Aaron Ramsey diventerà un nuovo giocatore della Juventus a partire dal 1 luglio di quest’anno. La notizia è ormai stata ufficializzata dalla società bianconera con un comunicato pubblicato l’11 febbraio sul proprio sito, confermando così le voci che già da qualche settimana avevano iniziato a circolare nei siti specializzati in calciomercato. Il centrocampista originario di Caerphilly sarà solo il terzo calciatore gallese a giocare nel campionato di Serie A e, come i suoi connazionali John Charles e Ian Rush, anche lui assaggerà le suggestioni e sentirà le pressioni del calcio italiano sulle rive del Po. Il rapporto fra Galles e Italia si rinnova così alla luce dei colori bianco e nero. Com’è stata, però, l’esperienza dei gallesi in Italia? E, al contrario, com’è andata a quei pochi italiani che hanno praticato football fra le colline e le coste frastagliate del sud ovest dell’isola britannica?
Per qualche strana ragione, il Galles e la Juventus sembrano legati l’uno con l’altra e i più scaramantici non mancheranno di sottolineare come l’unica finale di Champions League disputata a Cardiff abbia visto i bianconeri come sfortunati protagonisti – il 4-1 contro il Real Madrid brucia ancora dalle parti di Torino. Il rapporto fra la Vecchia Signora e una delle Home Country che compone il Regno Unito iniziò tuttavia qualche decennio prima: era il 1957 quando l’allora attaccante del Leeds United John Charles giunse nel capoluogo piemontese. Con la maglia della Juventus andò a formare, insieme a Omar Sivori e Giampiero Boniperti, un irresistibile tris d’attaccanti, denominato Trio Magico. Grande uomo di squadra, nelle cinque stagioni vissute sulla sponda bianconera del fiume Po il Gigante Buono (così venne soprannominato in virtù dei quasi 190 centimetri di altezza e dell’estrema correttezza in campo) mise a segno 93 reti su 150 partite disputate. Con tre campionati vinti e due Coppe Italia fece ritorno a Leeds nel 1962. Tuttavia, solo pochi mesi dopo, cedette al richiamo dell’Italia, le cui suggestioni lo avevano completamente ammaliato: Roma fu la sua seconda meta italiana. A causa del limite imposto al numero di stranieri in rosa, l’avventura romana di Charles fu molto breve: solo dieci presenze, con quattro gol. L’attaccante di Swansea, tuttavia, lascerà un grandissimo ricordo nella mente dei tifosi italiani.
Totalmente diversa fu l’impressione lasciata da Ian Rush, l’altro grandissimo attaccante gallese che ha calcato i campi della Serie A. Arrivò in Italia nel 1987, portando in dote le stimmate di erede di John Charles e le decine e decine di gol messi a segno con la maglia del Liverpool, con il quale aveva disputato anche la finale di Coppa dei Campioni contro la sua futura Juventus nella tragica serata dell’Heysel. Tuttavia, il gallese di Llanelwy condivideva con il suo illustre predecessore solo la nazionalità. Charles amava giocare per la squadra, mentre Rush era un finalizzatore; il primo si integrò immediatamente nel contesto italiano, mentre il secondo non sembrò amare mai l’Italia (di cui non imparò la lingua) né il calcio tattico e difensivista della Serie A. Pagò anche l’essere arrivato in una Juventus in ricostruzione, priva di molti degli elementi che la resero grande nel decennio precedente. In particolare, l’assenza di Michel Platini si rivelò particolarmente difficile da colmare: chissà quanto Rush avrebbe giovato degli assist chirurgici del centrocampista francese. Dopo ventinove presenze e sette gol, che lo resero comunque il miglior marcatore dei bianconeri, Ian Rush abbandonò la Juventus per tornare a Liverpool, dove riprese a segnare le consuete decine di gol.
