Da quando è in carica l’attuale governo, è davanti agli occhi di tutti la brutta piega che ha preso il dibattito politico in Italia. I temi principali che l’esecutivo dovrebbe affrontare, come la povertà, il lavoro e la redistribuzione della ricchezza, vengono adombrati da altri argomenti forse inappropriati. Argomenti di cui l’italiano medio conosce poco o nulla, essendo talmente lontani dalla sua realtà da non aver mai generato il minimo interesse. Eppure, è proprio questo aspetto ad aver fatto breccia nel cuore degli italiani. La sensibilità di certi temi aumenta se si vuole stimolare una reazione nei confronti di qualcun altro, in questo caso di un’altra nazione. Questo è ciò che è successo con la Francia, e i responsabili di quest’ondata di livore e rancore verso i francesi sono i due partiti che adesso governano il Paese: il Movimento 5 Stelle e la Lega.
Sono state tante, forse anche troppe le controversie scoppiate tra Roma e Parigi negli ultimi mesi, sia sul tema immigrazione che sull’integrazione europea. I toni duri del nostro ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha accusato il Presidente francese Emmanuel Macron di aver trattato i migranti come delle bestie, di certo non hanno aiutato. Ma ad aver portato l’Eliseo a richiamare l’ambasciatore a Roma non sono stati gli attacchi reiterati di Salvini. La foto del vicepremier Di Maio con i leader dei gilet gialli in vista delle elezioni europee ha destato indignazione a Parigi, anche se la crisi è rientrata dopo un incontro tra le due parti.
Di Maio, insieme all’altro leader grillino Di Battista, hanno per giunta dato vita ad una polemica insolita ma efficace. Secondo loro, la Francia avrebbe messo sotto scacco ben quattordici Paesi africani con l’imposizione di una valuta, il Franco CFA, che impedirebbe agli Stati di avere la propria sovranità monetaria. Addirittura, sempre secondo Di Battista, da questi paesi arriverebbe la maggior parte dei migranti che sbarcano in Italia.
Accuse pesanti e difficili da smentire, se non si conosce il campo in questione. Di Battista, per convincere i suoi follower della veridicità delle sue affermazioni, ha dichiarato umilmente di non conoscere dettagliatamente la faccenda, suggerendo di ascoltare le parole di alcuni esperti o economisti africani. Le fonti citate dall’ex deputato parlano di una sudditanza monetaria nei confronti della Francia; sudditanza che costringerebbe gli abitanti a lasciare quei Paesi per emigrare in Europa. Non contento, però, Di Battista ha invocato l’incidente diplomatico con Parigi per poter mettere a nudo i crimini e le ingiustizie del governo francese.
Ma quando è scoppiata esattamente la polemica sul Franco CFA? In realtà, Di Maio e soci non hanno fatto altro che approfittare di un tema di cui si parlava già da diverso tempo. Lo scorso novembre, il canale YouTube ByoBlu ha pubblicato una lunga intervista a Mohamed Konare, dal titolo Come la Francia piega l’Africa con il Franco CFA. Nel video, Konare, leader del movimento Panafricanista (dunque un punto di vista tutt’altro che imparziale e oggettivo) elenca alcune ragioni secondo cui la Francia trarrebbe assoluto vantaggio da questo nuovo “imperialismo” economico in Africa. Ad oggi il video ha totalizzato più di 220.000 visualizzazioni.
La ricerca della verità non è mai stata così importante come in questo momento storico. Ultimamente la diffusione delle fake news ha permesso a molti politici di indottrinare i propri elettori, com’è successo in Regno Unito con la Brexit e come sta succedendo in Italia, vuoi con Soros e le ONG, vuoi con il Franco CFA. I media italiani, nel raccontare lo scontro Italia-Francia, non hanno spiegato esattamente come funziona questa valuta. Perlomeno non tutti. Ecco perché è essenziale non solo riportare fatti e dati, ma soprattutto riuscire a trovare le parole giuste per esporre la situazione in maniera obiettiva, senza dover passare per filofrancesi o antifrancesi.
Il Franco CFA (acronimo di Communauté Financière Africaine) è il nome di due valute presenti in quattordici ex colonie francesi dell’Africa centro-occidentale. La “zona Franco” comprende infatti due aree: la prima, la Communauté Économique et Monétaire de l’Afrique Centrale (CEMAC), include Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo, Gabon e Guinea Equatoriale; al secondo gruppo, che si chiama Union Économique et Monétaire Ouest Africaine (UEMOA) appartengono Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo.
Originariamente fondato come “Franco delle Colonie Francesi”, oggi il Franco CFA ha assunto connotati diversi rispetto a quando è stato creato nell’immediato secondo dopoguerra. Il mondo uscito dal secondo conflitto mondiale era un mondo in ginocchio, con delle economie al collasso che avevano bisogno di nuovi investimenti e accordi commerciali con altri Paesi per potersi risollevare.
Nel 1962 il Franco CFA è stato riformato, assumendo l’attuale denominazione “Comunità Finanziaria Africana”. La moneta è gestita dalla Banca centrale francese che, in accordo con le banche centrali dei 14 Stati africani, deposita del denaro proveniente da quei Paesi per compensare le eventuali fluttuazioni del cambio. Si tratta di circa 7 mila miliardi di franchi CFA, cioè 10 miliardi di euro. Cifre esigue, a differenza di quanto detto da Di Battista, che ha parlato di somme corrispondenti al 50% del PIL di quei paesi.
