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Achille Lauro: il vero protagonista di Sanremo

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Vittorio Comand

Sabato scorso si è conclusa la 69° edizione del Festival di Sanremo con l’inaspettata vittoria di Mahmood, uno dei due emergenti qualificatisi grazie alla nuova formula del concorso Sanremo Giovani. Mahmood è riuscito a vincere su Ultimo, il cantante favoritissimo di questa edizione, e sul trio de Il Volo. Le polemiche (del tutto sterili) non sono di certo mancate: fra la rivolta del pubblico presente all’Ariston per la Bertè fuori dal podio, le dichiarazioni al veleno di Ultimo nei confronti dei giornalisti dopo che la sala stampa, assieme alla giuria di qualità, ha ribaltato il risultato del televoto e gli spiacevoli commenti sui social rivolti a Mahmood, accusato di essere stato eletto vincitore per motivi politici a causa delle sue origini nordafricane (il padre è egiziano), il Festival si è chiuso in un vero e proprio putiferio. Tutto questo trambusto nel finale però non è bastato per rubare la scena a quello che è stato il vero protagonista del festival: Achille Lauro, piazzatosi nono con il suo brano Rolls Royce. Arrivato come outsider, per non dire alieno, Achille Lauro è stato l’artista più chiacchierato fra i presenti alla rassegna musicale: dalle frange più conservatrici del pubblico, scandalizzate principalmente per il suo bizzarro look, a chi invece ne elogiava l’originalità e lo stile, Achille Lauro ha diviso gli spettatori e la stampa. Ma un personaggio come lui può veramente essere un fattore di shock così forte per la scena musicale italiana o è solo la sua presenza all’interno di una cornice come quella di Sanremo che ne amplifica i tratti stravaganti?

Achille Lauro sul palco dell’Ariston. Foto: Ansa.

Chi è Achille Lauro

Prima di addentrarci nella settimana sanremese di Achille Lauro, è forse opportuno cercare di capire da dove sia spuntato fuori un personaggio del genere e, soprattutto, perché abbia tutto il diritto di calcare il palcoscenico dell’Ariston. Nato nel luglio del 1990 a Roma, Lauro De Marinis (questo il suo vero nome) inizia già da giovanissimo a occuparsi di musica, sotto l’ala protettiva del fratello maggiore, produttore per il collettivo hip-hop romano Quarto Blocco. Fra il 2012 e il 2013 diventa il volto di spicco del collettivo, con l’uscita dei mixtape Barabba e Harvard, dove racconta in maniera autobiografica il mondo disastrato e la difficile vita all’interno della periferia romana con il linguaggio ruvido e le sonorità aggressive del rap underground. Il giovane talento attira in breve tempo l’attenzione di alcuni dei principali rapper italiani in circolazione: in particolare, l’incontro con Marracash gli consente l’ingresso all’interno dell’etichetta Roccia Music, per la quale esce il disco Achille Idol Immortale. Con la partecipazione, fra gli altri, di Noyz Narcos, Gemitaiz e lo stesso Marracash, il disco sviluppa i temi affrontati nei primi lavori del rapper con maggiore consapevolezza e rinnovata sofferenza, grazie anche a un forte simbolismo cristiano che si presenta principalmente attraverso la lettura dei versetti di un’immaginaria Bibbia alla fine di ogni brano.

L’anno successivo, sempre per Roccia Music, escono l’EP Young Crazy EP e il secondo album solista, Dio c’è. Achille Lauro diventa in breve tempo uno dei musicisti di punta della nuova scena rap italiana, tanto che decide di staccarsi da Roccia Music per fondare una sua etichetta, la No Face Agency. Nel novembre del 2016 esce quindi Ragazzi Madre: qui Lauro inizia a staccarsi dal rap serrato delle origini, i suoi brani si fanno più melodici e non mancano le strizzate d’occhio alla trap, grazie alla ispirata produzione del fedele Boss Doms. Fra il 2017 e il 2018 escono i singoli Amore Mì, Ammo e Midnight Carnival. Questi anticipano il disco Pour l’amour, in cui Lauro coniuga brani di samba trap (termine da lui coniato per indicare una rivisitazione della trap in chiave latina) con altre tracce di vario genere, dall’house alla canzone napoletana, dimostrando un notevole eclettismo e padronanza nel contaminare la sua musica con elementi differenti. Nel dicembre dello scorso anno viene infine ufficializzata la sua presenza al Festival della canzone italiana.

