Sabato 19 gennaio, nel cinquantesimo anniversario della morte di Jan Palach, si sarebbe dovuto tenere a Verona, nel teatro della Congregazione delle Sacre stimmate, un concerto in onore di Jan Palach, promosso dall’associazione Nomos – Terra e identità, il cui presidente è Michele Marai, attivista di Forza Nuova. A dividersi il palco, il giornalista e cantautore ex-militante di terza posizione Gabriele Marconi e tre gruppi appartenenti alla galassia delle formazioni musicali di estrema destra: Topi neri, Hobbit e Compagnia dell’anello. L’evento è stato patrocinato dalla Provincia e dalla giunta comunale di Verona, guidata dal 2017 da Federico Sboarina, sindaco di centrodestra sostenuto dalle liste di Verona più sicura, Forza Italia, Lega Nord, Fratelli di Italia, indipendentisti veneti e Partito dei Pensionati. La notizia è arrivata sino in Cecoslovacchia: il Consiglio degli studenti della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università Carlo IV ha lanciato una petizione chiedendo l’annullamento del concerto e un gruppo di senatori cechi ha condannato fermamente l’evento. In Italia hanno protestato le associazioni antifasciste veronesi e il Partito Democratico. In seguito alle numerose contestazioni il teatro ha deciso di negare i propri spazi, il concerto però, come testimoniano le foto sulla pagina Facebook di Nomos, si è tenuto lo stesso in una località non ben precisata (forse il teatro Movieland a Lasize), registrando il tutto esaurito con 400 presenze.
Se dovessimo tracciare il profilo personale di Palach basando il nostro giudizio sull’appartenenza politica dei sostenitori del concerto in suo onore giungeremmo alla conclusione che questi era un giovane nazionalista di estrema destra con simpatie fasciste. Impressione che non corrisponde minimamente alla verità. A beneficio del lettore, per inquadrare meglio la figura del giovane Palach, di seguito riportiamo alcuni cenni telegrafici sulla sua vita sino al compimento del suo tragico gesto:
Jan Palach nasce l’11 agosto 1948 a Všetaty, una cittadina a circa cinquanta chilometri da Praga, nel distretto di Mělník. Il padre Josef Palach, fin dalla metà degli anni Trenta, dirige una fabbrica di dolci e una pasticceria. La madre Libuše, nata Kostomlatská, è una casalinga. I genitori sono due membri attivi della piccola comunità: entrambi sono iscritti al movimento Sokol e recitano in un gruppo di teatro amatoriale. Josef Palach è membro del Partito Socialista Nazionale; Libuše della Chiesa evangelica. I Palach, Jan e il maggiore Jiří, ricevono un’educazione improntata ai valori di libertà e uguaglianza della Prima Repubblica Cecoslovacca. All’inizio degli anni Cinquanta, i Palach si vedono costretti a chiudere la pasticceria e anche la fabbrica. Josef Palach trova in seguito impiego come operaio presso l’impresa Mlýny a pekárny a Brandýs nad Labem e Libuše comincia a lavorare come banconiera al ristorante – mensa della stazione ferroviaria di Všetaty. Nel 1957 Libuše, in virtù del suo nuovo status di lavoratrice e per permettere ai figli di studiare, aderisce al Partito comunista cecoslovacco. Nel 1962 Josef Palach muore d’infarto. Jiří è ormai adulto, Libuše rimane sola a occuparsi del quattordicenne Jan.
Stando ai ricordi di Miroslav Slach, insegnante di storia alla scuola elementare di Všetaty, Jan Palach è un giovane dai molteplici e variegati interessi: giocatore di scacchi e lettore, è un appassionato di romanzi storici e d’avventura. Gli piace anche lo sport – corre nei dintorni di Všetaty – e frequenta il circolo Sokol locale. Nel settembre del 1963 Jan Palach comincia a frequentare la Střední všeobecně vzdělávací škola, la “Scuola superiore comprensiva”, ovvero il liceo. I professori lo ricordano come uno studente tranquillo e studioso, che eccelleva in storia, geografia, educazione civica e biologia.
