accadrà ciò, ci ritroveremo ancora una volta stupiti che certe cose accadano. Fino al prossimo scandalo, ovviamente.
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