La propaganda populista è scivolata sul latte dei pastori sardi. È questo il vero significato che ci regala il risultato delle regionali in Sardegna, soprattutto per i due partiti dell’esecutivo: M5S e Lega.
Salvini e Di Maio sono il volto di un meccanismo politico che nell’ultimo anno ha conquistato consenso rincorrendo i principali problemi manifestati direttamente dall’opinione pubblica: che si trattasse di disoccupazione, numeri di crescita economica del Paese, euroscetticismo, oppure della percezione di un’emergenza migrazione e quindi della richiesta di maggior sicurezza, Movimento e Lega hanno sempre risposto repentinamente, proponendo slogan su misura per ogni possibile elettore. La costante qui è la non sempre presente garanzia di concreta risoluzione del problema di turno.
Questo approccio ha funzionato bene in termini di popolarità e attrattiva, se pensiamo al risultato delle politiche 2018 per i grillini. Continua ancora a funzionare per la macchina salviniana, che può giocare su una posizione governativa meno esposta a critiche rispetto la compagine alleata.
La prima percezione si è colta negli ultimi mesi con la lettura dei sondaggi, che danno il Movimento in costante calo di consensi dall’insediamento sugli scranni ministeriali. Ciò sta avvantaggiando proprio la banda Salvini, che come seconda forza dell’esecutivo può giocare su uno scarico di responsabilità verso dirimpettai di Palazzo Chigi.
Per entrambi però, il risultato in Sardegna ha lasciato una crepa evidente sul modus operandi populista. La protesta dei pastori sardi delle ultime settimane, volta a richiedere la stabilizzazione di un prezzo di vendita del loro latte adeguato ai costi di produzione e al valore dello stesso, ha generato una rabbia “attiva” da parte di tale categoria di lavoratori. Ogni giorno scendono in piazza, fermano la produzione e la distribuzione, usando modi non sempre pacifici. Ma comunque manifestano apertamente una situazione tesa arrivata al punto di non ritorno.
Nelle settimane di campagna elettorale non si è fatta meno sentire la carica di battaglia dei gialloverdi, che hanno cercato ogni giorno di trovare una soluzione che accontentasse i pastori sardi, più per imbonirli a parole che soddisfarli con i risultati. In altre circostanze è semplicemente bastato inseguire il problema, farlo proprio con annunci a effetto (il “latte subito un euro a litro” annunciato da Salvini prima del tavolo di lavoro con gli stessi pastori) e avvicinarsi il gruppo interessato.
Il risultato è stato un terremoto sotto i piedi del M5S e un rallentamento per la Lega, che ha visto trionfare il proprio candidato grazie al risultato di coalizione. I 5 Stelle continuano la tendenza negativa emersa in Abruzzo e confermata dai sondaggi. Nel caso della Sardegna non si può negare di aver assistito alla completa disillusione dell’elettorato. Passare dal 42,49% dei voti delle politiche 2018 (369.000 sardi) al misero 9,72% di domenica scorsa non è spiegabile semplicemente con la diversità del sistema politico delle regionali. È stato un tonfo. La realtà dei fatti che dà uno schiaffo in faccia al Movimento, che è stato capace di registrare il più sonoro crollo possibile in meno di 12 mesi: -32,77%. Nemmeno la Lega può esultare totalmente, non confermando la crescita nazionale: ha sì guadagnato qualcosa in punti percentuali nell’ultimo anno (da 10,79 a 11,35%), ma ha perso voti assoluti (93,771 del 2018 contro gli 80.181 di questa tornata).
In sostanza, il popolo sardo, il cui cuore pulsante sono proprio le migliaia di pastori che animano le proteste, non ha sentito risposte adeguate da parte delle compagini governative.
Il dato dell’astensione è una riprova evidente, forse ancora più dei numeri precedentemente snocciolati. La morale ci regala la prima disillusione sulla reale “efficacia” delle manovre populiste.
Salvini e Di Maio, se non sapranno produrre risultati concreti, dovranno fare i conti con lo stesso malumore di massa che hanno saputo veicolare. La Sardegna ha risposto storcendo in parte il naso alla propaganda di chi siede al Governo. E allora sarà questo il punto di partenza per farci urlare: «I re sono nudi?».
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