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Bello ma non si applica: Metro: Exodus, la recensione

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Alan Pasquali

Gli studenti prima di Metro: Exodus:
The Guild 3 – Crusader Kings – Vermintide 2 – Tomb Raider – Frostpunk – Ancestors Legacy – Kingdom Come: Deliverance – Monster Hunter: World – World of Warcraft: Battle for Azeroth – Pathfinder: Kingmaker – Darksiders 3 – For The King


Metro: Exodus verrà pubblicato su Steam nel 2020. Purtroppo però, come quasi tutti sappiamo e come base per effettuare una recensione, Metro: Exodus è stato pubblicato ufficialmente il 15 febbraio 2019. Proprio per questo si tratta dell’argomento che sviscereremo per primo, nonché probabilmente uno dei più grossi problemi del titolo. Metro: Exodus è in realtà uscito in esclusiva su un’altra piattaforma, precisamente sull’Epic Games Store. Chi non ha già approfondito l’argomento potrebbe essere confuso principalmente dalla parola esclusiva. Metro: Exodus è stato infatti preordinabile sullo store di Steam fino a circa due settimane prima della sua uscita. Anche le copie fisiche, ormai solitamente dei semplici codici inseriti all’interno della classica scatola che tutti abbiamo imparato ad amare, non hanno mancato d’essere controverse: il poco tempo a disposizione ha portato l’editore a non sostituire integralmente ogni singolo involucro, accontentandosi di coprire semplicemente il logo di Steam con un adesivo di EGS.

Metro: Exodus

Metro: Exodus è un titolo che molti aspettano da tempo, in quanto terzo rappresentante della saga basata sui romanzi dello scrittore russo Dmitrij Gluchovskij. Purtroppo questa volta la qualità e l’etica non si sono accompagnate al traguardo e a pagarne le conseguenze, come sempre, è l’utilizzatore finale. Se osserviamo infatti la strategia attuata da Deep Silver, editore di Metro: Exodus, possiamo individuare uno schema che va ben oltre alla semplice decisione dell’ultimo minuto. La scelta di abbandonare Steam appare infatti deliberata e atta principalmente a sfruttare la popolarità della piattaforma nella fase più delicata nella vita di un videogioco a giocatore singolo: quella dei preordini. Una volta ottenuto quindi ciò che potremmo pensare sia il massimo da questa fase, potremo abbandonare lo store più famoso in favore di uno più recente, che magari proponga royalties più basse e che, ciliegina sulla torta, ci offra una sostanziosa sommetta per l’esclusiva di un titolo che, a un mese dall’uscita, potrebbe essere già caduto nell’oblio. Questo ovviamente senza considerare la pubblicità gratuita grazie al passaggio per praticamente ogni rivista e/o sito di settore. Ecco che, dunque, allo scenario della decisione precipitosa se ne affianca uno ben più terribile: quello della scelta premeditata. Eticamente questa mossa appare assolutamente orrida in entrambi i casi, chiaro segno che anche quella dei videogame si sia trasformata in un’industria mancante di cuore e principalmente asservita al mero guadagno. Il vero problema, tuttavia, non è rappresentato dal desiderio, senza dubbio legittimo, di sviluppatori ed editori di guadagnare grazie al proprio lavoro, ma piuttosto da ciò che questi ultimi sono disposti a fare per arrivare a raggiungerlo. Costringere i propri clienti a servirsi di un servizio inferiore in cambio di vantaggi, quali che essi siano, è un chiaro segnale che Deep Silver manda a tutti i giocatori e potenziali acquirenti: i vostri soldi valgono più di voi. In quanto clienti, non si può far altro che rimanere orripilati.

Pur non essendo più nei tunnel della metro, l’insano fetish degli sviluppatori per i binari pare non essere minimamente diminuito. Ecco che quindi incontriamo Aurora, la locomotiva che farà da traino alla trama.

Etica e guadagno, infatti, vanno raramente d’accordo, soprattutto nel consumo di prodotti costruiti per raggiungere un pubblico molto ampio. Tuttavia, nell’ambito dei videogiochi di nicchia e specificamente anche in quello in cui si inserisce Metro, decidere di anteporre il proprio guadagno alla percezione che ha il nostro cliente di noi può non essere una mossa vincente. Questo a meno che non si sia già deciso di abbandonare ciò che ci rendeva unici per lanciarci in un calderone in cui la passione e l’originalità contano ben poco. Se i vecchi Metro rappresentavano dei videogiochi dedicati, in grado di offrire un’esperienza ben precisa e quasi unica, anche se tecnicamente datata, Metro: Exodus fa un passo avanti tecnicamente ma uno indietro dal punto di vista stilistico. Il cambiamento, definito open world anche se semplicemente ambientato in grandi livelli, è infatti demolitivo nei confronti dei concetti base che hanno sempre rappresentato la serie. 4A Games ha cercato comunque di mantenere il proprio stile e questo si può notare in tutte le aree di storia in cui siamo costretti, in una sorta di tripudio concettuale, a tornare sui binari. Il passaggio tra questi infrequenti spezzoni guidati all’open world è però completamente alienante e mette in risalto tutti gli evidenti difetti dell’accostamento dei due stili di gioco. Spesso lo stacco arriva quasi a farsi sentire come una sorta di piccolo compito da svolgere per procurarsi risorse, sfruttabili poi per concedersi il proprio premio: le aree guidate. Complice magari la poca esperienza dello studio nella creazione di ambientazioni così vaste e spesso meno dettagliate, l’esperimento di 4A Games nel campo degli open world non è disastroso ma manca comunque del mordente tipico dei vecchi Metro. Ottime invece rimangono quasi tutte le aree guidate, che si trasformano inevitabilmente in intricati dedali in cui ogni angolo nasconde un segreto o un nemico. In queste zone, l’eredità della Metro di Mosca riesce ancora a farsi sentire e fornisce la giusta familiarità con un’ambientazione molto ben sviluppata e incredibilmente ricca di dettaglio, il cui level design potrebbe spesso essere d’insegnamento per molti altri titoli.

