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Maus, l’orrore dell’Olocausto a fumetti

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Riccardo Angori

Maus è senza dubbio uno dei libri più importanti sulla Shoah, alla pari de Il diario di Anna Frank o di Se questo è un uomo. Una storia autobiografica, che racconta le vicissitudini vissute nell’Europa della seconda guerra mondiale da Vladek Spiegelman, della sua permanenza in due campi di sterminio come Majdanek e Auschwitz e del ricongiungimento, a guerra finita, con la moglie Anja. I ricordi del passato si intrecciano con il presente, che mette in primo piano il difficile rapporto tra il figlio Art e il padre Vladek. Si tratta di una storia basata sulle testimonianze lasciate da Vladek tra il 1972 e il 1978, che Art Spiegelman (fumettista nonché figlio minore di Vladek) ha provveduto a sceneggiare e disegnare con grandissima intensità, donando al mondo una testimonianza necessaria sugli orrori dell’Olocausto e sulle conseguenze che ha lasciato nei sopravvissuti come i suoi genitori. Il primo capitolo di Maus uscì nel secondo numero della rivista fondata da Spiegelman e da sua moglie Françoise Mouly, Raw, un periodico dedicato al fumetto underground che ospitò, tra i tanti, anche Robert Crumb e Ben Katchor. L’opera più famosa di Art sarebbe uscita su Raw fino al decimo capitolo degli undici di cui è composta, prima di essere pubblicata in formato tascabile dalla casa editrice Pantheon. Quest’ultima diede alle stampe due libri, Maus: A Survivor’s Tale, contenente i primi sei capitoli con il sottotitolo My Father Bleeds History (1986), a cui seguirono gli ultimi cinque capitoli con Maus II – And Here My Troubles Began (1991). Una storia raccontata raffigurando gli ebrei come topi, i tedeschi come gatti, i polacchi come maiali e gli americani come cani. Una metafora potente, attraverso cui viene stilizzata senza semplificare una porzione di storia che spesso viene minimizzata o negata.

Art Spiegelman. drawnandquarterly.com

Art nasce a Stoccolma nel 1948, dove gli Spiegelman si erano trasferiti subito dopo il loro ricongiungimento. Nella capitale svedese il padre Vladek trova lavoro in un grande magazzino, e qualche anno più tardi la famiglia Spiegelman parte alla volta degli Stati Uniti, stabilendosi definitivamente a Rego Park, nel Queens, nel 1955. Art cresce negli Stati Uniti, ed è nella casa di famiglia che, a tredici anni, in concomitanza del processo in Israele contro “l’architetto della Soluzione finale” Adolf Eichmann, scoprendo alcuni opuscoli e libri inizia ad avere cognizione reale delle atrocità passate dai genitori, rendendosi conto che entrambi erano scampati dai campi di concentramento nazisti. La carriera scolastica di Art, incentrata su di un percorso prevalentemente artistico, passa dalla High School of Art and Design di Manhattan agli studi di arte e filosofia all’Harpur College, dove termina gli studi universitari nel 1968. Quest’ultimo è un anno cruciale per lui e per il padre Vladek, poiché il 21 maggio Anja Spiegelman si suicida senza lasciare alcun messaggio.

Testata originale di Prisoner on Planet Hell. La foto sulla sinistra ritrae Anja e Art. Medium.com

Sull’accaduto Art scriverà e disegnerà cinque anni più tardi un fumetto, Prisoner on Planet Hell (1973), in cui, raffigurandosi vestito come un carcerato nei campi di concentramento, elabora la tragedia del suicidio della madre. Nel frattempo si trasferisce a San Francisco e pubblica una prima storia di Maus in forma breve su Funny Animals (1972), mentre il padre Vladek si sposa con una sua amica anch’essa scampata dai campi di concentramento, Mala Kurland. Tornato a New York nel 1975, Art conosce la futura moglie Françoise, che sposa nel 1977. L’anno successivo comincia a lavorare su Maus. Per farlo registra diverse sessioni di interviste al padre Vladek, che aggiunge a quelle precedentemente fatte nel 1972. Un lavoro lungo e scrupoloso, che fu colmo di riconoscimenti anche a lavori in corso, uno su tutti il premio Yellow Kid dal Festival internazionale del fumetto di Lucca nel 1982, arrivato pochi mesi dopo la scomparsa del protagonista di Maus Vladek Spiegelman. La storia di Vladek come protagonista di Maus parte da un momento tranquillo della sua vita, a Sosnowiec, in Polonia, negli anni ’30, dove incontrò Anja Zylberberg, figlia di un industriale di maglieria del luogo, di cui si innamorò per poi sposarla nel 1937. Vladek trovò lavoro nella ditta del suocero, ma nel 1939 la tranquillità fu turbata dall’arruolamento nell’esercito polacco e dalla prigionia di guerra dopo la vittoria dell’esercito tedesco nell’invasione della Polonia. In seguito al rilascio, e all’entrata in vigore delle leggi razziali di Norimberga, iniziò una nuova vita fatta di espedienti, ben lontana dal benessere prebellico, tra giornate passate nei nascondigli e la vita nel ghetto che veniva resa ogni giorno di più sempre più difficile. Questa fase della sua vita durerà fino all’inizio delle deportazioni sistematiche che non diedero scampo alle numerose famiglie di Anja e Vladek, che tentarono la fuga verso l’Ungheria per venire però scoperti e mandati entrambi ad Auschwitz, da cui fortunatamente riuscirono a sopravvivere per poi ritrovarsi insieme dove tutto era iniziato, a Sosnowiec.

