ERRATA CORRIGE 11.33: ci segnalate un errore di battitura nel nome della testata “Il Primate Nazionale”, cambiata ora nella forma corretta (Il Primato Nazionale). Ci scusiamo con i nostri lettori.
Dopo aver parlato diffusamente di uno dei pilastri della disinformazione sul web, in questo editoriale si cercherà di approfondire la figura di Luca Donadel, un blogger wannabe alt-right ventiseienne, ex studente triennale di Scienze della Comunicazione (pare abbia recentemente abbandonato gli studi), che sull’onda della popolarità di nazionalisti e sovranisti è riuscito ad ascendere da uno studio domestico da YouTuber a salotti di televisioni di rilevanza nazionale come Rete 4 e Canale 5. Questo editoriale, per evitare di accrescere la spirale negativa di popolarità che la sua figura sta sempre più assumendo, cercherà di non fornire alcun tipo di link e contenuto che possa anche solo lontanamente alimentare il fenomeno, preferendo piuttosto lasciare alla curiosità del lettore la ricerca della documentazione qui presentata attraverso altri articoli che parlano del personaggio.
Donadel muove i suoi primi passi in cerca di popolarità nel 2016, con il video dal sensazionalistico titolo “10 minuti sull’ISLAM”, facilmente reperibile su YouTube. La dissertazione, semplicistica, carente e fatta da una persona che mostra di non avere la minima idea di ciò che cerca di spiegare, presenta diverse problematicità: nei minuti iniziali l’influencer afferma con una certa sicurezza che l’Islam non sia una religione, ma “qualcosa di più”, in quanto tutti gli Stati a prevalenza islamica dovrebbero seguire la Shari’a (la legge islamica di Dio, che avendo pochi versetti espressamente giuridici lascia molto spazio all’interpretazione, motivo per il quale esiste un gran numero di diverse applicazioni della stessa). Far coincidere la Shari’a con lo Stato (opera che dovrebbe essere portata avanti peraltro dai Saggi, diversi a seconda della scuola religiosa islamica di riferimento) presupporrebbe che le autorità religiose coincidano con le autorità politiche, cosa non sempre vera (si veda il caso, fra gli altri, della Turchia): non esiste peraltro nessun Paese che applichi la legge coranica in modo letterale, poiché questa tende a modificare la propria struttura in base al Paese in cui opera, mischiandosi con le tradizioni locali (come per esempio accade in alcune zone dell’India). Lo YouTuber, nella sua analisi, parla della scuola fondamentalista come se questa rappresentasse tutta la Umma (collettività religiosa musulmana), ignorando secoli di lotte intestine fra esponenti delle diverse interpretazioni della religione islamica: è un po’ come se si accomunassero i cristiani cattolici con i Testimoni di Geova. Peraltro al minuto 2, in cui “attiva” una esilarante “modalità ironica”, Donadel afferma che la religione dei terroristi è inequivocabilmente quella islamica, e che il fatto che questi abbiano come testo sacro il Corano e che menzionino Maometto nella loro bandiera li riconduca alla collettività musulmana, cadendo nello stesso errore sopra menzionato: sarebbe come affermare che tutti i cristiani siano uguali ad Anders Breivik, l’uomo della strage di Utoya.