Con l’aggiunta dell’open world, Metro: Exodus necessita di un sistema di movimento efficiente e divertente. Investire i nemici con una macchina risulterà il perfetto connubio.

Anche sotto gli altri punti di vista, Metro: Exodus rimane il duro FPS horror dalla scorza action, con un’ambientazione studiata alla perfezione e in grado di stupire ogni volta. Exodus tenta infatti di esprimere, con il suo passaggio alla tecnica dei livelli open world, anche il cambiamento insito nel mondo degli abitanti della Metro: queste mappe gigantesche che si spandono a perdita d’occhio lasciano stupefatti giocatori e personaggi, riuscendo concettualmente a esprimere l’importantissimo cambiamento nelle vite dei sopravvissuti alla guerra atomica. Molto meno presente sarà invece la componente spiritica tipica degli altri titoli, relegata in Metro: Exodus a un semplice ruolo di sfondo. Un grave peccato, considerando come i nuovi fenomeni scatenati dalle radiazioni fossero punto chiave delle storie precedenti, tanto da meritare personaggi e interi capitoli di storia realizzati completamente ad hoc. Metro: Exodus abbandona invece completamente questo filone narrativo, cercando poi in uno spezzone del capitolo finale di reinserirlo come se niente fosse, ovviamente con un risultato decisamente poco ottimale. Niente di eccessivamente eclatante anche dal punto di vista dei nemici, che in Metro: Exodus sono principalmente quasi tutte vecchie conoscenze. Fanno eccezione a questa regola solo dei ghoul umanoidi, antagonisti molto presenti ma di cui non viene spiegato molto, e alcuni nuovi avversari dell’ultimo capitolo. Proprio quest’ultima parte di storia si propone come il fulcro dell’innovazione di Metro: Exodus e, per quanto lasci diversi interrogativi su alcune parti di trama, risulta anche essere l’unica parte realmente coerente con il gioco che molti hanno imparato ad amare: parliamo infatti di un importante ritorno alle origini, che vede Artyom, immortale protagonista della saga Metro, nuovamente alle prese con i tunnel della metro. Questa volta però non ci troveremo a Mosca e anche i così familiari tunnel ed edifici grigi si riveleranno essere a modo loro persino più pericolosi. La trama ha quindi una conclusione degna, seppure un poco scontata, che come sempre si andrà a dividere in un finale buono e in uno decisamente meno positivo. Ovviamente, come è prassi in quasi ormai ogni medium, parliamo di un finale sempre aperto, e che anzi suggerisce molto sulla probabile ambientazione di un prossimo titolo della saga.

Potevano mancare i simpaticissimi ragnoni amanti dell’oscurità introdotti in Last Light? Certo che no. Quanto meno bruciano ancora molto bene.

Metro: Exodus: la fine del tunnel?

Il terzo capitolo della saga Metro potrebbe decisamente non essere l’ultimo. Il finale aperto, insieme anche al relativo successo ottenuto da Metro: Exodus, farebbero presupporre in una lieta continuazione della saga che, a parole anche del suo editore Deep Silver, avrebbe pienamente raggiunto i suoi obbiettivi. Dal punto di vista finanziario possiamo esserne più che certi poiché, per quanto la manovra di cambio store sia riuscita a inimicarsi una buona fetta di utenza, riesce comunque a ottenere il suo duplice effetto: coloro che avrebbero acquistato Metro: Exodus a prescindere lo hanno ottenuto sulla piattaforma di loro preferenza, non vedendo quindi la propria esperienza intaccata, mentre coloro a cui non importa nulla lo avrebbero acquistato a prescindere in un qualsiasi store. Se invece l’esperimento videoludico di Metro: Exodus possa dirsi di successo è difficile da stabilire: da un lato ci troviamo di fronte a un titolo sicuramente molto valido e ottimo da molti punti di vista, dall’altro le modifiche importanti allo stile di gioco potrebbero essere messe in cattiva luce dalla poca esperienza dello sviluppatore nel campo degli open world, genere ultimamente parecchio abusato. Certo, pretendere che chi crea abbandoni la sperimentazione e si releghi nel proprio buio tunnel della metro è davvero poco appropriato. Non possiamo tuttavia essere sicuri che in questo caso la sperimentazione non rappresenti che il primo passo verso uno standard più popolare ma decisamente meno curato. Dopo le ultime controversie risulta sicuramente difficile mantenere un’opinione positiva in proposito, ed ecco che improvvisamente ci si rende conto di come Deep Silver sia anche riuscita in un altro tragico intento: avvelenare i pozzi. In conclusione, possiamo quindi sostenere con certezza che Metro: Exodus abbia largamente provato ad applicarsi, andando persino oltre e tentando qualcosa di nuovo, ma che all’ultimo sia stato tradito dalla molto umana indole dei suoi creatori, una perfetta metafora che chiude il circolo di quest’ambientazione post-apocalittica.

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