Una storia particolare è invece quella di John Toshack. Dopo una carriera trascorsa fra Galles e Liverpool, decise di appendere gli scarpini al chiodo e di dedicarsi alla carriera da allenatore, iniziando così un trentennale viaggio attorno al mondo. Non mancarono le panchine prestigiose: in ben due occasioni venne chiamato ad allenare il Real Madrid (nel 1989/1990 riuscì anche a vincere la Liga), guidò in due riprese la Nazionale del Galles, oltre a Real Sociedad, Saint-Étienne, Beşiktaş, Sporting Lisbona e Swansea, fino alle ultime avventure in Macedonia, Marocco e Azerbaigian. Nella miriade di campionati frequentati non poteva mancare quello italiano. Ecco quindi che, nel 2002/2003, la carriera di Toshack prese una piega inaspettata: l’allenatore gallese venne accolto fra la sorpresa generale a Catania, in Serie B. La permanenza fu piuttosto breve e burrascosa. Coadiuvato da Ciccio Graziani, il gallese allenò da novembre del 2002 al gennaio successivo. Il rapporto con Luciano Gaucci, allora presidente del Catania, non decollò mai: Toshack non apprezzò le continue intromissioni del presidente nelle questioni tecniche e contestò la mancata chiarezza sin dalla trattativa (leggendario l’equivoco sullo stipendio, proposto da Gaucci ancora in lire, nonostante l’euro fosse già in circolazione). L’avventura di Tisky-Tosky – come venne ribattezzato dai tifosi catanesi – finì quindi presto. La squadra venne affidata a Edoardo Reja, mentre Toshack lasciò l’Italia: il Real Murcia lo aspettava.
Le sorti dei gallesi in Italia furono altalenanti e lo stesso si può dire degli italiani in Galles. Francesco Guidolin, ad esempio, fece il percorso inverso di John Toshack e andò ad allenare i bianconeri dello Swansea City. Andò a sostituire Garry Monk, dopo una breve reggenza di Alan Curtis, nel gennaio del 2016. L’impatto con l’ambiente fu molto buono: dopo aver superato alcuni iniziali problemi di salute che lo tennero lontano dai campi per qualche giornata (sostituito sempre da Curtis), Guidolin guadagnò una buona salvezza e la conferma sulla panchina degli Swans per la stagione successiva. La 2016/2017 fu un’annata che si aprì con ben quattro italiani sulle panchine della Premier League: oltre a Guidolin allo Swansea, c’erano Antonio Conte alla guida del Chelsea, Claudio Ranieri detentore del titolo con il Leicester City e Walter Mazzarri al Watford. Nonostante le buone prestazioni e il sostegno della tifoseria, Francesco Guidolin fu esonerato a ottobre dalla proprietà americana, che affidò la panchina al connazionale Bob Bradley, ex ct degli Stati Uniti. La permanenza in Galles dell’allenatore americano fu di poco superiore ai due mesi.
Nei campi di calcio gallesi trovarono inoltre spazio due degli ex wonderboy del calcio italiano: Fabio Borini e Federico Macheda. Entrambi di formazione calcistica britannica, i due indossarono le maglie di squadre del Galles. A inizio carriera, Fabio Borini fu mandato in prestito dal Chelsea allo Swansea, allora militante in Championship, la Serie B inglese. Qui, in sei mesi nel 2011 riuscì a mettere a segno sei reti in sole nove presenze, utili ai gallesi per la promozione in Premier League e a Borini per iniziare al meglio la sua carriera: in estate fu acquistato dal Parma e girato immediatamente in prestito alla Roma di Luis Enrique. Federico Macheda, invece, giunse in Galles nel 2014, sponda Cardiff. Venne acquistato a titolo definitivo dopo una serie di prestiti in giro per l’Europa, in cui l’attaccante laziale non riuscì a mantenere le promesse fatte al debutto in Premier League con il Manchester United: quel gol vittoria al debutto contro l’Aston Villa nel 2009 aveva fatto sperare ben altre prospettive per la carriera di Macheda. Con la maglia dei Bluebirds le cose sembrarono avviarsi verso una normalizzazione: in un anno e mezzo trovò la via della rete sei volte in ventisette partite. Non è stato proprio uno score impressionante, ma si può dire che Macheda abbia raggiunto in Galles quella continuità che altrove non aveva mai trovato.
Il rapporto fra Galles e Italia è piuttosto difficile da definire. Troppo pochi i giocatori gallesi che hanno giocato in Serie A e troppo diverse le loro esperienze: similmente, pochi sono gli italiani che hanno indossato maglie di squadre gallesi e poco significative sono state le loro avventure. Lo stesso vale per i due allenatori. Aaron Ramsey, quindi, si troverà a dover affrontare questa avventura italiana basandosi unicamente sulla propria capacità di adattamento a un campionato decisamente diverso da quello inglese, a una cultura calcistica (e non solo) che rappresenteranno senza alcun dubbio una sfida e uno stimolo per il gallese. Per la Juventus continua la tradizione di calciatori della piccola home country britannica: i bianconeri di Torino si augurano di avere per le mani il giocatore che manca al proprio centrocampo e, si spera, l’erede morale di John Charles, il Gigante Buono.
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