Uno dei punti nevralgici della teoria di Di Battista sarebbe il legame imposto dalla Francia alle sue ex colonie, una dipendenza da Parigi indiscussa e indiscutibile, che tarperebbe le ali alle economie africane in via di sviluppo. In realtà, dalla sua creazione ad oggi ben sette tra Stati e territori d’oltremare hanno lasciato la Zona Franco (otto, se contiamo anche il Mali, uscito nel ’62 e rientrato nell’84, ben sedici anni dopo il colpo di stato che ha portato al potere la dittatura di Moussa Traoré), ovvero, in ordine cronologico: Guinea (1960), Madagascar (1973), Mauritania (1973), Saint Pierre et Miquelon (1974), Réunion (1975) e Mayotte (1976). Nel 1985 e nel 1997, invece, Guinea Equatoriale e Guinea-Bissau hanno adottato il Franco CFA.
Negli ultimi anni diverse fake news sul Franco CFA (come l’imposizione di una tassa coloniale da ripagare ai francesi) hanno fatto il giro del web. A fare chiarezza è intervenuto addirittura il giornale francese Le Monde, che ha pubblicato nel 2017 un articolo con un taglio a metà tra il debunking e l’informativo, per poi ritornare sul caso due anni dopo, in risposta proprio agli attacchi dell’Italia alla Francia, accusando il Bel Paese del passato coloniale in Africa orientale.
Da quasi un secolo ormai economisti di tutto il mondo discutono sugli effettivi benefici portati dal Franco CFA alle economie africane. L’Unione Europea, in un report sul ruolo dell’Euro nell’Africa sub-sahariana e nella Zona Franco, ha riconosciuto questa divisione tra gli esperti. «La valuta – si legge nel paper– è stata fortemente criticata per aver reso impossibile la pianificazione economica dei Paesi in via di sviluppo dell’Africa Occidentale Francese da quando il Franco CFA è legato all’Euro, la cui politica monetaria è decisa dalla BCE». «Altri però – continua il report – «non sono d’accordo con questa tesi e sostengono invece che il Franco CFA abbia aiutato le valute nazionali a stabilizzarsi e a garantire una maggiore stabilità a livello macroeconomico».
Punti di vista divergenti e di conseguenza varie voci – valide e non – da ascoltare. Ma i Paesi africani cosa ne pensano di questa valuta? Alassane Ouattara, Presidente della Costa d’Avorio, ha recentemente preso le difese del Franco CFA, definendolo addirittura una moneta stabile. In Costa d’Avorio è molto acceso il dibattito sulla valuta nazionale (numerose sono le associazioni che chiedono il passaggio ad una moneta “sovrana”), ma si tende a fare confusione perché l’economia è stata investita da fatti di natura politica e sociale che l’hanno portata al collasso, non ultima la guerra civile e l’embargo americano sulle armi dell’ultimo decennio.
Nelle altre nazioni il dibattito non è molto presente o addirittura è del tutto assente. In paesi retti da regimi dittatoriali, come il Burkina Faso, ancora oggi si rimpiangono personaggi storici come Thomas Sankara, rivoluzionario burkinabè rimasto ucciso in un colpo di Stato che ha portato al potere Blaise Compaoré, ancora oggi leader del Burkina Faso. Ma proprio durante una visita nel Paese dell’Africa occidentale il Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron ha promesso, davanti al mandante dell’omicidio, che tutti i dossier sull’assassinio di Sankara verranno declassificati e che il Franco CFA verrà riformato.
Macron si è espresso anche sul futuro del Franco CFA e la possibilità di lasciare la Zona Franco: «Se non si è contenti di stare dentro la Zona Franco, la si può lasciare e creare la propria moneta», ha detto, lapidario, il Presidente francese durante il summit del G5 del Sahel in Mali qualche anno fa.
Uscire, quindi, è possibile e le conseguenze immediate non sarebbero neanche così negative. Il motivo per cui nessun Paese ha lasciato la Zona Franco in tempi recenti è, molto banalmente, l’aggancio all’Euro. Il collegamento con la principale valuta europea permette di attuare qualsiasi politica monetaria senza doversi preoccupare di un aumento dei tassi d’interesse.
Insomma, nessuna gabbia, nessun neocolonialismo e soprattutto, per smentire quanto detto da Di Battista, nessun collegamento con gli sbarchi. Il neocolonialismo francese, così come quello inglese, in realtà ha tante facce. La pressione sull’economia degli Stati africani non viene esercitata attraverso una valuta forte e vantaggiosa come il Franco CFA, ma con mezzi meno evidenti e più sicuri. Le multinazionali che operano in quelle zone hanno tutto l’interesse a raggiungere accordi con gli Stati per controllare i settori produttivi ed eventualmente uccidere la concorrenza. Un meccanismo controverso che aiuta tantissimo l’economia europea, ma anche un grande impedimento per le aziende africane. Un fardello tutto europeo e non soltanto francese.