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A nord del Circolo Polare Artico: oltre al ghiaccio c’è di più

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Carlo Paganessi

La regione dell’Artide viene vista dalla maggior parte dell’opinione pubblica internazionale come res nullius: un’area occupata da una calotta di ghiaccio e con limitate possibilità di navigazione. Per millenni la sua unica antropizzazione è stata affidata quasi esclusivamente ai nativi americani, con le nazioni Inuit e Yupik che si sono insediate rispettivamente nell’est e nell’ovest della regione artica del continente americano. Successivamente e in altri luoghi, le tribù della Siberia e i Sami si sono spinti oltre il circolo polare artico, cercando di adattarsi a un ambiente sicuramente ostile e inadatto alla sopravvivenza attraverso l’allevamento degli animali. Più tardi arriveranno da sud le popolazioni germaniche nell’area scandinava, islandese e in Groenlandia, mentre la Russia lancerà la corsa a est che la porterà, nel corso dei secoli, a colonizzare la Siberia e ad occupare anche le terre a nord del circolo polare artico. Nelle Americhe, inglesi e francesi colonizzeranno l’odierno Canada. Il quadro storico-politico si completa con la cessione dell’Alaska da Mosca a Washington nel 1867, chiudendo così il cerchio attuale degli Stati rivieraschi dell’Artico.

Con il progresso e la modifica delle condizioni ambientali, tuttavia, nuove risorse e nuovi elementi sono venuti alla luce a nord del circolo polare artico: l’estrazione mineraria, il turismo (in particolar modo quello naturalistico) e le nuove possibilità di navigazione dovute al riscaldamento globale e alla conseguente erosione della calotta artica. Da un secolo a questa parte l’Artide non è più hic sunt leones, ma diventa oggetto di esplorazione e di sfruttamento economico: tra il 1937 e il 1994 oltre ottanta spedizioni si susseguono con scopi scientifici e di ricerca economica. A farla da padrone è lo sfruttamento degli idrocarburi (gas e petrolio), insieme all’estrazione di minerali e alla pesca. Durante la Guerra fredda l’Artide diventa terreno di scontro tra i due blocchi: gli Stati Uniti e l’URSS ideano armi apposite per fronteggiarsi su questo terreno di scontro, senza contare che la traiettoria più breve di sorvolo tra Russia e Americhe dei temuti missili ICBM (Intercontinental Ballistic Missile) passava proprio sopra il polo nord.

Poiché l’Artico è un braccio di mare coperto di ghiaccio, la disciplina in merito allo sfruttamento e alla sovranità su quest’ultimo spetta alla United Nations Conference on the Law Of the Sea (UNCLOS, anche conosciuta come Convenzione di Montego Bay, del 1982). Tale trattato disciplina l’esistenza delle cosiddette ZEE (zone economiche esclusive), che si estendono per duecento miglia marine a partire dalla costa dei Paesi rivieraschi, salvo diversi accordi tra gli stessi. In alcuni casi, tuttavia, tali zone vengono necessariamente a sovrapporsi, creando disaccordi come quello tra Norvegia e Russia. Per tale motivo e per la natura delle rivendicazioni, ai Paesi interessati Montego Bay sta stretta. Le scuole di pensiero alternative in merito sono due: una, che venne portata avanti da Canada e Stati Uniti, è legata ai settori che partono dal confine e creano un triangolo con il polo come vertice e il circolo polare artico come base ideale. La seconda è quella della piattaforma continentale. Tale dottrina venne a più riprese criticata da più parti e diede luogo solo a trattati piuttosto restrittivi (come il trattato delle Svalbard, firmato a Parigi nel 1920).

Secondo questa teoria, inoltre, la zona economica esclusiva si inizierebbe a calcolare a partire dal limite delle rocce geomorfologicamente simili a quelle presenti sulla terraferma: tale criterio è stato scelto perché la linea di costa non è sempre stabile ma si modifica nel corso del tempo e con l’innalzamento del livello dei mari. Pure questo sistema, maggiormente accettato al giorno d’oggi, è stato criticato per i criteri di definizione geologica. Anche per questa disciplina, infatti, il confine tra la fine di un tipo di roccia e l’inizio di un altro può non essere nettissimo.

Al momento, i Paesi rivieraschi si basano principalmente su trattati bilaterali, come quello tra Russia e Norvegia: dopo la spedizione russa del 2007, che piantò una bandierina sul fondale della dorsale di Lomosonov (che la Danimarca, al contrario, considera essere parte della Groenlandia), Oslo negoziò con Mosca il Trattato sulla Cooperazione e la Delimitazione Marittima nel Mare di Barents, poi siglato nel 2010. La Norvegia spesso non percepisce le manovre russe oltre il circolo polare artico come una rinata volontà imperialista di Mosca ma come il riaffiorare di vecchie questioni (ad esempio la definizione della sovranità sulle Svalbard o i confini della penisola di Kola).

La Danimarca, invece, ha manifestato spesso un atteggiamento notevolmente più insofferente rispetto alle ingerenze russe. Data la dominazione sulla Groenlandia, Copenaghen rivendica la sovranità su buona parte del fondale artico, con conseguenze immaginabili sul piano delle relazioni internazionali, ovvero un dossier ancora aperto con Mosca (ma anche con Ottawa) sulla sovranità sia dei fondali che di alcune isole. Altro grattacapo per i danesi sono i rapporti con la Groenlandia, che progressivamente sta cercando di rendersi indipendente, rendendo larga parte delle rivendicazioni di Copenaghen carta straccia.

In tutto questo si inserisce il discorso NATO, con la notevole presenza americana e scandinava in termini di marina di superficie e di sottomarini. L’Artico ospita bombe atomiche, rinchiuse negli ugelli di lancio dei sottomarini classe Poseidon, in grado di lanciare missili SLBM (Sub-Launched Ballistic Missile). Altro dossier aperto riguarda la presenza di missili presso le basi di Kaliningrad e di Murmansk, questione ora inasprita dal ritiro degli Stati Uniti dal trattato INF e che interessa non solo le acque oltre il circolo polare artico ma anche il Mar Baltico e l’intero Nord Europa.

Il futuro dell’Artide vede l’interessamento sempre maggiore da parte della Cina a causa dello scioglimento dei ghiacci, che consentirà l’apertura del passaggio a nordest e una rotta molto più corta per far arrivare le merci in Europa. Altro problema notevole su cui le potenze artiche si dovranno necessariamente concentrare è quello ambientale, considerando che un eventuale scioglimento dei ghiacci porrebbe seriamente in pericolo non solo gli Stati rivieraschi ma anche le vite delle persone che abitano le zone costiere di tutto il mondo: questi Stati dovranno affrontare una questione che è strettamente collegata al cambiamento climatico e che richiede risposte comuni, sempre più difficili da ottenere.

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Carlo Paganessi

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