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Zingonia, un problema da demolire

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Daniel Bonfanti

Il racconto di un progetto urbano fallito, di storie di sofferenza e di giudizi facili

Da poco più di tre settimane la signora Maria e suo marito Enzo hanno firmato l’atto di vendita del loro trilocale, per il quale hanno ricevuto la miseria di 19.000 euro. Erano gli ultimi due residenti delle Torri di Zingonia, che ora potranno essere definitivamente abbattute per lasciare spazio ad un nuovo progetto, probabilmente a carattere commerciale o industriale, sicuramente non residenziale.

Quattro delle sei Torri che verranno demolite nei prossimi mesi.

Zingonia è una località amministrata da ben cinque comuni della bergamasca, deve il suo nome all’imprenditore Renzo Zingone, che negli anni Sessanta aveva l’ambizione di costruire un centro abitativo per i lavoratori della zona, progetto che invece nel tempo è diventato un triste esempio di degrado – urbano e sociale – che a breve verrà raso al suolo. Nello specifico ad essere demolite saranno “Le Torri”, sei edifici divisi in due complessi (Anna e Athena) posizionati ai lati opposti della strada provinciale, contenenti in totale più di 200 alloggi. Doveva essere “la città del futuro”, così era stata definita; alcuni ne avranno sicuramente sentito parlare perché in questa località sorge uno dei centri sportivi migliori d’Italia, dove si allena l’Atalanta. La sorte delle Torri però non è stata la stessa: la tanto attesa crescita demografica non è arrivata, i servizi sono stati progressivamente eliminati, le amministrazioni non hanno fatto sentire la loro presenza sul territorio. Così le Torri di Zingonia non sono diventate la punta di diamante della città del futuro, bensì un luogo fuori dal tempo, con le proprie regole, le proprie storie, la propria sofferenza. 

Storie di un non luogo

A Zingonia siamo andati per vedere con i nostri occhi le Torri prima della loro demolizione, annunciata ormai da tempo. Volevamo cercare di capire, per quanto possibile, qualcosa di più di questo progetto urbano e delle persone che hanno vissuto in questi palazzi, per andare oltre alle narrazione semplicistica che di Zingonia è stata fatta in queste settimane, prima da Striscia La Notizia, poi dal Ministro degli Interni Matteo Salvini. Siamo ai piedi di uno degli edifici, quando si avvicina a noi una macchina. È quella del sindaco di Ciserano – comune dove sorgono le Torri di Zingonia – Enea Bagini, che ogni giorno passa di qui per assicurarsi che non succeda nulla di grave. Scopriremo poco dopo che questa abitudine, più che un normale giro di perlustrazione, è invece per Enea il modo di rimanere a contatto con quello che per dieci anni è stato il suo impegno politico più grande. 

«Se volete entrare vi accompagno. Di giorno qui non ci vive più nessuno, l’altro complesso è quello più pericoloso, ho appena contato undici ragazzi che stavano spacciando».

Incuriositi, accettiamo. Inizia così il nostro viaggio tra i palazzi di quella che è stata infelicemente definita la Scampia del Nord, a causa dell’alto tasso di criminalità, del traffico di droga e, ovviamente, dei palazzoni che ricordano le Vele. Le Torri di Zingonia però sono molto più di una definizione di circostanza, dovuta all’ormai sempre più frequente abitudine di ridurre ogni complessità a mero giudizio semplicistico. Ciò che si dice di Zingonia, soprattutto sui social, rispecchia in pieno un atteggiamento che ormai conosciamo bene: «Quelle Torri sono solo una piazza di spaccio, i clandestini fanno quello che vogliono ed è ora di raderle al suolo. Magari con loro dentro così risolviamo il problema». No, dalle Torri di Zingonia emergono esperienze umane, storie di sofferenza, condizioni di subalternità; emerge con forza una sconfitta politica, quella dell’amministrazione delle periferie, luoghi fantasma nei quali la mancanza della comunità ha causato l’assenza di una memoria collettiva. Le storie di questo posto esistono solo per chi le ha vissute. Per tutti gli altri invece le Torri di Zingonia sono solo un luogo di criminalità, nel quale gli immigrati fanno il bello e il cattivo tempo: il problema va demolito, i palazzi rasi al suolo, in una grande opera di autoassoluzione collettiva.

