In un momento storico in cui la classe politica nostrana passa le sue giornate lanciando strali contro l’Europa brutta e cattiva, non poteva di certo passare inosservato il perentorio intervento di un belga che, in italiano, ha parlato in difesa della storia del nostro Paese con un discorso tanto accorato quanto critico nei confronti del pericolante esecutivo italiano:
«La nostra civiltà europea è nata in Italia e per secoli artisti, scrittori e intellettuali hanno visitato l’Italia almeno una volta nella loro vita. Scoprire l’Italia significa visitare l’Italia. Firenze, Roma, vedi Napoli e poi muori. Goethe lo ha fatto, e per questo oggi mi fa male vedere la degenerazione politica dell’Italia, che è iniziata venti anni fa. L’impressione è che questo paese è passato da essere un difensore dell’Europa a essere un fanalino di coda dell’Europa. Questa è l’impressione che si ha in questa assemblea e anche all’esterno».
Guy Verhofstadt, europarlamentare di lunghissimo corso e presidente di ALDE, ha infatti accusato l’Italia di essere governata da “un burattino” e ha ripercorso brevemente la storia degli ultimi vent’anni di governo. Significativo, all’interno del suo intervento, un passaggio a memoria di quegli italiani da lui definiti “Padri dell’Europa”: Ciampi, Spinelli, Napolitano e Bonino.
«Allora la domanda per lei, presidente Conte è: per quanto tempo continuerà a essere il burattino mosso da Di Maio e Salvini? La invito a prendere ispirazione da illustri compatrioti italiani: Spinelli, Ciampi, Mario Draghi, Giorgio Napolitano. Sì, Giorgio Napolitano: un grande europeo con una grande idea. E non dimentichiamo la mia buona amica Emma Bonino. Questi sono gli uomini e le donne che rappresentano la grandezza dell’Italia e il suo ruolo in Europa. Questa è la differenza tra il signor Conte e tutti i grandi personaggi che ha dimenticato».
In questo editoriale, lasciando da parte la considerazione dello stato attuale del sofferente europeismo italiano, si vuole ricordare brevemente la figura di uno dei più grandi sostenitori della centralità italiana nel progetto europeo: Carlo Azeglio Ciampi (Livorno, 9 dicembre 1920 – Roma, 16 settembre 2016).
Egli è stato uno dei più importanti personaggi del mondo politico ed economico della storia recente italiana: ha ricoperto le più importanti cariche dello Stato, nonostante non fosse iscritto a nessun partito. È stato, nell’ordine, Governatore della Banca d’Italia (incarico ricoperto per oltre 23 anni), Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica, oltre che Ministro del Tesoro e del Bilancio e della Programmazione Economica nel cruciale periodo di transizione tra lira e moneta unica, contribuendo in modo decisivo alla partecipazione italiana all’euro. Convinto europeista (si definiva “cittadino europeo nato in terra d’Italia”), fervente patriota, ha raccolto simpatie e consensi da quasi tutti gli schieramenti politici ed è stato una figura chiave nella transizione italiana a cavallo fra 1992 e 1994, avendo presieduto l’ultimo esecutivo espressione della cosiddetta “prima Repubblica”. All’azione del suo settennato si devono la rivalutazione dell’identità nazionale, la riscoperta dei valori risorgimentali, la massiccia diffusione dell’inno nazionale e il rinnovamento del Tricolore.
Il cursus honorum istituzionale di Ciampi ha lasciato una traccia significativa nella storia politica, europea ed economica italiana. È evidente come questi – soprattutto negli anni alla Banca d’Italia e al Ministero del Tesoro – sia stato attore cruciale non solo dell’integrazione italiana in Europa, ma dell’integrazione europea stessa. Lo testimoniano i continui attestati di stima, la saldezza delle relazioni umane, il rispetto di cui Ciampi ha goduto sia entro confine (è bene ricordare il fatto che la sua elezione a Presidente della Repubblica sia avvenuta con una convergenza di voti ragguardevole, per di più alla prima votazione e – caso unico nella storia repubblicana – senza essere mai stato parlamentare) sia all’estero, dove grazie al prestigio guadagnato con la forza delle sue azioni seppe dare all’Italia una rappresentanza autorevole. Con la sua azione, ha favorito il perseguimento dell’interesse nazionale e del rafforzamento delle Istituzioni europee nei vari momenti storici in cui si è trovato a rivestire incarichi istituzionali di prestigio.
