Ci sono calciatori grandi, altri meno. Alcuni hanno un grande potenziale ma non lo sfruttano a causa della propria testa; altri, invece, grazie alla propria mentalità riescono ad arrivare in posti impensabili. Chi si trova nel posto giusto al momento giusto e chi manca l’appuntamento col destino. C’è chi combatte con demoni più grandi di lui e da questi viene sopraffatto ma c’è anche chi riesce a vincere battaglie personali incredibili. Ci sono gli onesti mestieranti, i mediocri, i raccomandati. E poi ci sono quei calciatori forti, riconosciuti e celebrati ma che, in un modo o nell’altro, sono sempre stati fermati dal destino a un passo dalla consacrazione, come se a loro fossero precluse le soddisfazioni, la gloria e gli allori riservati ai grandissimi. Massimo rappresentante di questa categoria è Santiago Cañizares, ex portiere del Valencia e della nazionale spagnola.
Santiago Cañizares: a un passo dal successo
Non è molto alto per fare il portiere: Santiago Cañizares supera di poco i 180 centimetri, ma compensa il tutto con un’esplosività muscolare fuori dal comune. In questo ricorda molto il suo collega italiano Angelo Peruzzi, anche se il viterbese presenta una stazza decisamente più massiccia. Con i suoi caratteristici capelli ossigenati ha difeso per circa vent’anni i pali di Real Madrid (compresa la parentesi nella seconda squadra delle merengues, il Castilla), Elche, Merida e Celta Vigo, prima di far ritorno al Santiago Bernabeu e compiere l’ultimo definitivo trasferimento, quello al Valencia, di cui diventerà uno storico leader. Il suo palmarès parla chiaro: quattro campionati spagnoli (due con il Real Madrid e due con il Valencia), due Coppe del Re e due Supercoppe spagnole (una nella capitale, una sulle sponde del Mediterraneo), a cui si aggiungono una Champions League con il Madrid nel 1998 e una Coppa UEFA e relativa Supercoppa Europea con il Valencia nel 2004.
Proprio la massima competizione continentale per club è stata uno dei fattori che hanno contribuito al suo strano destino. Nel 1998 Santiago Cañizares aveva quasi ventotto anni, ma, nonostante le buone prestazioni accumulate negli anni, non era ancora titolare. Nel corso della stagione aveva accumulato comunque ben sei presenze in Champions League sulle undici disputate quell’anno dal Real Madrid, subendo quattro gol e mantenendo la rete inviolata in tre occasioni. Per la finale, disputatasi ad Amsterdam contro la Juventus, tuttavia, a difendere i pali degli spagnoli non c’era Cañizares, ma il più esperto Bodo Illgner, preferito dall’allora allenatore madridista Jupp Heynckes. La vittoria andò agli spagnoli, che sconfissero 1-0 la Juventus grazie al gol di Predrag Mijatović, ma Santiago non poté festeggiare da protagonista quella vittoria. Chissà se, in cuor suo, mentre poche settimane dopo firmava per il Valencia, pensava che in futuro avrebbe potuto vivere da protagonista una magica serata come quella.
E, in effetti, con la divisa bianca e nera del Valencia ebbe ben due occasioni di dimostrarsi all’altezza della massima competizione continentale. A cavallo del secondo e terzo millennio, Santiago Cañizares era a tutti gli effetti uno dei portieri migliori d’Europa e giocava in una delle squadre più sorprendenti della Liga: il suo Valencia sarebbe stato l’ultimo serio tentativo di interrompere il duopolio di Real Madrid e Barcellona, prima dell’avvento dell’Atlético di Diego Simeone. In squadra con Gaizka Mendieta, Kily González, Claudio López e Javier Farinós – i quali, con alterne fortune, sarebbero arrivati poi a giocare in Italia – e guidato dall’hombre vertical Héctor Cúper, Santiago Cañizares si trovò titolare di una squadra che dominò i palcoscenici calcistici di Spagna ed Europa. Stavolta, da primo portiere, ebbe l’occasione di vincere sul campo anche la Coppa dalle grandi orecchie. Il primo tentativo, tuttavia, andò male: contro gli ex compagni del Real Madrid, i cui pali erano difesi dall’allora giovanissimo Iker Casillas, Cañizares fu costretto per tre volte a recuperare il pallone dal fondo della rete. Allo Stade de France di Saint-Denis Fernando Morientes, Steve McManaman e Raúl fissarono il risultato sul 3-0 per le merengues.