Interno del palazzo Anna 1, terzo piano.

Il sindaco Enea invece ci stupisce, ricorda ogni famiglia che è stata costretta ad abbandonare la sua abitazione a causa delle condizioni fatiscenti delle Torri.

«Qui ci viveva Claude, un ragazzo senegalese, lì Riccardo di Roma, dietro quell’altra porta invece c’era Mohamed, ogni giorno a causa del malfunzionamento dell’ascensore era costretto a portare sulle spalle suo figlio disabile, che non poteva fare le scale. Una sera, qualche mese prima di andarsene da qui, mi ha chiamato chiedendomi se anche lui, che fino a quel giorno aveva pagato regolarmente le bollette, potesse trasferirsi abusivamente al primo piano, in modo da fare meno fatica con il figlio».

Ci racconta poi la storia di Nabil, ragazzo marocchino morto di freddo poco più di un mese fa in uno di questi palazzi.

«Nabil era una testa calda, pensate che quando i vigili facevano i posti di blocco qui vicino lui voleva partecipare a tutti i costi alle operazioni della polizia, e si avvicinava a loro per infastidirli in modo scherzoso. Doveva però fare i conti soprattutto con una tragica situazione familiare, con alcune persone che purtroppo si approfittavano di lui che era il più debole. Era tossicodipendente e malato, spesso è rimasto coinvolto in alcune risse e altre volte ha rischiato di essere ucciso. Alla fine, ha deciso di morire per conto suo, in uno di questi palazzi». 

Il cortile del complesso “Anna”.

Il sindaco Enea non lo ammette, ma in lui si percepisce una certa infelicità mentre ci racconta della vita tra le Torri. Non è amareggiato, questo no. Il piano di demolizione esiste già da sette anni e lui si è occupato di mediare tra le persone che vivevano in questi palazzi e ALER, l’azienda che ha acquistato i loro appartamenti. Ha cercato durante i suoi due mandati di aiutare queste persone in diversi modi: nella ricerca di una nuova casa, nella risoluzione dei problemi di condominio, nel semplice ascolto dei problemi di persone sole, abbandonate in un non-luogo nel quale non è mai sorta una comunità.

«Durante i miei anni da sindaco non c’è stato un solo giorno in cui io non abbia pensato a Zingonia, tra quattro o cinque anni però nessuno si ricorderà di chi ha vissuto qui, delle difficoltà che hanno dovuto affrontare queste persone».

Non è rammaricato, è anzi fiducioso che gli abitanti delle Torri ora possano finalmente trovare tranquillità altrove, ma sicuramente questa esperienza lo ha segnato, lo si percepisce.

«Qui ci sono sempre state tante persone sole, non è mai nata una comunità che potesse reagire alle difficoltà e che potesse crescere con le forze di tutti».

Uno degli appartamenti dell’ultimo piano. Alcuni ragazzi passavano qui la notte.

A Zingonia ci sono sempre stati tanti individui, mai una comunità. Ci vivevano alcune famiglie virtuose, sempre in regola con i pagamenti, altre che si sono approfittate della situazione di degrado, altre che invece sono state partecipi di questo fallimento. I palazzi sono da tanti anni una piazza di spaccio importante, furti e risse sono purtroppo all’ordine del giorno. Ognuno si è sempre arrangiato come poteva: tra ragazzi che avevano messo in piedi un’officina abusiva e donne pagate una miseria per occuparsi della sbavatura di migliaia e migliaia di guarnizioni di gomma o di plastica. 

Residui di pezzi di plastica dopo un lavoro di sbavatura. Le aziende forniscono questo tipo di lavoro in nero e sottopagato a persone che per sopravvivere arrivano a gestire anche materiali tossici, portandoli dentro le proprie abitazioni.

