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Gli indifferenti: sul declino morale della società italiana

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Alfonsa Laonigro

Gli indifferenti è un romanzo concreto, crudele, catartico. Nel 1929 il giovane Alberto Moravia firma il suo esordio da romanziere con quest’opera controversa e di difficile accettazione, specie per il suo ceto di appartenenza: una classe borghese indolente, impoverita tanto nel patrimonio quanto nei valori, che assiste passivamente all’ascesa del regime fascista. Moravia affermò, in seguito, che quel romanzo era stato «un modo per farmi rendere conto di questa mia condizione»; la condizione di borghese, appunto, che egli analizza con sguardo attento, distaccato, quasi chirurgico. In effetti, come spesso accade, si era creata una frattura tra autore e società, dovuta alla riflessione critica sulla miseria dell’esistenza e su come affrancarsene, ammesso che fosse possibile.

La prima edizione de Gli indifferenti (Alpes, 1929).

Moravia tratteggia un universo borghese estremamente realistico: la sua prosa asciutta, tagliente, quasi minimalista dipinge con rapide pennellate i caratteri di corruzione e vacuità della borghesia del tempo. Gli indifferenti sono i cinque protagonisti del romanzo: Maria Grazia Ardengo, vedova attempata, incapace di arrendersi al proprio declino morale e materiale; i suoi figli, Carla e Michele; l’amante Leo, cinico e spregiudicato affarista; e l’amica Lisa, coetanea e a tratti rivale. La critica li ha definiti personaggi «stantii e polverosi», specie in riferimento alle loro controparti cinematografiche. Il romanzo vanta infatti un’omonima riduzione per il grande schermo a firma di Francesco Maselli (1964) che segna una tappa decisiva nell’ascesa di Claudia Cardinale. La giovane attrice, già nota per i suoi ruoli in Un maledetto imbroglio e La ragazza con la valigia, accetta il ruolo di Carla dopo aver concesso, nel 1962, un’intervista allo stesso Moravia, poi pubblicata col titolo The Next Goddess of Love (La dea dell’amore, 1963). Un incontro che, a posteriori, può definirsi a dir poco prolifico. Ad affiancare la Cardinale c’è, nel ruolo di Leo, l’attore statunitense Rod Steiger, che in seguito si distinguerà per i ruoli di protagonista in Giù la testa di Sergio Leone e Mussolini ultimo atto di Carlo Lizzani.

Il tema portante del romanzo, si è detto, è l’indifferenza: una zavorra pesantissima, che trascina tutti, indistintamente, verso il basso, rendendo donne e uomini sempre più abietti e incapaci di reagire. L’indifferenza sembra avvolgere come un’oscura cappa di nebbia villa Ardengo. Non a caso, il regista Maselli volle girare il film con pochissima luce, quasi in sottoesposizione; tanto che, negli interni, gli interpreti riuscivano a fatica a orientarsi sulla scena. Un piccolo sacrificio necessario a costruire un’estetica spettrale, quasi funerea, che rendesse alla perfezione il tramonto degli antichi valori, nonché la morte della coscienza, individuale e collettiva. E infatti il romanzo è punteggiato di monologhi interiori: quasi dei lamenti, ultimi sussulti di un’anima in pena, ferita letalmente dalla sua stessa indolenza. Un velo di passività ricopre lo spirito di Carla e Michele, vittime degli eventi, mentre Leo, il personaggio più oscuro della vicenda – non propriamente un antagonista, ché a mancare è proprio un vero protagonista che gli si opponga – si distingue per la sua spregiudicatezza, per il cieco opportunismo che lo rende capace delle peggiori abiezioni pur di ottenere i propri scopi.

Ma a ben guardare, non è il solo: ognuno bada ai propri interessi. Maria Grazia, la vedova, rende la vita impossibile a tutti con le sue scenate di gelosia pur di tenersi stretto Leo, suo amante di gioventù; e non per sincero sentimento, ma per puro senso del possesso. Inoltre, tenta di organizzare un matrimonio d’interesse per Carla pur di salvare la lussuosa, ma decadente, villa in cui hanno sempre vissuto e, in generale, per mantenere il tenore di vita della famiglia. Michele, pur non avendo interessi diretti, non contrasta in alcun modo lo scorrere degli eventi. Lisa, coetanea e amica di Maria Grazia, cerca disperatamente di sedurre Michele, al cui amore punta solo per sentirsi di nuovo giovane, pura, innocente. Quanto a Leo, non si fa scrupolo a ingannare la vedova insidiandone proprio la figlia, Carla, che pure aveva visto crescere. E Carla, di conseguenza, si lascia alle spalle l’amore filiale e il rispetto verso la madre – e verso sé stessa – che le scivolano di dosso come una veste da camera dinanzi al letto dell’amante. Una scelta che la giovane prende certo a malincuore, e che trova ragione nel suo disperato bisogno di cambiare vita, di uscire dalla spirale di insoddisfazione e di noia che la avvolge: ella infatti coltiva l’illusione che diventare l’amante di Leo possa aprirle nuovi orizzonti e nuove possibilità. Nell’insieme, tutti costoro formano un gruppo di caratteristi disperati che ricorda molto da vicino i Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Non a caso, l’autore siciliano è citato nella prima scena del romanzo; ma il suo pensiero e il suo stile appaiono in filigrana in tutta l’opera di Moravia.