Maus viaggia per tutto il libro su due fili narrativi: il primo è quello del periodo bellico con protagonisti Vladek e Anja, a cui vengono intrecciati intermezzi della vita quotidiana durante la lavorazione del fumetto, con protagonisti Art e la moglie Françoise. In questi scorci di vita familiare Vladek viene presentato come un padre anziano e burbero che impone uno stile di vita impossibile anche a chi gli sta intorno, il che porta a un rapporto difficile con il figlio Art, il quale si sente tormentato e inadeguato dinanzi alle sofferenze passate dal padre. Il fumetto è dunque un modo per raccontare il passato e il presente, e il confronto generazionale tra i due, che viene rimarcato a più riprese, come nella parte dedicata al suicidio di Anja. Art era solito non mostrare di sua spontanea volontà i propri lavori al padre, il quale riponeva poco interesse nella professione del figlio. Vladek però venne a conoscenza di Prisoner on Planet Hell, dato che veniva menzionato direttamente nella storia. Dopo un primo momento di smarrimento nel vedere raffigurati degli affari privati sotto forma di disegni, Vladek comprese le ragioni del figlio nel superare “a modo suo” una tragedia come quella. Questo passaggio, così come la narrazione del “rapporto” con il fratello di Art, Richieu (morto avvelenato prima della deportazione), o dei problemi di salute della madre Anja prima e durante la guerra sono solo alcune parti di una storia che vinse con merito il premio Pulitzer del 1992, il primo dato a un’opera a fumetti. Un’opera in cui Art Spiegelman ha messo tutto se stesso, in cerca delle sue origini, attraverso il sapiente uso della metafora. Perché raccontare l’Olocausto e la propria storia familiare attraverso topi e gatti ha permesso all’autore di poterla raccontare con il distacco necessario senza scadere nel melodramma facile, regalando al mondo un’opera concepita e realizzata nell’arco di un decennio che ha lasciato senza dubbio un’impronta fondamentale nella narrativa contemporanea.

Art Spiegelman dopo Maus

Copertina de L’Ombra delle Torri

Il nome di Art Spiegelman sarà per sempre legato all’opera che gli ha dato la celebrità a livello mondiale. Spiegelman dopo Maus si è dedicato ad altri lavori, principalmente vignette, collaborando con il New York Times e il New Yorker. A questi lavori seguì, nel 2004, un fumetto sugli attentati dell’11 settembre 2001 a New York, L’ombra delle Torri. Il rapporto dell’autore con Maus è naturalmente di orgoglio, per essere riuscito a creare un’opera del genere in un’epoca in cui non c’era molta narrativa sull’Olocausto nella cultura popolare. Tuttavia il successo ha di fatto oscurato tutti i lavori precedenti e successivi a Maus. In un’intervista del 2014, in occasione di una sua retrospettiva al Jewish Museum di New York, non ha mancato di porre un punto sulla propria carriera condensata nella mostra, grato del fatto che quest’ultima mostrasse non solo Maus, ma anche tutto il percorso di vita che lo ha portato a scrivere e disegnare uno dei libri sull’Olocausto e sul rapporto familiare più importanti del ventesimo secolo. Dimostrando al contempo una concetto fondamentale, che ha rivoluzionato il mondo del fumetto: il poter raccontare e descrivere, attraverso la Nona Arte, argomenti ben lontani dalle canoniche storie di supereroi e di fantascienza, dando dignità a un medium come quello del fumetto, tutt’ora spesso e volentieri bistrattato e seppellito ancora da strati di pregiudizi.

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