A Zingonia però non ci sono solo storie di subalternità sociale e di sofferenza umana, ma anche quelle di chi si è a lungo approfittato di questo degrado. Come quella del tale signor Paolo, imprenditore del Nord che era solito far firmare alle persone contratti di affitto, e percepire da esse dei soldi ogni mese, nonostante non avesse alcuna proprietà all’interno delle Torri. Quello di Zingonia è anche il racconto di un’assenza, quella delle istituzioni, che ha abbandonato a loro stessi decine e decine di luoghi periferici come questo in tutta Italia. Un abbandono dato dalla volontà di confinare la criminalità e il degrado in un posto preciso, dal quale tenersi ben distanti; un’assenza data dall’accettazione di aver fallito e dall’incapacità di credere in un progetto alternativo. Le periferie come luoghi dove abitano i mostri, dove si spaccia e si ruba, dove vivono gli ultimi. 

Vista dall’alto di uno degli edifici. Si notano i veicoli posti sotto sequestro dalla polizia, in quanto “ospitati” da un’officina abusiva.

Il sindaco riconosce la responsabilità delle istituzioni, politiche e non solo. Quando gli si chiede come si è potuti arrivare a questa situazione, va dritto al punto:

«Esistono tanti motivi, come in tutte le circostanze complesse. In primo luogo la difficoltà nell’amministrare una località divisa tra cinque comuni, nella quale soprattutto non è mai nata quella comunità che è alla base per lo sviluppo di tutto il resto. I servizi sono mancati, qui intorno ci sono solo fabbriche e l’assenza di una crescita demografica non ha permesso il naturale sviluppo e la crescita di una normale cittadina. Poi le banche, che trent’anni fa concedevano prestiti a chiunque, mandando in cortocircuito l’equilibrio dei condomìni, poiché molte persone che avevano ottenuto il mutuo non potevano poi pagare il loro debito. Qui dentro giravano i broker, che prendevano provvigioni sui contratti che portavano a termine: era normale quindi che cercassero di portarne a casa il maggior numero possibile. Infine, la gestione approssimativa delle politiche migratorie, la pigra convinzione che l’integrazione tra diverse culture si sarebbe sviluppata in autonomia. Che tutto, prima o poi, si sarebbe aggiustato da solo».

Una sconfitta reale

Zingonia non è un quartiere e nemmeno una cittadina. Non è un comune, ma solo un sogno infranto, un non-luogo, il segno di un fallimento politico. Come tante altre periferie questa località è rimasta abbandonata a sé stessa, nonostante alcuni deboli tentativi di riqualificazione. Ad esempio durante gli ultimi anni un gruppo di ragazzi provenienti da un collettivo di Bergamo ha sostenuto gli abitanti delle Torri nella loro protesta contro ALER. Questa società infatti ha rilevato gli appartamenti a cifre bassissime e ricollocato i cittadini in altre abitazioni, quasi tutte con contratti di affitto. La resistenza è continuata per tutti questi sette anni: nonostante le difficili condizioni in cui versavano i palazzi, la maggior parte degli abitanti non voleva abbandonare le Torri, non voleva lasciare quella che era la propria casa a condizioni così svantaggiose. Come spesso accade in questi casi però un progetto di così grande portata – che prevede la demolizione delle sei Torri in attesa di un piano di riqualificazione del territorio – ha avuto la meglio sulle situazioni specifiche degli abitanti, smorzando la resistenza e con essa quel barlume di comunità che stava nascendo dalla protesta contro ALER. Tutti gli abitanti, dopo sette anni di trattative, hanno dovuto abbandonare la propria casa. 

Gli incendi dolosi degli ultimi anni hanno aggravato lo stato dei palazzi.

Le responsabilità sono tante, in situazioni come questa. È facile, ma dannoso, affidare ad un unico colpevole – l’uomo nero – la responsabilità di un progetto urbano e sociale fallito, ridotto a uno stato di degrado avanzato. È semplice, ma disonesto, etichettare (come hanno fatto Brumotti e Salvini) questa zona come una semplice piazza di spaccio, da radere al suolo il prima possibile. La semplificazione della realtà va bene per uno spettacolo elettorale indegno e sfrontato, ma danneggia la crescita di noi come cittadini. Perché Zingonia non è un problema che si risolve con le ruspe, è una sconfitta con la quale tutti dovremmo fare i conti. È la sconfitta delle periferie, dei più deboli, degli ultimi. Una sconfitta reale, che deve avere uno spazio nella nostra memoria.

La vista dall’ultimo piano di una delle Torri.
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Daniel Bonfanti

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