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Per difendere l’Unione Europea servono meno Macron e più Draghi

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Pietro Lepidi

Lo sbarco di Emmanuel Macron sulla televisione nazionale italiana era atteso da molti. Da un lato, i sostenitori dell’Unione Europea speravano che il messaggio trasmesso dal presidente francese avrebbe lanciato un forte appello a favore dell’europeismo, un appello che avrebbe creato un’alternativa convivente e galvanizzante all’ideologia sovranista. Dall’altro, gli euroscettici temevano che Macron, presentatosi come il paladino del “rinascimento” europeo, avrebbe cercato di convincere gli italiani ad abdicare ulteriormente ai valori della propria patria e del proprio governo. Oggi, tenuto conto di tutto ciò che è successo tra il governo Macron e il governo Conte, i primi sono più preoccupati per il futuro, mentre i secondi possono essere più sereni.

Emmanuel Macron intervistato da Fabio Fazio nel corso della trasmissione Che tempo che fa.

Che cosa ha detto Macron a Fabio Fazio in uno dei corridoi dell’Eliseo durante l’intervista andata in onda domenica 3 marzo di quest’anno? Sostanzialmente ha cercato di mediare tra il sentimento europeista e «l’urgenza della richiesta di personalità dei popoli». Infatti, il presidente francese ha accuratamente cercato di non attaccare troppo le posizioni sovraniste con cui si recentemente dovuto confrontare all’interno del Paese e quelle contro cui si è scontrato nelle relazioni internazionali con l’Italia.

In particolare, sul fronte della politica interna, dopo aver condannato la violenza delle proteste che hanno scosso il paese sotto la guida del movimento dei Gilets Jaunes, Macron ha anche cercato di dare voce alle loro preoccupazioni, rendendosi bene conto che le sue politiche ecologiche ed europeiste lo hanno fatto crollare nei sondaggi sulla popolarità, specialmente nelle classi più deboli. In politica estera, invece, Macron vuole ricucire i rapporti con l’Italia, dopo il drastico strappo culminato con il richiamo “per consultazioni” dell’ambasciatore francese a Roma. Uno scontro diplomatico pesante che non ha precedenti nel dopoguerra. «Vedo gli ostacoli», ha riconosciuto Macron, «ma credo che tra i nostri Paesi ci sia il cuore, l’amicizia e l’amore; e so che questo cuore ci permetterà di andare al di là degli ostacoli per l’Europa e per noi». Tuttavia, questa apertura all’Italia resta sul piano romantico e sentimentale, perché alla domanda sui rapporti franco-tedeschi il presidente francese chiarisce che il suo primo interlocutore nell’Unione Europea è la Germania. Infatti, dichiara: «Tra Francia e Germania, quando c’è un malinteso, il peggio è possibile, l’Europa non ne guadagna, quindi devo garantire un minimo di concordia con i tedeschi. Francia e Germania dialogano per andare avanti più velocemente in Europa». Parole fastidiose alle orecchie di un europeista convinto e fonte di sospetto e timore per gli italiani che si sentono tagliati fuori, anche se la posizione espressa dal capo dell’Eliseo ovviamente non è netta, dato che comunque «il dialogo con l’Italia è essenziale».

In sintesi, Macron media su tutto. Presenta le tensioni sociali come fenomeni sociologici e cerca di costruirsi una cattedra da cui guardare il popolo in maniera imparziale e suggerire la via della ragione, rivolgendosi dall’alto verso il basso. Nello scontro tra europeisti e sovranisti ha certamente preso una posizione ma, a ridosso delle elezioni europee, non scende nelle ragioni pratiche per cui dovremmo restare dentro questa Unione Europea né quali benefici ha portato nella vita di tutti i giorni. Non ci sono appelli a lottare per l’unità dell’Europa ma una fredda sicurezza nei suoi benefici, che però non vengono esposti al popolo. Perfino sul progetto della Tav, sebbene esprima posizioni da sostenitore dell’opera, non traspare l’importanza della galleria per i commerci interni all’Unione. Macron, dopo decenni di contrattazioni concluse con un trattato internazionale tra Italia e Francia, si limita ad affermare: «Ci sono molte sensibilità, in modo particolare sul tracciato e le valli: credo che risolveremo con la concertazione». Alla fine dell’intervista l’unico motivo concreto per cui «c’è bisogno di un’Europa forte e sovrana» è quello del potere economico che essa ha «per parlare sia ad americani che a cinesi». Basta questo per convincere i cittadini europei a votare per i partiti europeisti?

In mezzo all’aridità, all’imbarazzo e all’indecisione dei difensori dell’Unione Europea si distingue la voce autorevole quanto poco conosciuta di Mario Draghi. Il presidente della Banca Centrale Europea ha ricevuto il 22 febbraio a Bologna la laurea ad honorem in Giurisprudenza per il ruolo svolto nella difesa dei principi e dei valori dei trattati dell’Unione Europea. Il suo discorso durante la cerimonia ha dato ossigeno alle posizioni europeiste, bacchettando efficacemente gli euroscettici. A dimostrazione dell’efficacia del discorso di Draghi Il Foglio, uno dei giornali liberali che più si batte per l’integrazione europea, ha dedicato alla trascrizione del discorso di Draghi l’integrità della prima e dell’ultima pagina della sua edizione del 23 e 24 febbraio, con tanto di gigantografia del presidente della BCE sul retro.

Nel suo intervento a Bologna, Mario Draghi correda asserzioni sulla necessità dell’Europa con dati scientifici e appelli all’azione, combattendo con tenacia la retorica sovranista senza assumere la posizione indulgente e molle di Macron davanti a Fazio. Il messaggio del presidente si scontra efficacemente con le posizioni euroscettiche e indipendentiste d’Europa poiché afferma che «la vera sovranità si riflette nel migliore controllo degli eventi in maniera da rispondere ai bisogni fondamentali dei cittadini: la pace, la sicurezza e il pubblico bene del popolo». Per ottenere la vera sovranità in un mondo globalizzato, secondo Draghi, occorre scommettere sull’unico organismo che può avere un peso fondamentale sui commerci mondiali e sui trattati internazionali e che può allo stesso tempo tutelare le garanzie costituzionali e i diritti di una democrazia occidentale, cioè l’Unione Europea. Draghi auspica una via politica che salvi gli Stati nazionali dalla ricerca di un’indipendenza che li renderà deboli perché vulnerabili alle correnti economiche di un mercato globalizzato su cui abbiamo costruito le comodità dello stile di vita del mondo occidentale.

Il presidente della BCE Mario Draghi.

Ciò che manca al discorso del presidente della BCE sono forse le cause della perdita nella fiducia nelle istituzioni europee e alcune giuste rivendicazioni sociali che hanno ingigantito i movimenti populisti d’Europa. Tuttavia, la sua presa di posizione ha per lo meno equilibrato l’analisi costi-benefici sull’Unione Europea in cui tutti, europeisti ed euroscettici, propongono radicali riforme del progetto di cooperazione europea così come è stato gestito. Forse sarebbe stato più appropriato, viste le loro rispettive posizioni istituzionali, se Draghi e Macron si fossero scambiati i discorsi prima di pronunciarli. In questo modo, Draghi avrebbe tenuto un profilo più consono al suo ruolo da tecnico, sottolineando la necessità dell’integrazione europea con i dovuti “se” e “ma” in modo da risultare super partes. Viceversa Macron, con delle risposte alla Mario Draghi, si sarebbe presentato come il vero difensore del progetto europeo, prendendosi il ruolo vacante di leader degli europeisti nella sfida delle elezioni europee di maggio.

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Pietro Lepidi

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