Claudia Cardinale e Rod Steiger ne Gli indifferenti (Maselli, 1964).

Se il disagio esistenziale dei protagonisti è lo stesso, diverso si configura il modo di reagire. Carla, a più riprese, sembra doversi contenere per non esplodere in qualche scoppio d’indignazione – e non sempre vi riesce; Michele, per converso, è diventato indolente e passivo al punto da doversi forzare per reagire a un’offesa o per compiere azioni degne di nota. La sua abulia è completa e totalizzante: più volte egli cercherà di pungolare il proprio animo per spingerlo a tornare reattivo, pulsante, pieno di passione e insomma degno d’un vero uomo, ma senza esito. Carla, dal canto suo, si ritrova in bilico tra vizio e virtù: cerca di barcamenarsi tra il suo dovere di figlia devota e fanciulla perbene e il desiderio di cedere infine alla lascivia di Leo pur di avere un’opportunità di riscatto. Il suo dissidio interiore è reso magistralmente in uno dei passaggi più tesi del romanzo, quando la ragazza rivolge un cenno di saluto agli ambienti e agli oggetti della sua vita quotidiana, quasi volesse lasciarseli alle spalle e tuttavia senza riuscire a separarsene, come l’Eveline di Gente di Dublino; ma Carla prenderà una decisione ben diversa da quella dell’eroina di James Joyce.

Altra citazione nascosta tra le pagine del romanzo è a Giro di vite di Henry James. Lisa sorprende infatti Carla e Leo in intimità da dietro una pesante tenda da salotto, trovandosi proprio nello stesso punto in cui i due novelli amanti si erano poc’anzi rifugiati: una scena molto simile a quella in cui, nel romanzo di James, l’istitutrice si pone dietro la finestra ove poco prima si trovava Mr. Quint. Ancora, in uno dei passaggi cruciali del romanzo, Carla sembra recitare tra sé e sé una sorta di addio alla sua vecchia vita, alle cose che furono: «Addio strade, quartiere deserto percorso dalla pioggia come da un esercito […]; addio quartiere alto e ricco». Uno straziante sussurro interiore che riecheggia il celeberrimo «Addio monti» di una nostalgica Lucia ne I promessi sposi. Questi riferimenti letterari punteggiano il romanzo conferendogli un valore aggiunto e impreziosendo la prosa asciutta – ma mai banale – dell’autore.

Moravia compie la scelta deliberata di usare un lessico semplice ma inserito in una sintassi elaborata e sempre puntuale. La sua cifra stilistica, inoltre, è arricchita da elementi simbolici ricorrenti: in particolare, è l’elemento della pioggia a ricorrere più spesso degli altri. Probabilmente è un’allusione al potere catartico dell’acqua, che cade sui corpi e sulle anime dei peccatori, quasi che uno scroscio di pioggia costituisca l’unico possibile sollievo, illusorio e immeritato. Ma lo spirito di questi peccatori è così corrotto da non consentire un’effettiva redenzione: la pioggia, qui, non è altro che un pallido tentativo di riscatto, di ritorno a una presunta innocenza originaria, ormai irrimediabilmente perduta. Non a caso, smette di piovere non appena Carla decide di sposare Leo: a significare che l’Età dell’innocenza, per citare un bel romanzo di Edith Wharton, è soltanto un ricordo.

Alberto Moravia (1907-1990).

Gli indifferenti è un romanzo da cui si esce con un senso di sconfitta, ma è un’opera quanto mai necessaria. Da un lato, per lo sviluppo caratteriale dell’individuo; dall’altro, per una riflessione più ampia sul concetto stesso di “crisi dei valori”, prima ancora che sull’epoca in cui si vive. I personaggi di Moravia a tratti sembrano burattini, mossi da fili invisibili retti da forze oscure: il loro contesto, si è detto, è quello dell’Italia del primo fascismo, tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta. Gli storici non mancano mai di ricordare che, oltre alle condizioni storico-economiche del tempo, a consentire l’ascesa di Mussolini era stata la psicologia delle masse, che sfocerà in una vera e propria ideologia, come dimostra lo psicoanalista austriaco Wilhelm Reich in una delle sue opere più note. Disorientato, frastornato, privo di una sicura guida morale, il popolo italiano accolse come un messia chi l’avrebbe condotto alla guerra e alla miseria. È forse questa la ragione fondamentale per cui Gli indifferenti, affresco a tinte fosche di una delle più profonde crisi morali dell’Italia, può spingerci a riflettere sulle conseguenze dell’abulia e portare il lettore a rendersi protagonista della propria vita, come uomo e come cittadino.

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Alfonsa Laonigro

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