Dopo la maturità, sostenuta nel giugno 1966, Palach supera gli esami di ammissione alla Facoltà di lettere e filosofia dell’Università Carolina di Praga, ma non è ammesso a causa dell’elevato numero di candidati. Decide quindi iscriversi al corso di laurea in economia agraria alla Vysoká škola ekonomická di Praga, a cui si applica con profitto, sia nello studio sia nelle attività extra-curriculari. Nonostante non sia il suo campo di studi prediletto, in due anni riesce a sostenere sedici esami e partecipa attivamente alla vita studentesca, contribuendo nel 1968 a fondare il Consiglio accademico degli studenti della sua facoltà. Comincia anche a interessarsi di politica, prendendo parte a numerosi dibattiti e distribuendo ai suoi amici testi battuti a macchina e trascrizioni di discorsi tenuti a congressi degli scrittori, tra cui una lettera di Alexandr Solženicyn e alcuni scritti di Ludvík Vaculík, esponente di punta del corso riformista.
Nel 1968, trascorre la maggior parte dell’estate in viaggio di lavoro in Unione Sovietica, da cui fa ritorno solo il 17 agosto, quattro giorni prima dell’intervento sovietico. Rincasato apprende finalmente che la sua richiesta di passaggio alla Facoltà di lettere e filosofia è stata approvata. A Všetaty, vissuto lo shock dell’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia, con gli amici scrive per le strade slogan contro l’occupazione. Nell’ottobre 1968, tornato da un viaggio in Francia, inizia a frequentare la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università Carolina di Praga dove, tra manifestazioni e occupazioni, matura la convinzione di mettere in pratica un gesto estremo.
Palach in questo periodo considera varie forme di protesta, come ad esempio il proposito, espresso in una lettera inviata al leader studentesco Lubomír Holeček, di occupare la sede centrale della Radio Cecoslovacca per proclamare uno sciopero generale degli studenti, che però non va a buon fine. Abortito il progetto dell’occupazione Palach decide di ricorrere a un atto ancora più radicale.
Il 15 gennaio 1969 si reca a Praga e il 16 gennaio 1969 arriva alla casa dello studente di Spořilov. In stanza scrive una brutta copia e quattro versioni della lettera che sarebbe stata ritrovata sulle scale del Museo Nazionale, firmandosi come «Torcia umana n°1». Le spedisce a Ladislav Žižka, suo compagno di studi della Vysoká škola ekonomická, al leader studentesco della Facoltà di lettere e filosofia Lubomír Holeček e all‘Unione degli scrittori cechi, tenendo per sé l’ultima copia. Verso le 11:00 Palach lascia la casa dello studente e probabilmente imbuca le lettere e una cartolina con un breve saluto indirizzata all’amico Hubert Bystřičan. Tra le 11:00 e le 12:30 acquista due contenitori di plastica e li riempie di benzina in via Opletalova, per poi dirigersi verso la scalinata del Museo Nazionale. Si dà fuoco vicino alla fontana in Piazza San Venceslao.
La destra dipinge Palach come strenuo oppositore del comunismo, ma il gesto di Palach si può davvero ricondurre a un sentimento anti-comunista e anti-sovietico? La risposta è negativa. Sebbene Palach fosse ovviamente contrario all’intervento delle truppe del Patto di Varsavia, il bersaglio specifico della sua protesta non era l’invasione, altrimenti avrebbe potuto attuarlo già in agosto. Secondo Jan Kavan, Ministro degli Esteri ceco dal 1998 al 2002, Palach protestò non contro l’invasione in sé, ma «contro i compromessi e le concessioni del Partito di Dubček e del governo Černík , contro i politici, che alle spalle del popolo avevano iniziato a svendere una dopo l’altra le riforme avviate dopo gennaio […]». La volontà di battersi per obiettivi concreti e realizzabili, che riguardano la gestione Dubček più che l’occupazione sovietica o una fantomatica lotta al comunismo, si evince dalla lettera che Palach lasciò sulle scale del Museo Nazionale:
«In considerazione del fatto che i nostri popoli si sono trovati sull’orlo della disperazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di risvegliare la gente di questo paese…Il nostro gruppo è composto di volontari, che sono decisi a darsi fuoco per la nostra causa. Io qui ho avuto l’onore di estrarre il numero 1 […] e quindi di essere la prima torcia. Le nostre richieste sono:
1. L’immediata abolizione della censura
2. Il divieto di diffondere Zprávy
Se le nostre richieste non verranno esaudite entro cinque giorni, cioè entro il 21 gennaio 1969, e se il popolo non interverrà mostrando un appoggio sufficiente (cioè con uno sciopero a tempo indeterminato), divamperanno altre torce […]».
