In Italia inventare notizie per diffondere odio è un merito. Sembra assurdo, ma è così: basta osservare come Gian Marco Saolini, 31 anni, influencer, si atteggi sui social e nelle interviste che rilascia, come se la sua attività e ciò che ne consegue fossero medaglie da appuntarsi al petto. Un esempio? Ecco cosa scrive di lui la testata TPI:
Gian Marco Saolini è il mattatore dei social del momento. In realtà, lo è da parecchio tempo. È lui l’inventore del sito di news satirico Il Corriere del Corsaro, ma anche della pagina Gianni il Malvagio, la pagina fake ispirata al personaggio social di Gianni Morandi.
Questa mitizzazione della deprecabile attività di un banale bufalaro è assurda: come è possibile che su internet e nella vita reale (considerata la popolarità di cui gode e i suoi numerosi fan) si idolatri una persona che è famosa per l’abilità con cui circuisce i creduloni?
Ma qual è il modus operandi del Nostro? La tecnica di Saolini (che, come riporta nella sua pagina Facebook, «sogna un mondo libero da moralisti e buonisti») è semplice quanto furba:
- ricerca sul web di un tema di tendenza, possibilmente controverso;
- trucco e parrucco;
- telecamera in modalità selfie;
- voce impostata;
- diffusione massima sui social;
- ??????
- profitto.
Una volta fatto ciò, l’obiettivo del nostro amico trasformista è raggiunto: il ragazzo ha ottenuto quello che voleva, ha avuto risonanza e like e può andare a letto tranquillo e più famoso. Ma, nel frattempo, ha contribuito in modo determinante alla diffusione dell’odio sociale, delle menzogne, della cultura del sospetto, approfittando dell’ignoranza delle persone in nome di un (presunto) esperimento sociale, ridicola scusa di chi in realtà vive da anni sull’onda dei click facili sulle false notizie: non deve sorprendere che in sua difesa, in seguito a un articolo di Open, sia intervenuto un decano della disinformazione sul web, Luca Donadel, definendolo «un eroe contemporaneo» (sic!). Ciò che Gian Marco Saolini fa, peraltro, potrebbe configurarsi come un reato: l’abuso della credulità popolare, di cui all’articolo 661 del codice penale.
Ma come giustifica Saolini la sua mirabile attività? Sempre nella sua intervista a TPI [che in realtà sembra più un’operazione di autopromozione, N.d.R.], egli afferma, riguardo la sua passione, di essere un comico satirico:
«Parlo di satira perché è quello che faccio. […] Sarà irriverente, sarà insolente, sarà anticonvenzionale. […] So di non essere omologato, so di essere visto come un nemico della satira dai maestri e dai campioni di quest’arte perché a loro avviso ne inquino il buon nome. Tuttavia, ciò non mi interessa, perché la satira secondo me deve innanzitutto far ridere chi la fa. Io detesto i comici, non mi fanno ridere i loro spettacoli in cui ti devono far ridere per forza. La risata me la deve suscitare una reazione a un contenuto inaspettato e soprattutto non scontato».
Ecco, la comicità, la satira, elementi di cui Saolini dichiara di essere patito, elementi che evidentemente non gli competono. La satira si presuppone che sia evidente, che sia rivolta contro i potenti – mentre lui si accanisce sulle masse ignoranti – e che faccia riflettere chi la ascolta (e possibilmente chi ne è bersaglio), la comicità si presume faccia ridere. I suoi video più diffusi (a onor del vero, alcuni dei suoi contenuti sono effettivamente, almeno nelle intenzioni, comici) non solo non fanno né ridere, né riflettere, ma altro non fanno che avvelenare i pozzi di un Paese già devastato dall’attività virulenta e aggressiva di chi oggi lo governa. Personaggi del genere sarebbero da emarginare e stigmatizzare, non certo da intervistare e rendere celebri: la notorietà è tutto ciò che desidera questo genere di individui, malcelando goffamente l’egomania dietro falsi obiettivi di comicità e indagine sociale. Per fortuna, qualcuno se ne è accorto.
Chi vive (volente o nolente) diffondendo odio non è in alcun modo migliore di chi oggi governa grazie a questa deprecabile attività. In nessun modo.
Non mentiamo a noi stessi.