La situazione economica italiana, al momento dell’insediamento di Ciampi al vertice di Via Nazionale, non era di certo delle più rosee: fino a quella fase storica, il sistema-Paese Italia aveva tratto benefici da una tendenza inflazionistica dell’economia nazionale, con la gestione del cambio della lira che teneva la valuta sospesa fra un dollaro debole e un marco tedesco forte. In sostanza, le industrie riuscivano a crescere non tanto per un loro ammodernamento e una competitività effettivi, quanto piuttosto perché godevano della “protezione paternalistica” della Banca d’Italia, che operava svalutazioni competitive della lira per favorire le imprese italiane nei confronti dell’estero; tuttavia, se questa pratica da un lato favoriva gli industriali, dall’altro non faceva che aumentare ulteriormente e inesorabilmente l’inflazione. Per cercare di invertire questa tendenza, da Governatore della Banca d’Italia Ciampi si rese protagonista di diverse iniziative.
Fu fautore insieme a Beniamino Andreatta del “divorzio” fra Banca e Tesoro, le cui conseguenze sulla politica economica furono senz’altro positive: i tassi di interesse reali si attestarono su livelli idonei ai parametri fissati dall’adesione allo SME (Sistema Monetario Europeo, antesignano della moneta unica), congrui ad assicurare il rientro dell’inflazione sul lungo periodo; il fabbisogno pubblico venne quasi del tutto finanziato sul mercato, senza creare nuova moneta; la Banca d’Italia cominciò ad annunciare l’obiettivo di espansione della moneta. Fu inoltre in quegli anni protagonista insieme a Goria della protesta formale che portò il G7 a riunirsi a partire dal 1987 sempre e solo in formazione completa, senza essere preceduto da un vertice a cinque in cui l’Italia era esclusa: il suo appoggio alla diserzione decisa dal Governo Craxi fu determinante per la buona riuscita dell’operazione.
Durante il biennio 1987-1988 e i cambiamenti in sede di governo, Ciampi trovò nel ministro del Tesoro Giuliano Amato un interlocutore credibile con cui perorare in sinergia la causa europeista: le misure congiunte del Tesoro e della Banca d’Italia in quella fase storica resero possibile la partecipazione europea al Trattato di Maastricht, operata nella convinzione che l’interesse nazionale italiano fosse da perseguire nella più ampia cornice europea, per ragioni tanto economiche quanto politiche. Il 1992 fu un anno di pesante crisi economica per l’Europa, con una forte recessione dovuta soprattutto a una grave crisi valutaria; questa riguardò soprattutto le valute del Sistema Monetario Europeo: prima la lira, poi la sterlina e infine il franco furono attaccate dagli speculatori. Italia e Regno Unito dovettero uscire dallo SME, ma per tutto il tempo del “sofferto esilio” (durato ben quattro anni) l’obiettivo di Ciampi sarebbe stato far rientrare la lira nel più breve tempo possibile.
Gli incarichi del quinquennio 1993-1998 sono stati cruciali per la creazione dell’Eurozona per come oggi è costituita. Le circostanze politico-giudiziarie che travolsero la classe politica italiana lo trascinarono nei palazzi del potere: Scalfaro gli offrì nel 1993 la possibilità di diventare il primo Presidente del Consiglio di natura tecnica, incarico che ricoprì nella convinzione che i problemi atavici dell’Italia avrebbero potuto essere risolti solo ponendo al Paese un vincolo esterno che lo responsabilizzasse: l’Europa. Nel 1996, con la coalizione di centro-sinistra al Governo, Prodi lo volle con sé nella grande rincorsa verso la moneta unica, operazione che si può a buon diritto considerare il capolavoro politico di Ciampi (che, pure, politico non era).
Il discorso di insediamento di Ciampi, pronunciato il 6 maggio 1993, conteneva in nuce tutti gli obiettivi di respiro nazionale e internazionale che quel Governo atipico si apprestava a intraprendere. Il Presidente, per cercare di stabilizzare il sistema Italia e dare un’impronta europeista alla sua azione, sottolineò fin dal suo primo intervento a Montecitorio la volontà di ridurre il debito pubblico attraverso gli interventi sul mercato, cercando di evitare di agire con manovre impopolari e gravose come il prelievo forzoso sui risparmi; se riguardo la sfera della politica nazionale il capo del Governo insistette molto sulla necessità di assecondare il popolo italiano nella sua forte richiesta di cambiamento, per ciò che concerne l’indirizzo di governo in politica estera Ciampi evidenziò l’importanza di mantenere salde le storiche alleanze in cui l’Italia era partecipe e di rafforzare con vigore la costruzione dell’unità europea di cui egli stesso, in veste di Governatore, era stato attore coprotagonista. Al fine di rassicurare gli alleati europei della bontà delle intenzioni italiane, oltre che per tutelare maggiormente gli interessi economici e sociali del sistema-Paese, si adoperò con successo nel raggiungimento dello storico Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e del sostegno al sistema produttivo, autentica pietra miliare della contrattazione con le parti sociali, grazie anche al cruciale contributo fornito alla causa da industriali e sindacati.
