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Alita e l’immaginario cyberpunk tra cinema e fumetto

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Andrea Damiano

Il concetto di cyberpunk nasce come sottogenere della corrente letteraria fantascientifica nella prima metà degli anni Ottanta e, come suggerisce il nome, deriva dai termini “cibernetica” e “punk”: le opere che ricadono in questa categoria non si limitano infatti a presentare mondi futuristici, tecnologie avanzate e corpi robotici, ma sono condite da atmosfere underground, temi fortemente sociali e moti di ribellione nei confronti del potere oppressivo, fino a toccare concetti come l’alienazione dell’uomo nel virtuale e la definizione stessa di identità. Il fenomeno cyberpunk raggiunge però la sua massima diffusione con opere cinematografiche e fumettistiche che adattano, reinventano ed espandono le tematiche citate inserendole nei contesti delle culture e visioni personali a cui appartengono: Alita ne è uno dei maggiori e più noti casi, tanto che ne è stato prodotto un film a distanza di trent’anni dall’esordio fumettistico.

Alita – Angelo della battaglia (Battle Angel Alita) racconta la storia di una cyborg, Alita (Rosa Salazar), trovata distrutta e senza memoria nella discarica della Città di Ferro dal Dottor Ido (Christoph Waltz), che la ricostruisce donandole un corpo in grado di combattere e affrontare criminali e cacciatori di taglie, in un mondo post bellico in cui l’unica zona apparentemente idilliaca è la fluttuante e inaccessibile città di Zalem. La volontà di adattare il celebre manga di Yukito Kishiro, la cui pubblicazione è iniziata nel 1990, risale ai primi anni Duemila. James Cameron, che rimase affascinato dall’opera, sarebbe dovuto esserne originariamente il regista ma, causa continui slittamenti per altri progetti, tra cui Avatar, il destino del film sembrava dover rimanere nel limbo. Nel 2015 viene però annunciato il passaggio alla regia di Robert Rodriguez, mentre Cameron rimane in veste di sceneggiatore e produttore. Rispetto alla fonte cartacea, la pellicola attua diversi cambiamenti, a causa della necessità di accorciare eventi di trama, risultando a volte in avvenimenti eccessivamente sbrigativi e in un montaggio poco armonioso e mal ritmato. Tuttavia, nonostante qualche imprecisione e la scelta di dare troppo spazio ad una love story adolescenziale, le principali tematiche del fumetto vengono rispettate: la divisione sociale tra gli abitanti della città discarica e quelli di Zalem, il paradiso promesso a cui tutti aspirano e per il cui raggiungimento tutto farebbero, ma anche la sostituzione di parti del corpo con armi e strumenti cibernetici, capaci di rendere gli esseri umani simili a mostri. Seppur la violenza esplicita presente nell’opera originale sia molto edulcorata nell’adattamento, la regia dinamica e chiara di Rodriguez e la possibilità di mostrare smembramenti di cyborg senza la presenza di sangue danno all’azione del film un tono più “maturo” rispetto a molti blockbuster recenti.

Rosa Salazar interpreta Alita utilizzando la tecnica del motion capture. La faccia della protagonista realizzata in CGI rimanda allo stile del manga originale.

Al netto di pregi e difetti, la trasposizione americana di Alita propone uno sguardo alla commistione tra le due principali culture produttrici di opere cyberpunk, l’America e il Giappone. La produzione fumettistica nipponica ha creato infatti, oltre alla già citata saga di Kishiro, decine di mondi e storie che hanno dialogato con l’Occidente influenzandosi e lasciandosi influenzare a vicenda a partire dai primi anni Ottanta. Queste opere hanno generato un vero e proprio gioco di rimandi a situazioni, prospettive tecnologiche e futuri possibili e hanno formato un immaginario collettivo vivido e riconoscibile attorno a questo genere di fantascienza che ormai racchiude e coinvolge, anche se in alcuni casi solo in parte, un numero non indifferente delle produzioni attuali.

