Uno dei perni della politica estera di Trump è quello di far agire il proprio paese libero da qualsivoglia vincolo o restrizione, sia nel proprio emisfero di competenza (come con lo spacchettamento del NAFTA in due trattati separati con Messico e Canada), sia nel contesto intercontinentale (si pensi al blocco delle negoziazioni sul Partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti). Tale insofferenza verso il diritto internazionale si è ultimamente orientata verso il trattato INF (Intermediate Range Nuclear Force Treaty) siglato da Reagan e Gorbachev nel 1987 a Washington e che fu frutto del vertice di Reykjavik dell’ottobre precedente. Il trattato fu reso possibile grazie al progressivo riavvicinamento di Mosca alla sua dimensione più europea attraverso i rapporti con i partiti socialdemocratici d’Europa.
Il disaccoppiamento nucleare di fine anni Settanta era uno dei maggiori grattacapi per la NATO: il fatto che gli Stati Uniti dovessero rischiare una rappresaglia sul proprio territorio per difendere un attacco locale faceva riconsiderare la strategia in caso di attacco, la famosa “risposta flessibile”. L’introduzione dei missili a medio raggio in Europa (Tomahawk e Pershing) venne decisa con il vertice della Guadalupa del 1979. Inizialmente buona parte di questi venne dislocata nella Repubblica Federale Tedesca, salvo puntare poi su una più equa distribuzione degli armamenti sul territorio europeo, specie a ridosso dei “tre rebbi” della tattica generale NATO in caso di invasione da oriente (Italia, Germania Occidentale e Norvegia, con l’eccezione di quest’ultima che rifiutò i missili e che venne “sostituita” dal Regno Unito). Il vertice della Guadalupa, insieme al raid israeliano su Entebbe e alla guerra delle Falkland, segna il risveglio del blocco occidentale di fronte ai soggetti non democratici presenti nel mondo, che dalla crisi di Suez erano stati spesso trattati con accondiscendenza.
Tale mossa contribuì a sventare definitivamente il rischio di una finlandizzazione dell’Europa Occidentale (ovvero la modifica della posizione europea da alleata degli Stati Uniti a una più neutrale). Dall’altra parte della cortina di ferro, al contrario, non c’era più la volontà di tenere alto il livello dello scontro. Andropov e Cernenko avevano contribuito ad un isolamento dell’URSS che Gorbachev cercava di spezzare e al quale erano seguite notevoli spinte centrifughe all’interno del Patto di Varsavia. Quest’insieme di fattori portò al vertice di Reykjavik prima e alla firma del trattato INF poi. Tale accordo prevedeva l’eliminazione di tale tipo di armamenti dal suolo europeo e l’URSS accettò una serie di ispezioni da tenersi a intervalli regolari.
Nel corso del tempo gli Stati Uniti hanno accusato a più riprese Mosca di aver violato il trattato: l’ultima volta nel 2017, quando l’allora segretario alla difesa Mattis accusò Putin di aver armato diversi battaglioni con missili SSC-8. Questo fino alla rottura di fine gennaio in cui Trump ha annunciato di voler sospendere la partecipazione degli Stati Uniti al trattato finché non si fosse dimostrato che la Russia sarebbe tornata a rispettarlo. Da Mosca assicurano il completo rispetto del trattato pur opponendosi ad altre ispezioni, ma la decisione è stata quella di seguire gli Stati Uniti nel ritiro dal trattato, presentato come momentaneo ma che è difficile venga cancellato almeno nel breve termine.
Tra le molte motivazioni che Trump ha addotto per la sospensione del trattato vi è anche la Cina: secondo la visione del presidente degli Stati Uniti questa non sarebbe legata in alcun modo da vincoli e potrebbe, quindi, agire indisturbata. Appare difficile sostenere un collegamento di questo tipo, considerando che il trattato concerne il suolo europeo e alla Cina tale teatro può interessare solo ed esclusivamente in chiave di dominio sull’Artico, in un discorso che è ancora molto lontano dall’essere applicato, che passa dalla ridefinizione della situazione siberiana e dal riscaldamento globale e conseguente scioglimento delle calotte artiche.
In tutto questo, Trump ha dimenticato che il trattato era in piedi appunto per evitare grandi corse al riarmo, pericolose per i paesi europei. La Russia stessa ha cercato per tutto l’ultimo decennio di tirarsene fuori in modo da evitare contraccolpi dal lato diplomatico (altre sanzioni e via dicendo) lamentando il fatto che anche altri paesi sarebbero dovuti entrare a fare parte del trattato INF, altrimenti la situazione difensiva sarebbe diventata insostenibile. La soluzione pertanto non stava tanto nel ritiro o nella sospensione del trattato, quanto nella sua rinegoziazione, magari con l’inclusione delle altre potenze nucleari (India, Pakistan, Cina, Regno Unito e Francia).
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