Per i media tedeschi è «il nemico della Germania», mentre per i ministri Di Maio e Salvini è una delle figure di più alto rilievo accademico e professionale nel governo del cambiamento: è il “ministro della discordia” Paolo Savona, che potrebbe lasciare presto il governo gialloverde per diventare il presidente della Consob. Sorprendentemente, il professore di economia ha trovato una via di fuga da questo governo, dopo che gli era stato negato il Ministero dell’Economia da parte del presidente Mattarella, motivo per cui Di Maio era pronto a mobilitare la sua base in una manifestazione contro il Presidente della Repubblica il 2 giugno. Ripercorriamo la storia che ha portato il ministro Savona, che lo scorso giugno era stato la persona più discussa nel dibattito politico italiano, a lasciare la cabina di regia del governo.
Paolo Savona, 82 anni, è uno dei più influenti economisti euroscettici d’Europa. La sua opinione riguardo alla moneta unica si è modificata nel tempo da «grande opportunità» fino a ritenerla una “gabbia” da cui fuggire il prima possibile. Prima di avere incarichi governativi Savona ha lavorato per la Banca d’Italia, si è specializzato al Massachusetts Institute of Technology (MIT) nel sistema monetario internazionale, ha insegnato all’università di Cagliari, Tor Vergata e poi alla Luiss di Roma, l’università di Confindustria che ha contribuito a fondare. Nel periodo in cui Guido Carli diventa presidente di Confindustria, Savona ne diventa Direttore Generale. Comincia ad avere contatti con il mondo della politica durante prima i lavori per il ponte sullo Stretto e poi durante il progetto del Mose di Venezia, entrambe opere per cui si spende in prima persona e che sono state al centro di importante processi per tangenti e sprechi, dai quali è sempre uscito indenne. Tra il 1993 e il 1994 arrivano per Savona gli incarichi politici: durante il governo tecnico Ciampi è stato Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, e durante questo incarico è stato definito “il traghettatore” che ha guidato il nostro paese nella moneta unica. Infine, tra il 2005 e il 2006 è stato capo del Dipartimento per le Politiche comunitarie della presidenza del Consiglio. Insomma, stiamo parlando di un esperto di economia nazionale e internazionale, da sempre legato all’establishment politico, economico e accademico italiano, quell’establishment che ha guidato l’Italia a tappe forzate dentro l’area Euro e che il Governo del cambiamento prometteva di combattere.
Il motivo per cui Paolo Savona è passato dall’essere un autorevole tecnocrate a uno dei ministri del cambiamento è il suo cambio di visione sulla moneta comune dell’UE. All’inizio dell’adesione italiana all’euro, il 30 dicembre 2001, scrive sul giornale L’Unione Sarda per incoraggiare l’Italia ad abbandonare la lira e definendo l’euro una «nuova era da accogliere con serenità e favore». Elenca poi i benefici dell’euro, quali «un enorme risparmio in termini di interessi sul debito pubblico per il quasi immediato allineamento dei tassi dell’interesse italiani a quelli tedeschi», il risparmio sul costo dei cambi e la piena confrontabilità dei prezzi all’interno dell’Unione.
Tuttavia, con il passare del tempo il ministro Paolo Savona ha espresso posizioni sempre più scettiche sull’utilità della moneta, diventando sempre più convinto della stessa critica mossa timidamente in quell’editoriale del 2001: «L’assenza di un potere politico vero e proprio dietro la moneta europea». Secondo le ultime dichiarazioni del ministro Savona, sebbene l’idea di avere una moneta unica fosse stata presa con la giusta intenzione di creare il più influente mercato economico del mondo, resta il fatto che una moneta ha bisogno di uno Stato per esistere e la forza politica dell’Unione Europea e dei suoi organi non è sufficiente.
Nel tempo gli scetticismi sono diventati veri e propri attacchi all’Unione Europea e al paese che secondo il ministro avrebbe più beneficiato della creazione dell’euro, la Germania. Nel 2010 Savona dichiara: «Non esiste un’Europa ma una Germania circondata da pavidi». Fino a spingersi nella sua autobiografia appena uscita, intitolata Come un incubo e come un sogno, a vedere nelle politiche tedesche la stessa visione del suo ruolo in Europa che aveva prima della fine del nazismo.
Questo cambio di prospettiva del ministro Paolo Savona e le relative dichiarazioni sono alla base della proposta avanzata da Di Maio e Salvini al presidente Mattarella, che prevedeva che Savona ricoprisse l’incarico di Ministro dell’Economia e della Finanza del nuovo governo. Il rifiuto di Mattarella di tale proposta a fine maggio del 2018 è stato causa di una delle più grandi crisi istituzionali che l’Italia abbia mai vissuto, con il serio rischio, poi scongiurato, di vedere manifestazioni in piazza contro il Presidente della Repubblica Italiana, la massima carica dello stato, accusato di favoreggiare la tanto odiata classe dei “poteri forti” e dell’establishment economico e politico del paese. A seguito di questo pericoloso scontro istituzionale, il governo gialloverde è stato comunque approvato da Mattarella con alla guida del ministero dell’economia Giovanni Tria, più affidabile per la gestione dei risparmi italiani e del gigantesco debito pubblico del paese. Scartato dal Ministero dell’Economia, Savona è stato proposto come Ministro per gli Affari Europei, una carica di serie B che permette di influenzare gli obiettivi della politica economica italiana ma non di definirli.
Infine, Savona è entrato nel governo attualmente in carica, diventando uno dei ministri con le più alte competenza tecniche in materia economica, competenze che sono nettamente superiori ad altri ministri del “governo del cambiamento”, curricula alla mano. La direzione proposta dal professore era quella di una politica economica portata avanti a suon di massicci investimenti con meno spesa pubblica, una politica che si ribellasse all’austerity dell’UE e ai vincoli del “debito sovrano”. Invece, si è ritrovato a votare a malincuore una legge di bilancio le cui proposte principali, quota 100 e il reddito di cittadinanza, propongono il contrario, più spesa pubblica e meno investimenti.
La parabola discendente di Savona oggi lo vede marginale nelle dinamiche della maggioranza e ininfluente nelle trattative con la Commissione Europea, con la quale tratta direttamente il presidente Giuseppe Conte. Savona è, in definitiva, un ministro estraneo al governo. A completamento dell’allontanamento dal governo, Paolo Savona potrebbe lasciare l’esecutivo per diventare il nuovo presidente della Consob, una nomina vacante da quattro mesi per l’incapacità dei due partiti al governo di convergere su un nome. Ci sono degli ostacoli di tipo giudiziario e istituzional-politico, tra i quali una legge del 2015 che vieta “incarichi dirigenziali” ai pensionati e i gelidi rapporti tra il ministro e il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Tuttavia, il punto focale del trasferimento di Savona è piuttosto la sconfitta della sua visione politica. Il ministro con più competenze, più coerente, più lungimirante e soprattutto più cauto dell’attuale governo ha preferito uscire dignitosamente, con un incarico da tecnico, da questo esecutivo, piuttosto che continuare a essere identificato con un governo che non gli ha permesso di portare avanti la sua idea di politica economica ma che può continuare a usare come lustro e scudo le sue competenze e la sua visione. C’è da chiedersi dunque quali e quanti studiosi o accademici di economia siano ancora disponibili a difendere le scelte di questo governo dopo l’addio di Paolo Savona.
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