Tra gli esponenti più importanti del cyberpunk giapponese c’è Akira di Katsuhiro Ōtomo, manga e film animato che raccontano temi come l’isolamento sociale, la corruzione del potere e la desolazione post-apocalittica nella Neo Tokyo del 2020. Ghost in the Shell di Masamune Shirow, il cui manga ha scaturito un enorme successo multimediale sotto forma di film animati, diretti dal maestro Mamoru Oshii, serie anime, videogiochi e un film americano in live action (simile, per intenti e rapporto con l’opera originale, al più recente Alita), affronta invece temi come l’intelligenza artificiale, la coscienza e il concetto stesso di umanità. Nonostante gran parte della produzione cyberpunk giapponese abbia radici nei fumetti e nell’animazione, alcuni registi hanno elaborato a modo loro questo tema: Shin’ya Tsukamoto con Tetsuo: The Iron Man e i sue due seguiti esalta il rapporto tra uomo e macchina mettendo in scena un vero e proprio “tecnofeticismo” che porterà il protagonista a fondersi progressivamente con il metallo, in un’atmosfera grottesca e disturbante più vicina a Cronenberg e Lynch che alle opere nipponiche più celebri. Sogo Ishii, con la sua produzione di corti e mediometraggi, esalta invece la caratteristica punk, a partire dalle colonne sonore industrial noise punk e dagli ambienti underground, come nel film Electric Dragon 80.000 V, vero e proprio atto di follia messa in scena a metà tra una pellicola di supereroi e cinema dell’assurdo.

L’approccio del cinema occidentale, in particolar modo quello americano, al cyberpunk segue diverse correnti e registi, comprendendo talmente tanti aspetti della fantascienza da arrivare a inglobare molte opere che contengano anche solo un aspetto tra quelli citati in precedenza. Uno dei principali nomi è sicuramente quello di David Cronenberg che, con film come Videodrome e eXistenZ, esplora il concetto di body horror, mutazione del corpo e contaminazione della carne, applicati al rapporto dell’uomo con la tecnologia e con la realtà virtuale. Tra gli altri grandi registi che si sono approcciati anche parzialmente al genere bisogna nominare John Carpenter (1997: Fuga da New York), James Cameron (Terminator), Paul Verhoeven (RoboCop) e, soprattutto, Ridley Scott, che con Blade Runner ha anticipato e contribuito a formare un immaginario estetico di fantascienza su cui si sono basate gran parte delle opere cyberpunk.

Fondamentale è Matrix delle sorelle Wachowski, film ponte tra due millenni che si ispira a temi come l’intelligenza artificiale e il concetto di matrice, attingendo a piene mani dall’animazione giapponese anche per quanto riguarda la rappresentazione delle scene d’azione e l’uso degli innovativi effetti speciali. Per quanto riguarda l’Italia, i principali approcci a questo sottogenere vengono dal mondo del fumetto, in particolar modo nei personaggi di Ranxerox, fortemente anticipatore nelle tematiche e nelle ambientazioni, e Nathan Never, personaggio bonelliano ispirato al Deckard protagonista di Blade Runner e in generale a molte opere filmiche e non arrivate in Italia nel corso degli anni Ottanta. Caso particolare è il film Nirvana di Gabriele Salvatores, probabilmente il più grande successo italiano di fantascienza, caratterizzato da una trama e delle atmosfere in pieno stile cyberpunk: ha elementi derivati da Tron e Strange Days (altri film statunitensi molto importanti per il filone) e anticipa per certi versi Matrix, mostrandosi come una delle poche produzioni italiane capaci di inserirsi nel contesto e nel contemporaneo cinematografico senza bisogno di autoreferenzialità e campanilismo.

Blade Runner di Ridley Scott è ispirato al romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep? di Philip K. Dick, uno dei padri della fantascienza moderna, anticipatore del cyberpunk.

L’esperienza del cyberpunk è, come dimostra il recente adattamento di Alita, tutt’altro che finita: grandi registi contemporanei e case di produzione miliardarie continuano ad attingere alle fonti di ormai quaranta anni fa per raccontare il presente e il timore per il futuro, immutato nonostante ci sia stato ben più di un ricambio generazionale. Le idee di mondo apocalittico, di controllo dall’alto, di lotte sociali e disuguaglianza non sono scomparse dai racconti di oggi; la discussione sull’intelligenza artificiale e sulla coscienza di una macchina è invece passata dalla paura di una ribellione (Terminator, Io, Robot) all’indagare i possibili rapporti con la tecnologia, sempre più presente nella nostra vita, fino ad arrivare alla malinconia del romanticismo e della speranza di riconoscere in un possibile partner virtuale un’anima umana (Her, Ex Machina). Se questi temi sono avanzati, come anche le nostre scoperte e invenzioni, è anche grazie agli autori di opere cyberpunk, che, con fare da futuristi, ragionano sui possibili sviluppi della società, applicando variabili politiche ed economiche o esprimendo proprie osservazioni sul senso della vita e dell’identità.

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Andrea Damiano

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