Egli intervenne con fermezza nella questione balcanica, affermando come l’Italia avrebbe dovuto avere maggiore considerazione all’interno della catena di comando del contingente NATO; una ulteriore iniziativa di rilievo storico-economico operata nel suo breve mandato a Palazzo Chigi fu la creazione della struttura normativa necessaria ad avviare il cruciale processo di privatizzazioni delle aziende controllate dallo Stato.
Da Ministro del Tesoro e Ministro del Bilancio e della programmazione economica (incarichi in cui, in virtù della sua indipendenza politica, poté operare in piena autonomia), egli si spese con energia e perizia nella difficile operazione di riavvicinamento dell’Italia ai parametri di Maastricht. Il Palazzo delle Finanze si rivelò una collocazione congeniale alle sue qualità e al suo obiettivo principale, al suo ideale di interesse nazionale: portare l’Italia nell’euro, dal principio. Per la sua partecipazione al progetto della moneta unica, fu decisiva la sinergia fra Romano Prodi e Oscar Luigi Scalfaro (suo predecessore al Quirinale), determinati ad avere una figura di garanzia e internazionalmente rispettata a presiedere il dicastero del Tesoro; tuttavia Ciampi subordinò l’accettazione dell’incarico ad alcune condizioni, quali il riconoscimento della sua condizione di tecnico e l’accettazione da parte di Prodi della sua volontà di rimanere estraneo ai giochi politici, condizioni rivelatesi poi cruciali per l’esito positivo dell’operazione.
Per conseguire il suo obiettivo, egli operò oltre confine attraverso una fitta rete di relazioni umane per cercare di trovare un “gancio politico” all’iniziativa italiana, lavorando soprattutto per convincere i tedeschi della bontà delle intenzioni italiane (a tale scopo, furono significativi i ripetuti contatti con Francia e Spagna); trovò numerosi alleati sulla scena internazionale nella sua battaglia per la partecipazione italiana all’euro dal principio: il suo vecchio collega De Laroisière, in quel momento Presidente della BERS; Jean Claude Juncker, allora Primo Ministro e Ministro delle Finanze del Lussemburgo; Michel Camdessus, allora Direttore Generale del Fondo Monetario Internazionale, sono solo alcuni degli illustri fiancheggiatori del progetto ciampiano di Europa unita.
Entro i confini, fu cruciale la sua conoscenza della materia economica per favorire un ricalcolo del disavanzo pubblico che fece guadagnare all’Italia quasi un punto percentuale nel fondamentale parametro di Maastricht relativo al rapporto disavanzo pubblico annuale/PIL. Un errore nel conteggio, individuato e corretto grazie a una intuizione di Ciampi, fece fare un enorme balzo in avanti all’Italia verso l’integrazione europea: si registrò un guadagno di circa 12.500 miliardi, e ciò ebbe effetti significativi sul deficit di partenza, che passava dal 7,4% al 6,5%, il tutto senza incidere sull’economia reale. L’intuizione del Ministro, seppur di natura squisitamente tecnica, fu fondamentale per instillare fiducia negli alleati europei; la scelta di non comunicare nell’immediato agli alleati di Governo la lieta notizia fu parimenti utile a mantenere al massimo lo sforzo congiunto, evitando i rallentamenti che sarebbero potuti scaturire da facili entusiasmi.
Per cercare di accelerare il processo di avvicinamento del Paese al traguardo, fu effettuato dai tecnici del Ministero del Tesoro uno scrupoloso lavoro di scrittura del Dpef; in particolare, per guadagnare credito nei confronti dell’opinione pubblica europea e per trovare un escamotage giuridico che permettesse un maggior margine di manovra, si cercò di inserire una attestazione scritta della strategia “a fasi” prospettata da Ciampi ai colleghi europei nel Documento stesso, per ottenerne una legittimazione attraverso un voto parlamentare. Il lavoro si concentrò sul paragrafo IV.10 del Dpef 1997-1999, il cosiddetto “paragrafo-gancio”, che permise di fatto la possibilità di operare una manovra aggiuntiva nello stesso anno che si rivelò determinante per il perseguimento dell’obiettivo italiano di ingresso nell’euro dal suo varo, scopo che secondo Ciampi era di fondamentale importanza per tutelare l’interesse nazionale nonché gli interessi economici italiani.
