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Basket e università negli USA: luci e ombre

Published by
Marco Baccega

Cos’hanno in comune la finale del campionato di football americano – il Super Bowl – e una partita di basket tra ragazzi tra i diciotto e ventidue anni che si è svolta qualche settimana fa? Il costo del biglietto per vedere la partita dal vivo in entrambi i casi era di almeno 2800 dollari. Il college basketball è da sempre un business molto promettente: nasconde però scandali economici e di corruzione molto importanti, che sembrano essere sempre più frequenti, soprattutto perché anche l’importanza economica di questi eventi sportivi sta crescendo anno dopo anno.

Basket NCAA: le basi

Prima di iniziare, è necessario fare un passo indietro per capire come funziona il sistema sportivo universitario statunitense, completamente diverso da quanto si possa trovare in Italia o, in generale, in Europa. L’associazione sportiva più importante a livello universitario si chiama NCAA (National Collegiate Athletic Association, tradotto in Associazione Nazionale Atletica Universitaria) e gestisce competizioni per 1268 università, principalmente negli USA ma anche in Canada. L’NCAA non si occupa solo di basket: organizza infatti annualmente circa novanta tornei (maschili e femminili) di svariati sport, dai più seguiti, come pallavolo, football americano e lacrosse, a quelli meno popolari, come scherma, pallanuoto e sci. Nonostante sia ufficialmente un’associazione senza scopo di lucro, nell’anno fiscale 2016-2017 l’NCAA ha fatturato circa un miliardo di dollari, la maggior parte dei quali (l’82%) provenienti appunto dalla Men Division I (la serie maschile più alta) di basket.

La March Madness NCAA, ovvero l’ultima fase del torneo che si gioca a marzo, con partite in campo neutro ad eliminazione diretta. Foto: Rob Carr/Getty Images.

Lo scandalo

Tutti questi soldi, però, non vengono minimamente intascati dai protagonisti di questa lega, gli studenti – atleti che, per regolamento, non possono essere pagati se non con borse di studio dell’università, che coprono “solo” retta, vitto e alloggio nel campus. Gli introiti ricavati dalla vendita di diritti televisivi, biglietti e pubblicità vengono divisi interamente tra università e NCAA. Ovviamente, con questa premessa è facile capire perché le università lottino ogni anno per reclutare i migliori prospetti (cioè i giovani talenti) delle high school, ragazzi che, oltre a dare una più concreta possibilità di vincere il titolo, possono portare alle istituzioni accademiche tanto oro quanto pesano. D’altra parte, un’altra regola NCAA prevede che le università, oltre a non poter pagare i giocatori, non possano neanche “corrompere” le famiglie o influenzare la scelta dei giocatori offrendo compensi economici o in termini di “favori”, come lavoro per i genitori o proprietà immobiliari. La scelta dei giocatori deve essere quindi basata solamente sull’offerta accademico-sportiva delle università che possono offrire migliori carriere accademiche (che sono più importanti per quei ragazzi che non sono dei prospetti tali da costruirsi in futuro una carriera agonistica), migliori centri sportivi o migliori progetti sportivi per poter arrivare al titolo NCAA.

Nel settembre del 2017, tuttavia, un’indagine condotta dall’FBI ha messo in luce fatti che si sospettavano accadere già in passato ma che non erano ancora stati provati. Il 27 settembre, infatti, dieci persone, tra cui assistenti allenatori di importanti università e un quadro Adidas, sono state arrestate per frode, corruzione e riciclaggio di denaro sporco. L’indagine ha dimostrato come molte università fossero in combutta con Adidas per cercare di convincere giovani atleti a scegliere il loro istituto in cambio di denaro, sia direttamente pagato che tramite promesse di future sponsorizzazioni da parte della marca di abbigliamento. L’indagine è poi continuata ed è ancora in corso, esponendo importanti università (come quelle di Arizona e Kentucky, tra le migliori a livello di basket universitario) e la Elite Youth Basketball League, una lega sponsorizzata da Nike.

Le prime quattro università indagate nello scandalo NCAA. Foto: CNBC.

Opinioni contrastanti

Questo scandalo ha riaperto la discussione sulla possibilità di pagare i giocatori universitari, in modo da evitare che la corruzione si insinui ancor più nel mondo scolastico. Molte persone non sono favorevoli a un salario per i giocatori per due principali motivi. Il primo è che l’accesso a grandi somme di denaro in un’età delicata come quella intorno ai vent’anni potrebbe distrarre gli atleti esponendoli a lussi e sballi che ne influenzerebbero non solo le carriere sportive ma anche la vita in generale. Il secondo punto è relativo al fatto che, essendo questi giocatori non professionisti, l’intensità portata in campo è data principalmente da una grande passione per lo sport, che rischierebbe di essere rovinata da motivi venali.