Qualche secondo dopo, Donadel opera uno scivoloso paragone fra la violenza (a suo dire inequivocabile) dei versetti coranici e quella (a suo dire esegeticamente disinnescata) dei passi della Bibbia, affermando come i tribunali ebraici (e più in generale gli ebrei) non abbiano mai applicato la pena di morte: il processo Eichmann è stato quindi solo uno “scherzo epico finito male”, per dirla con il gergo caro agli YouTuber. Secondo Donadel inoltre i musulmani moderati sarebbero coloro i quali seguono il Corano attraverso l’utilizzo del cherry-picking (curioso: è esattamente la tecnica che utilizza questo ragazzo per “raccontare la verità”, come vedremo più avanti), come se invece ebrei e cattolici vivessero seguendo pedissequamente i testi sacri. Più avanti nella delirante narrazione il Video-maker wannabe sovranista afferma con una disarmante semplicità che i nazisti in Germania erano una minoranza che teneva in ostaggio una maggioranza pacifica: si consiglia a riguardo un ripassino di storia su come Hitler sia salito democraticamente al potere e su come la sua leadership non abbia mai vacillato nonostante le continue dichiarazioni antisemite e belligeranti; fare un paragone del genere con un fenomeno globale e religioso non solo è rischioso, ma espone l’intera trattazione al pubblico ludibrio. Al minuto 7.50 Donadel urla al suo pubblico in preda alla trance narrativa di come oggi il fanatismo terrorista religioso sia «tutto in mano agli islamici» (che in realtà si chiamano musulmani, il termine islamico non si riferisce agli individui…) e di come le azioni terroristiche siano tutte effettuate «in nome di Allah», dimenticandosi quindi di stragi come quella di Utoya e dimostrando di non possedere alcuna capacità di analisi dei fenomeni come tali, senza essere inquinata da filtri ideologici: l’attacco di Christchurch è la più grande smentita che i posteri potessero fornirgli. Poco dopo, l’influencer sostiene come l’Islam sia violento a prescindere dalle azioni passate dell’Occidente, affermando come questo elemento sia corroborato dalla massiccia presenza di terroristi musulmani in Paesi come Nigeria e Filippine, ignorando di fatto come una organizzazione terroristica o parastatale (quale Boko Haram o l’Isis) possa scegliere uno Stato piuttosto che un altro per motivazioni non squisitamente religiose quanto politico-strategiche: sono noti ai più (ma evidentemente non a lui) i diffusi problemi di instabilità politico-istituzionale dello Stato africano e delle Filippine di Duterte; gli attacchi terroristici in Europa non sono portati avanti per punire l’Occidente per le Crociate, quanto piuttosto per serrare le fila dei miliziani locali e dimostrare la forza della propria fazione. Anche in questo caso Donadel rimane vittima del suo tentare di semplificare fenomeni che semplici non sono.
Nei due anni successivi l’influencer, che in questo video ancora non aveva palesato in modo formale la sua simpatia politica per le destre estremiste, ha gettato la maschera avvicinandosi a CasaPound (operando numerosi interventi sulla testata nazionalista Il Primato Nazionale) e fotografandosi con gli sponsor all’evento del collettivo sovranista Generazione Identitaria, effettuando inoltre una malcelata operazione di marketing nei confronti del giornalista di destra Mario Giordano in uno dei suoi video più visualizzati; non devono sorprendere quindi in quest’ottica le fotografie che lo ritraggono assieme ad altri luminari della stessa fattispecie come Augusto Casali (il leghista al centro della polemica per la brillante correlazione fra persone down e i disservizi di Facebook o per l’utilizzo della bandiera del Kekistan a una manifestazione leghista, bandiera ironicamente neonazista molto popolare negli ambienti alt-right) o le opinioni vicine a quell’area politica che dissemina nella sua pagina personale e i gruppi Facebook di cui è membro. La sua stima per Gianmarco Saolini, che lui definisce un «eroe» e di cui abbiamo già parlato qualche settimana fa, non è di certo sorprendente.
L’azione di Donadel viene molto spesso definita come “bufala”, ma, come dimostrato in diversi articoli susseguitisi nel corso degli anni (che trovate a questo, questo, questo, questo, questo e questo link, ordinati cronologicamente), il ventiseienne utilizza diffusamente la pratica del cherry-picking tanto cara a chi vuole raccontare non la verità, ma la sua verità, prendendo come basi per dimostrare una tesi elementi parziali (per quanto – è bene sottolinearlo – quasi sempre veri se presi singolarmente) tracciando un quadro apparentemente inequivocabile, ma reso credibile solo dall’assenza di una informazione completa. La sua azione e il suo successo, sponsorizzato persino da Matteo Salvini con una condivisione social, vanno a intercettare quella domanda di odio e rabbia tipica delle persone che vogliono giustificare il loro razzismo con «FATTI e LOGICA» (come direbbe l’influencer), ancorché parziali: la sua popolarità, di cui ama vantarsi durante i suoi interventi sui social, deriva dalla sua capacità di comunicare concetti tanto convincenti quanto incompleti a una fetta di pubblico che non mira alla ricerca della verità, ma all’essere rassicurata delle proprie fallaci convinzioni. Donadel, in sintesi, altro non è che un personaggio, forse aiutato da terzi al pari di quanto accade – seppur in modo diversissimo – con Greta Thunberg, che è diventato popolare in una fase storica dove il medium comunicativo è entrato in fortissima crisi, un’epoca in cui la realtà viene sempre più erroneamente iper semplificata dai mediatori politici e culturali invece che spiegata nella sua complessità. Un’epoca che vede dei dilettanti allo sbaraglio al potere e dei ragazzi qualsiasi pontificare su tematiche strutturate non conoscendole affatto.
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