Il rientro nella banda stretta dello SME, operato con un rapporto di cambio lira-marco di 990 lire per marco, fu un’altra azione decisiva in questo senso. Il 2 gennaio 1998 arrivò il dato ufficiale del fabbisogno del settore statale del 1997: 2,7%; in seguito all’approvazione della legge finanziaria del 1998, nello storico Consiglio Europeo di Bruxelles del 2 maggio l’Italia fu ufficialmente ammessa fra i Paesi della fase uno dell’euro, realizzando di fatto un’impresa ragguardevole e su cui pochi osservatori si erano espressi positivamente circa la sua realizzazione. Grande merito venne reso a Ciampi, che grazie alle sue doti di tecnico ma soprattutto di consumato politico internazionale seppe tessere una fitta rete di amicizie e iniziative funzionali all’interesse italiano di essere un pilastro europeo, al pari di Francia e Germania e non in loro subordine.
I sette anni trascorsi al Quirinale furono dedicati a tre obiettivi fondamentali: favorire la rinascita di un sentimento patriottico autentico, attraverso la riscoperta dei valori della Patria e del Risorgimento; rappresentare gli interessi italiani nel contesto europeo, favorendo un aumento dell’integrazione attraverso diversi interventi pubblici e il lancio di una costituente europea d’intesa con il Presidente federale Rau; tutelare gli interessi nazionali e gli interessi economici del mondo imprenditoriale italiano, organizzando in collaborazione con gli industriali diverse visite di Stato nei Paesi dove storicamente le imprese italiane avevano difficoltà a inserirsi.
Un ulteriore cardine che muoveva l’azione europea di Ciampi era rendere il concetto di pax europea un pilastro fondamentale dell’Europa del futuro: egli era mosso dalla convinzione che l’Unione Europea avrebbe dovuto essere un punto di ancoraggio per i Paesi limitrofi, con specifica attenzione per la situazione atavicamente tumultuosa del Medio Oriente. In particolare, riguardo gli interessi italiani ed europei nell’area, egli riteneva che l’affermazione dell’Europa come mediatore principale del conflitto israelo-palestinese, con l’obiettivo di favorire la nascita di un autonomo stato della Palestina, sarebbe stata la certificazione dell’ascesa a “potenza politica” dell’Unione, con riflesso prestigio per l’Italia; tuttavia, nonostante una enorme quantità di visite di Stato in Paesi arabi moderati, l’aggravarsi della crisi della Palestina e gli attacchi dell’11 settembre resero quel progetto meno incisivo delle pur ottime premesse.
Nonostante i ripetuti contrasti con i governi presieduti da Silvio Berlusconi, tanto in politica nazionale quanto in politica estera, il suo operato fu di fondamentale importanza per mantenere salda l’immagine italiana all’estero (venendo questi considerato dall’opinione pubblica internazionale, in ragione del suo percorso nelle Istituzioni, un vero e proprio simbolo di sicurezza e autorevolezza) e per difendere la Costituzione dagli attacchi dell’Esecutivo. Il suo fermo diniego della possibilità di una partecipazione italiana al nascente conflitto iracheno al di fuori di una cornice di cooperazione internazionale, operato in forza di una interpretazione letterale dell’articolo XI della Costituzione (nonostante Governo e diplomazia statunitense pressassero in senso opposto), risultò un forte punto di rottura con le politiche personalistiche e poco ortodosse del governo Berlusconi. Il suo senso delle istituzioni fu testimoniato anche dalla rinuncia, per questioni più di opportunità che anagrafiche, a un secondo mandato, nonostante le forze politiche fossero estremamente tentate da una sua riconferma.
L’azione del Presidente Ciampi è stata decisiva per la costruzione dell’Europa unita per come la conosciamo oggi: una comunità che pur con i suoi difetti, di cui il Presidente era perfettamente consapevole, ha reso possibile il raggiungimento di traguardi che, in un contesto nazionale, difficilmente si sarebbero potuti superare.
Altra Politica, altre Idee, altri Uomini
Le generazioni presenti, cui Ciampi si rivolgeva di continuo nei suoi discorsi pubblici, hanno il compito di non dissipare un patrimonio accumulato con fatica da chi, reduce della Seconda Guerra Mondiale, aveva visto come rimedio agli orrori di quel conflitto l’unione dei popoli europei. Un patrimonio che i nostri rappresentanti politici attuali, nella loro spregiudicata e deprecabile ignoranza e con la loro sordida incompetenza, stanno lasciando morire.
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