Chi segue, seppur solo superficialmente, il basket d’oltreoceano sa infatti che anche il concetto di tifoseria è molto differente da quello europeo: nella maggior parte dei casi, infatti, in NBA non c’è un vero e proprio attaccamento alla maglia o alla squadra di città e le tifoserie sono molto neutrali, al netto di alcune piazze (ad esempio Boston) dove il clima che si respira è più caldo. Tutt’altra storia è invece il basket universitario, dove i palazzetti sono sempre stracolmi di studenti dell’università e di fan appassionati e dove la tifoseria è molto più intensa, anche e soprattutto grazie al senso di appartenenza che i giocatori hanno verso la loro squadra e la loro università e che viene riportato in campo con prestazioni generose e intense, difficilmente riscontrabili tra i professionisti.

D’altro canto, la mancanza di una retribuzione economica vera per i giocatori rimane un problema per altri motivi: innanzitutto è impensabile che tutti i giocatori NCAA facciano il salto a professionisti dopo aver finito la loro carriera universitaria. Per questi atleti, l’essere parte di una squadra di alto livello richiede sacrifici personali (sia a livello fisico che a livello di tempo) che non vengono poi ripagati con un lavoro futuro. Inoltre, anche per i giocatori più promettenti, un infortunio può stroncare i sogni di professionismo e può portare perfino alla revoca della borsa di studio, lasciando abbandonati a sé stessi giocatori che tanto avevano investito nella loro squadra. Anche valutando il solo aspetto di giustizia economica, uno studio ha calcolato che se i giocatori di Division I ricevessero la stessa percentuale sugli introiti della squadra della loro controparte professionista in NBA sarebbero pagati, in media, 260.000 dollari all’anno, con punte fino a un milione di dollari per i college più prestigiosi come la Duke University o l’università del Kentucky.

L’infortunio di Zion Williamson e la sua scarpa Nike divelta. Foto: Streeter Lecka/Getty Images.

Per ribadire l’importanza economica di alcuni di questi giocatori, si può tornare alla partita citata all’inizio dell’articolo, tra Duke e North Carolina. L’hype intorno a questo incontro era principalmente dovuto a due fattori: la grande rivalità tra le due università, che sono sempre tra le più quotate per la vittoria finale, e il fatto che per la Duke giochino due dei prospetti migliori di quest’anno, R.J. Barrett e, soprattutto, Zion Williamson. Quest’ultimo, infatti, oltre a giocare un basket di ottima qualità, è famoso per la sua strapotenza fisica che lo porta a essere dominante e spettacolare in entrambi i lati del campo. Sfortunatamente per gli spettatori che avevano pagato cifre altissime per assistere alla partita, dopo soli trenta secondi Williamson si è infortunato a causa della sua scarpa Nike, che è esplosa facendolo scivolare e provocandogli una distorsione al ginocchio. Nike ha subito aperto un’inchiesta interna per capire meglio le cause del problema ma, nello stesso giorno, il valore del suo titolo in borsa ha perso circa un punto percentuale, probabilmente a causa della cattiva pubblicità data dall’evento. Allo stesso tempo Williamson, da tutti pronosticato come la prima scelta al prossimo Draft NBA, potrebbe perdere fino a otto milioni di dollari se l’infortunio dovesse influire sulla scelta della sua posizione al Draft.

È chiaro quindi che una soluzione che accontenti tutte le parti in gioco è difficile da trovare. Da un lato la lega NCAA non è assolutamente interessata a lasciare che i profitti generati vengano ripartiti con quella che, al momento, è manodopera a bassissimo costo (se non nullo). Dall’altro lato vengono fornite svariate possibili soluzioni: da chi propone un rimborso relativamente modesto ma uguale per tutti i giocatori di tutte le università, a chi propone di creare leghe alternative in cui gli atleti possano crescere a livello cestistico senza rinunciare a essere pagati. Quello che è sicuro è che la situazione dovrà cambiare in futuro se l’NCAA vorrà mantenere il suo status (sia nel basket che negli altri sport), ma anche che il cambiamento sarà probabilmente lento, visto che riformare l’economia di un’associazione di questa grandezza non è sicuramente cosa da poco. E visto che per questa stagione non ci saranno modifiche, rimane solo una cosa da fare: mettersi comodi e godersi, anche quest’anno, un’agguerrita March Madness.

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