Volontà che emerge netta anche dalla registrazione di una breve intervista a un Palach in agonia sul letto d’ospedale, trasmessa in Italia dalla trasmissione televisiva Terre Vicine. In viaggio con Enzo Biagi nell’Est, un mondo che cambia. Cecoslovacchia, la rivoluzione di velluto, andata in onda su RAI 1 il 6 aprile 1990.
« – Perché lo hai fatto?
– Ho voluto esprimere il mio dissenso a ciò che sta succedendo e volevo risvegliare la mia gente.
– Ho capito, esprimere il dissenso e risvegliare la gente. E contro che cosa precisamente?
– Bruciarsi…
– Sì, bruciarsi, va bene. Quando e a quali condizioni smetterete?
– Quando sarà abolita la censura.
– E poi:
– Quando ci sarà libertà di informazione.
– Tutti sono interessati a questo. Quello che hai fatto è già abbastanza, si verrà a saperlo in tutto il mondo.
– Non dovremmo essere troppo presuntuosi. non dobbiamo avere un’opinione troppo grande di noi… L’uomo deve lottare contro quei mali che può affrontare con le sue forze» [in corsivo nel testo le risposte di Jan Palach].
Inoltre, un altro fattore fondamentale che chi vorrebbe Jan Palach bandiera dell’anti-comunismo sembra non considerare, è che Jan si diede fuoco proprio perché il percorso di rinnovamento del “nuovo corso” stava lentamente giungendo al termine, ma i riformatori che facevano capo a Dubček, per difendere le cui riforme è morto, altri non erano che comunisti. La rappresentazione di Jan Palach come oppositore del comunismo, quindi, non ha senso, in quanto egli avversava sì il socialismo sovietico, o meglio gli effetti del socialismo sovietico nel suo paese, ma solo perché questo era degenerato in regime, appoggiando contemporaneamente il PCC e il suo “socialismo dal volto umano”.
Anche dalle parole del fratello si evince come Palach non criticasse né l’idea di socialismo in quanto tale, né provasse sentimenti di odio verso i russi. Ciò che lo lasciava dubbioso, come del resto lasciava dubbioso Dubček, erano le degenerazioni specifiche del sistema sovietico:
«Grazie al fatto che aveva studiato russo a scuola ed era stato due volte in brigata da loro, parlava perfettamente la lingua russa e quindi con loro poteva discutere. È soltanto una delle esperienze, ma a lui i russi piacevano. Diceva che molti sarebbero rimasti sorpresi di come gli uomini russi fossero simpatici; si era fatto molti amici in quel paese, ma aggiungeva: ‘è folle vedere come lo Stato, il potere statale li tiene in pugno’ e questo non riusciva a capirlo» [in corsivo nel testo].
Dunque, il ritratto che emerge dalla sua biografia e dalle testimonianze è quello di un ragazzo studioso, vitale e amante della libertà, di un idealismo ferreo. Non vi è nessun elemento che faccia pensare che Palach abbia mai condiviso ideali politici di destra, anzi.
Per concludere, facciamo nostre le parole di Rocco Giovanni Dibiase, a corredo di un’intervista al fratello maggiore Jiří Palach, contenuta in Alexander Dubček e Jan Palach protagonisti della storia europea (a cura di Francesco Leoncini, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009):
«Traspare evidente nel corso dell’intervista come i sentimenti che hanno ispirato e guidato, non solamente l’ultimo tragico gesto, ma l’impegno civile e quotidiano del giovane studente Jan Palach, non siano stati mediati dall’adesione a una particolare dottrina o ideologia politica, né appaiano da ispirazioni di carattere nazionalistico o dall’acredine nei confronti di una parte politica, quella comunista (se non nella degenerazione del regime), o di un popolo (sovietico) visto come egemone e oppressore. […] Lui e Jan avevano invece ben compreso chi fosse Dubček e cosa rappresentasse: erano entusiasti di ciò che si prospettava dal punto di vista politico nel Paese. Il ricadere […] nel passato non era stata cosa facile e Jan era rimasto veramente colpito nel vedere tanti uomini […] piombati poi nella rassegnazione».
Palach era un idealista che credeva appassionatamente nei diritti civili, nei valori democratici e nell’innato diritto alla libertà degli uomini. Per questo, e solo per questo, si è immolato. Il fatto che a Verona la destra estrema, sostenuta da certa stampa come il Giornale, abbia tentato di usarlo come santino, attribuendogli una sensibilità politica anti-comunista, o comunque di destra, è una grave operazione revisionista e mistificatoria, priva di qualsiasi fondamento storico.
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