Achille Lauro a Sanremo

Per il pubblico dell’Ariston, un personaggio come Achille Lauro provoca una sensazione di fastidio già dal primo sguardo: un ragazzo giovane con addosso orecchini appariscenti e tatuaggi su tutto il corpo e sul volto non può che destabilizzare lo spettatore medio del Festival, l’evento nazionalpopolare per eccellenza in Italia e da sempre rappresentazione della musica pop italiana più neutrale e confortevole. Difficilmente a Sanremo concorrono cantanti particolarmente eccentrici: quando succede è comunque un passaggio innocuo, non capita quasi mai che a esibirsi ci sia qualcuno di veramente estremo. Per Achille Lauro, in realtà, vale lo stesso discorso: la vera provocazione del rapper nel salottino di Rai 1 si sofferma principalmente sul suo aspetto, sicuramente distante da quello del Francesco Renga di turno. Anche il brano in sé, Rolls Royce, non è poi così scioccante: la canzone ha un animo punk, è ben distante dalle sonorità trap (se non per un leggero accenno di autotune) e racconta la vita degli eccessi delle rockstar, mitizzandone i protagonisti che hanno vissuto all’insegna del motto “sesso, droga e rock ‘n’ roll”. Insomma, un concetto ormai abbastanza consolidato nell’immaginario rock: in Italia quello che si avvicina di più a un brano simile è Vasco Rossi, e infatti non sono mancati i paragoni con Vita spericolata, arrivata penultima allo stesso Festival trentasei anni fa. Ora, lo stesso pubblico di giovani di una volta che era rimasto ammaliato dall’esordio di Blasco è quello che guarda con sospetto, per non dire disprezzo, Achille Lauro, associandolo immediatamente al fenomeno virale Young Signorino e a Sfera Ebbasta, incolpevole protagonista del tragico episodio avvenuto ad Ancona lo scorso dicembre.

Intendiamoci: Rolls Royce non è un brano particolarmente degno di nota, però è fresco, grintoso, sicuramente qualcosa di anomalo rispetto a quella che è ormai entrata nell’immaginario collettivo come la canzone da Sanremo: la solita stucchevole nenia amorosa, riproposta in diverse salse ma sempre incagliata in quel cliché che non può che fossilizzare il Festival. Basti pensare che, nell’edizione di quest’anno, ben tre concorrenti diversi nei rispettivi brani esprimono l’idea di parole nuove per descrivere l’amore. Ironico, ma allo stesso tempo rende bene l’idea del problema che attanaglia il Festival di Sanremo ormai da anni: la quasi totale mancanza di originalità. Certo, ci sono alcune fortunate eccezioni, come quest’anno lo stesso brano vincitore o Argentovivo di Daniele Silvestri, ma è la presenza di Achille Lauro che arriva come una boccata d’ossigeno. Il suo brano, pur essendo un rock abbastanza standard, esce dalla comfort zone tipica della canzone sanremese. Non è originale in senso assoluto, ma originale nel contesto del Festival. La sua presenza a Sanremo non crea lo scossone che avrebbe potuto provocare, anzi, Achille Lauro sta molto al gioco dell’Ariston e non oltrepassa mai il limite, come in molti si sarebbero potuti aspettare. Inneggia alla vita da rockstar ma, allo stesso tempo, si comporta con un garbo e con una gentilezza invidiabili. Sicuramente una figura migliore del collega Ultimo.

Achille Lauro accompagnato da Morgan nella serata dei duetti.

Eppure, Achille Lauro si attira addosso non solo lo sdegno del pubblico benpensante. A dare addosso al rapper capitolino c’è in prima linea Striscia la notizia, con l’accusa che la canzone in gara voglia incentivare, in maniera più o meno nascosta, il consumo di ecstasy: ennesima dimostrazione di come in Italia il fenomeno della musica rock, che da più di cinquant’anni si scontra con queste polemiche, non abbia avuto che una minima influenza. In ogni caso, Achille Lauro e lo stesso presentatore del festival, Claudio Baglioni, hanno categoricamente negato che ci fosse l’intento di inneggiare all’uso di droga. A questo si aggiunge anche un’accusa di plagio, anche in questo caso prontamente smentita da Lauro.

Quella di Achille Lauro al Festival non è quindi stata la rivoluzione che poteva scombinare l’Ariston, ma è stata una bella apertura alle tendenze musicali più giovani che spesso vengono snobbate da un evento di questa portata. Se Sanremo vuole essere il festival della canzone italiana, la presenza di Achille Lauro non solo è legittima, ma è un chiaro segnale che chiunque meriti può calcare il palco dell’Ariston, senza per forza stare a guardare il genere musicale o l’aspetto. È forse questa mancanza che negli anni ha reso Sanremo una parodia di sé stesso, chiamando a sé sempre gli stessi nomi e le stesse canzoni; ed è virando rotta, come si è provato a fare in questa edizione, che si può aspirare ad assistere a un Festival più coinvolgente, vario e, di conseguenza, piacevole.

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