Il destino diede però a Cañizares una seconda opportunità e già l’anno successivo il Valencia era di nuovo in campo per la finale di Champions League, questa volta contro il Bayern Monaco, che da due anni covava il risentimento per la finale persa nei minuti di recupero in maniera rocambolesca contro il Manchester United. A San Siro le cose si misero subito bene per gli spagnoli: al 2′ minuto Gaizka Mendieta tirò un calcio di rigore e il pallone finì alle spalle di Oliver Kahn, con cui Cañizares si contendeva lo scettro di miglior portiere del continente. Un altro rigore, tuttavia, portò i bavaresi in parità, grazie alla rete del capitano tedesco Stefan Effenberg. I rigori erano evidentemente nel destino della partita e l’1-1 resse anche ai tempi supplementari. La sorte del match era dunque nelle mani di Cañizares e Kahn. Gli spagnoli non riuscirono ad approfittare della falsa partenza dei bavaresi e, dopo sette interminabili serie di rigori, Oliver Kahn parò quello decisivo a Mauricio Pellegrino. 5-4 per il Bayern e Cañizares, per la seconda volta nella carriera, non riuscì a scrivere il suo nome nella leggenda.
In nazionale le cose non andarono molto diversamente. È sogno di tutti poter rappresentare la propria nazione e, magari, partecipare agli Europei e ai Mondiali: si può dire che Santiago abbia realizzato questo sogno ma, di nuovo, non riuscì mai a risaltare in maniera indelebile. Nonostante l’indiscutibile talento, quello di Santiago Cañizares con la maglia delle Furie Rosse può essere considerato come un interregno relativamente breve fra quelli di Andoni Zubizarreta e Iker Casillas. Convocato ai mondiali di Francia del 1998, Cañizares non scese mai in campo: la stella di Zubizarreta, alle ultime battute, era ancora troppo potente per il giovane spagnolo. All’Europeo del 2000, pur avendo il numero 1, è relegato in panchina: il ct José Antonio Camacho gli preferì José Molina. L’appuntamento del 2002 in Corea del Sud e Giappone si avvicinava a grandi passi e, finalmente, Camacho scelse lui come titolare, mentre Iker Casillas e Ricardo avrebbero fatto da sostituti. Era l’ora di imbarcarsi verso questa attesissima avventura, ma accadde l’impensabile: mentre si faceva la barba, un flacone di schiuma cadde sul piede, lesionandogli un legamento. Niente Mondiali per lui e fine della sua esperienza da protagonista in nazionale: Iker Casillas divenne il titolare della squadra e Pedro Contreras venne chiamato a fare il terzo. Nel 2006 Santiago Cañizares scese in campo al Mondiale di Germania nell’ultima, non decisiva, partita della fase a gironi. Magrissima consolazione.
Santiago piè veloce
Nel 2008 si conclude la carriera ventennale di Santiago Cañizares. Così come Achille nel paradosso di Zenone, che, per quanto si avvicinasse, non riusciva mai a raggiungere la tartaruga, il portiere spagnolo non ha mai avuto l’occasione di agguantare il successo e la gloria personale, pur essendo stato fra i migliori della sua generazione. La vita dopo il calcio è stata particolarmente triste per lui: un anno fa moriva il piccolo Santiago, uno dei suoi sette figli, a causa di un tumore. Oggi ha accantonato il calcio giocato dalla sua vita e ha iniziato una carriera da pilota di rally nella Comunità Valenciana: chissà se le quattro ruote riusciranno a dargli le soddisfazioni e la gloria che nel calcio ha solo sfiorato.